Allarme, arrivano i rapaci!

La capacità di comprendere e rispondere a segnali emessi da individui appartenenti ad un’altra specie è ben conosciuta nel regno animale. Tuttavia, per la prima volta viene segnalata questo comportamento in una specie che non adotta la comunicazione vocale. La specie che riceve il segnale è l’iguana marina (Amblyrhynchus cristatus) mentre quella che lo emette è il cucube delle Galapagos

La capacità di comprendere e rispondere a segnali emessi da individui appartenenti ad un’altra specie è ben conosciuta nel regno animale. Tuttavia, per la prima volta viene segnalata questo comportamento in una specie che non adotta la comunicazione vocale. La specie che riceve il segnale è l’iguana marina (Amblyrhynchus cristatus) mentre quella che lo emette è il cucube delle Galapagos (Nesomimus parvulus), un piccolo uccello dell’ordine dei Passeriformes e della famiglia dei Mimidae.

Le iguane marine trascorrono la maggior parte del loro tempo a brucare le alghe che trovano ancoraggio sulle rocce dei fondali marini a basse profondità e una piccola frazione sulle scogliere fuori dall’acqua per riscaldarsi. E’ proprio in questi momenti che risultano più vulneabili agli attacchi di predatori volanti, come gli uccelli rapaci. Quando un rapace si libra nel cielo durante una battuta di caccia, inizia un coro di segnali di allarme emessi dai cucube, una loro potenziale preda. Le iguane hanno “imparato” ad associare il tipico canto di allarme di questi uccelli alla presenza dei rapaci predatori, restando all’erta e precipitandosi in un nascondiglio, diminuendo così le probabilità di essere predati.

Un gruppo di ricercatori della Princeton University ha notato questo comportamento e lo ha testato mediante uno studio sperimentale, riportato sulle pagine della rivista Biology Letters. Gli etologi hanno registrato sia i canti che i segnali di allarme dei cucube e li hanno proposti alle iguane dell’isola di Santa Fe, segnalandone il comportamento. Ebbene, i segnali di allarme aumentavano il livello di allerta dei rettili, inteso come numero di individui che alzavano la testa per guardarsi intorno, del 60% in più rispetto ai normali canti, dimostrando la consequenzialità tra il canto di allarme di Nesomimus parvulus e la risposta antipredatoria delle iguane marine.

Questo è un risultato importante, in quanto le iguane non adottano la comunicazione vocale e può costituire un punto di partenza per future ricerche finalizzate alla comprensione del funzionamento dell’udito di questi animali.

Andrea Romano

La foto è tratta da Wikimedia Commons.