15 minuti di fama

Andy Warhol si espresse genialmente: “Nel futuro, tutti saranno famosi nel mondo per 15 minuti”, un’espressione mai estinta e sempre più adatta all’odierno consumismo dell’informazione. Tuttavia quello che si è consumato sulle pagine del The Guardian non è il solito siparietto di qualche creazionista, cui i veterani di Pikaia sono abituati. L’autore, Oliver Burkeman, che solitamente si diletta in articoli

Andy Warhol si espresse genialmente: “Nel futuro, tutti saranno famosi nel mondo per 15 minuti”, un’espressione mai estinta e sempre più adatta all’odierno consumismo dell’informazione. Tuttavia quello che si è consumato sulle pagine del The Guardian non è il solito siparietto di qualche creazionista, cui i veterani di Pikaia sono abituati.

L’autore, Oliver Burkeman, che solitamente si diletta in articoli moralistici, decide di estendere il suo raggio d’azione moralizzante redimendo anche i cattivi biologi del tanto temuto “establishment” darwiniano, quell’Impero Ateo che proprio non vuole ascoltare la parola del Signore. Ci prova con un articolo d’aneddotica natura e d’imbarazzante lunghezza per i tempi di Internet: questi sono i suoi 15 minuti, che siano di fama, è difficile a dirsi, sicuramente si avvicinano al tempo richiesto per seguirlo nel suo patchwork giornalistico.

La ricetta è semplice: “Si stava meglio quando si stava peggio”, “Ah! I bei tempi passati”. Eh si, perché era meglio fermarsi a ciò che Darwin avrebbe detto sul fantomatico letto di morte: “la selezione naturale non è l’unico meccanismo dell’evoluzione!”. Mettendo insieme anche la sua presunta confessione di fede, il morente Charles deve aver fatto un vero e proprio monologo sullo scibile umano. Si solletica così il palato degli amanti delle teorie della cospirazione, tra le quali, l’intelligent design.

Nonostante ciò, la parola chiave dell’articolo non è “regressione”, né “tedio” ma nemmeno “inutilità”, bensì “epigenetica”, vera e propria Roccaforte dei Malintesi dell’evoluzione. A quanto si legge, in Svezia, gli uomini come le galline, vissuti in ambienti carichi di stress ambientali, darebbero luce a una prole afflitta dal medesimo problema. E ancora, i topi felici sono topi che imparano di più, e così i loro figli. Dopo di che si cambia repentinamente tema, via l’epigenetica e avanti con il trasferimento genico orizzontale e l’ingressione di geni virali nel genoma umano. Si rievoca la Margulis più grezza: gli organismi non sono entità definite e quindi la competizione non può essere causa dell’evoluzione, bensì lo è la cooperazione. E non appena si sfiora la cooperazione si passa a massacrare la psicologia evoluzionistica in quanto moda passeggera di un tempo in cui la selezione naturale era invocata per spiegare un po’ tutto.

Infine, il risvolto autobiografico: l’autore sorseggia caffè leggendo il nuovo libro Fodor e Piattelli-Palmarini (Pikaia l’ha sbeffeggiato qui). L’Eureka arriva però solo alla seconda tazza di caffè: l’autore telefona a Fodor per chiedere di spiegare a voce la sua pensata, “come fosse uno studente dell’asilo”, Fodor sentenzia “Non è possibile.” e quindi lo fa lui: 1) La selezione naturale è cieca; 2) Ma se è cieca, senza mente, come fa a selezionare, per esempio, la pelliccia bianca di un orso in un mondo dove la neve è bianca? E se il mondo fosse arancione la pelliccia sarebbe arancione? 3) Tutto ciò “È un affare terribilmente complicato.” assicura Fodor.

… e intanto la certezza che sia una grandiosa bufala filosofica si fa sempre più ingombrante. Quindici minuti, finiti.