Alle origini del linguaggio umano

Pikaia ha letto per voi “Alle origini del linguaggio umano – il punto di vista evoluzionistico” di Francesco Ferretti

«…i processi a fondamento della comunicazione umana presentano forti affinità con la navigazione spaziale» (p. 114).

Parlare con un interlocutore è un po’ come muoversi nello spazio, mantenendo un equilibrio attraverso un continuo sforzo per superare (o aggirare) ostacoli prossimali, mantenendo come riferimento le nostre mete intermedie e “finali”. Tra i punti principali del libro del filosofo Francesco Ferretti, Alle origini del linguaggio umano. Il punto di vista evoluzionistico (Laterza, 2010), vi è questa messa a fuoco degli aspetti pragmatici del linguaggio: quelli che riguardano la appropriatezza al contesto e la possibilità di “viaggiare” via da esso per costruire “possibili”. Ferretti vede questi aspetti come chiavi di accesso elettive per concepire e studiare l’origine del linguaggio verbale articolato nell’evoluzione della nostra specie.

Senza instaurare una sterile polemica, né fare caricature, Ferretti conduce una densa analisi (proposta soprattutto nei capitoli 1 e 2) di concezioni che partono, invece, dalle proprietà grammaticali e sintattiche del linguaggio – ne è esempio principe il modello della Grammatica Universale (GU) inaugurato da Noam Chomsky cinquant’anni fa (Jackendoff 1993, Pinker 1994) – esplorando le difficili relazioni intrattenute da questi approcci con l’evoluzione. La GU enfatizza le caratteristiche più straordinarie come l’eccezionale «creatività combinatoria del linguaggio (uso infinito di mezzi finiti)» (p. 23), la «possibilità di inviare da una testa all’altra un numero infito di pensieri precisamente strutturati» (p. 29), oppure il fatto che «la trasformazione dei suoni in significati è un processo automatico, involontario e obbligato» (p. 35), veloce. Questo porta a vedere il linguaggio come una funzionalità autonoma e indipendente, gestito da un “modulo mentale” specializzato (Ferretti cita qui Fodor 1983, Cosmides & Tooby 1994), rispetto al quale si pongono seri problemi per la spiegazione evoluzionistica: come può la selezione naturale spiegare un modulo “irriducibilmente complesso” (pp. 11-12)? Drammatizzando – nel capitolo 1 – la corrispondenza tra Darwin da una parte e George Mivart e Alfred R. Wallace dall’altra, Ferretti spiega l’argomento anti-evoluzionistico degli “organi incipienti”: come possono organi complessi formarsi gradualmente, dal semplice al complesso, se gran parte dei primi stadi di tali organi non sono funzionali?

L’autore dedica ampio spazio ai tentativi di riconciliare la GU con l’evoluzione: in molti casi, essi percorrono la via della “ingegneria inversa”, portando però secondo Ferretti a ipotizzare una sequenza di “tappe” evoluzionistiche idealizzate e implausibili; altri tentativi più recenti fanno leva sul meccanismo di “exattamento” (al quale Ferretti si dedica nel capitolo 2), cioè il riutilizzo di strutture biologiche per lo svolgimento di funzioni nuove o aggiuntive. L’esito di queste riconciliazioni è tuttavia, per Ferretti, incoerente. La GU non riesce infatti a sposare con la centralità dell’exattamento uno dei propri assunti fondamentali: l’innatismo del linguaggio (pp. 62-63). Se il linguaggio fosse apparso nell’evoluzione umana come riutilizzo creativo di “sistemi cognitivi” evolutisi per altre funzioni – e dunque non specificamente linguistici – la biologia fornirebbe (ancora oggi) soltanto alcuni vincoli, non deterministici, allo sviluppo del linguaggio. Quest’ultimo sarebbe principalmente dovuto ad apprendimento sociale, «con buona pace di Chomsky».

A Ferretti la visione “exattamentista” del linguaggio sembra piuttosto coerente con l’impostazione di “neoculturalisti” come Terrence Deacon o Ian Tattersall. Analizzando i loro argomenti, Ferretti nota come anch’essi non siano esenti da circolarità logiche (ad esempio: pensiero simbolico e linguaggio sono visti reciprocamente come l’uno il presupposto dell’altro). Ma ciò che più scontenta Ferretti è quanto segue:

«Quando i neoculturalisti sostengono che il linguaggio è un exattamento, lo fanno innanzitutto per sottolineare che non è un adattamento biologico» ( p. 54).

Qui vale la pena di citare lo sfondo problematico più ampio del libro di Ferretti, ovvero la tradizionale resistenza (certamente empirica ma anche ideologica) del linguaggio a una collocazione nel mondo dei processi naturali, e l’utilizzo retorico di questa resistenza per sostenere una discontinuità tra l’uomo e la natura. Il progetto di naturalizzazione del linguaggio (si veda anche il precedente Ferretti 2007) segue, per Ferretti, la strategia di dimostrare che il linguaggio è – o può essere – un adattamento biologico. Ponendo l’exattamento come alternativa all’adattamento, i neoculturalisti tacciono che «exattamento e adattamento sono due facce strettamente correlate del processo evolutivo» (p. 54). Ferretti sembra accantonare qui l’exattamento. Esso però tornerà nella sua proposta teorica, sebbene non esplicitamente, come dirò tra poco.

Qual è, dunque, la proposta teorica di Ferretti? Torniamo all’analogia tra comunicazione linguistica e navigazione nello spazio, più volte richiamata dall’autore nel corso del libro e affrontata esplicitamente nei capitoli 3 e 4. Comunicazione e navigazione sono funzioni svolte, per Ferretti, attraverso la convergenza funzionale di tre “sistemi cognitivi”: (1) intelligenza ecologica, (2) intelligenza sociale, e (3) intelligenza temporale. Come spiegato nel capitolo 3, funzionando insieme, questi tre sistemi formano il Sistema Triadico di Radicamento e Proiezione (STRP) che consente di mantenere orientamento e direzione tanto nella comunicazione quanto nel movimento spaziale. Garantisce infatti a un tempo appropriatezza al contesto e capacità di sganciarsene per immaginare, prevedere, pianificare. Illuminante è il suggerimento (nel capitolo 4) di guardare – invece che alle forme più complesse e perfette di linguaggio grammaticale – a un codice povero, come pidgin hawaiiano, per rendersi conto di come il flusso della comunicazione venga mantenuto ugualmente dal STRP, funzionante al massimo delle sue potenzialità.

Ricalcando una metodologia consolidata nelle scienze cognitive, Ferretti cerca a suffragio della propria ipotesi studi di sindromi che presentano patologie dell’uno o dell’altro componente dell’STRP, e le conseguenti difficoltà di “orientamento” contemporaneamente spaziale e comunicativo. La capacità del STRP di mantenere il flusso di una comunicazione (che è già grammaticale) con sforzo piuttosto che con elaborazione automatica, grazie agli indizi forniti in un codice povero e non sistematico è, per Ferretti, ciò a cui dobbiamo guardare per comprendere la “grammaticalizzazione” e la “convenzionalizzazione” avvenute nel corso della nostra evoluzione – processi che restano inspiegati se si adottano altri modelli del linguaggio. Centrale e più volte citata è la nozione evoluzionistica di “macchina baldwiniana”, una caratteristica fenotipica che consente agli organismi di sopravvivere e riprodursi in modo “sufficiente” e flessibile in contesti diversi, concedendo il tempo alla evoluzione genetica di sperimentare, specializzare, consolidare e rendere ereditabili soluzioni più determinate. Così, il STRP avrebbe consentito nella nostra evoluzione un flusso comunicativo ininterrotto, mentre la grammatica e i simboli si affermavano e si consolidavano, sempre più vincenti, senza ancora essere però “cruciali”. E’ forse qui, per Ferretti, il corretto significato di “exattamento come altra faccia dell’adattamento” (sebbene l’autore non usi più il termine): continuità d’uso e cambio di funzione sono compatibili con l’ulteriore accumulo di cambiamenti genetici associati alla nuova funzione, che la perfezionano e rendono più efficiente.

«Contro la tesi standard, la nostra idea è che la genesi del linguaggio segua un percorso di sviluppo “dal complesso al semplice” e che i costituenti basilari del linguaggio umano vadano individuati nei processi funzionali di carattere olistico che rendono possibile il fluire della comunicazione già prima dell’avvento di un codice espressivo vero e proprio» (p. 117).

Con questa idea Ferretti cerca di affrontare il problema del “primo parlante grammaticale”, un ipotetico individuo con un sistema di comunicazione potenzialmente efficacissimo ma che nessuno dei suoi simili è in grado di capire.

Il libro si conclude con una suggestione sulla coevoluzione. Dire che “cervello e linguaggio coevolvono” è spesso, per Ferretti, semplicistico. Rifacendosi alla recente teoria della “costruzione di nicchia” (Odling-Smee et al. 2003) Ferretti indica una direzione di ricerca che vada a precisare la coevoluzione, verificando la presenza di adattamenti del cervello al linguaggio specifici e governati dalla selezione naturale. Infatti:

«…il linguaggio è al tempo stesso un nuovo (potentissimo) strumento di conoscenza ma è anche un nuovo problema ambientale: una nicchia ecologica a cui l’organismo deve adattarsi [… questo] è un modo per sostenere che il linguaggio è una forma di adattamento biologico, oltre che culturale» (p. 158).

Per occuparsi di evoluzione del linguaggio, è evidente, non vi sono scorciatoie che evitino la necessità di dire che cosa mai sia il linguaggio, “di che cosa sia fatto” il linguaggio. Il libro di Ferretti analizza in modo accurato ma accessibile i principali modelli del linguaggio – che si imperniano su aspetti diversi di esso – scorrendone punti di forza e difficoltà, e mettendo ognuno in relazione con la teoria dell’evoluzione. Tra l’altro, è vero che – come dice Ferretti – «se un modello del linguaggio non è compatibile con l’evoluzione, tanto peggio per il modello»; ma è anche vero che all’affermazione «compatibile con l’evoluzione» si possono dare diversi significati, dal momento che l’evoluzione è un fascio complesso di processi, e che i percorsi esplicativi possono essere molti. Attualmente,

«L’analisi della natura del linguaggio aspetta visioni sintetiche: come mettere in atto un piano del genere?» (p. 70).

Le idee del filosofo del linguaggio Francesco Ferretti, coerenti con una parte crescente della letteratura (accosterei ad es. Botha 2001, 2002, 2003, 2008, Mufwene 2001, 2008, Glackin 2010), sembrano un passo promettente in questa direzione. Diversi passaggi concettuali restano da chiarire: ad esempio, come si arriva dal STRP a un vero e proprio sistema simbolico e grammaticale (GU o altro)? Il passaggio non sembra né banale né irrilevante. Inoltre, queste idee attendono riscontri empirici, non soltanto su questioni interne come «l’idea che i sottocomponenti del sistema triadico convergano funzionalmente» (p. 111), ma forse anche – aggiungo io – che un tale sistema triadico e i suoi sottocomponenti esistano, o quantomeno che questo sia un buon modello della mente. In gran parte si rimane, mi sembra, a un livello speculativo, e anche soltanto immaginare disegni sperimentali appare, in questo momento, al di là della nostra portata. Spesso ci si basa su “prove” indirette come gli studi sulle patologie cognitive. Ma questo è lo stato dell’arte della ricerca in questo campo, e in questo libro si può trovare qualcosa in più per pensare il linguaggio insieme con l’evoluzione, e continuare a cercare.

Ringrazio Edoardo Datteri per gli utili commenti.

Libro recensito:
Ferretti F (2010), Alle origini del linguaggio umano. Il punto di vista evoluzionistico. Roma-Bari: Laterza.

Altri riferimenti:
Botha RP (2001), How much of language, if any, came about in the same sort of way as the brooding chamber in snails?, Language & Communication, 21: 225-243.
Botha RP (2002), Are there features of language that arose like birds’ feathers?, Language & Communication, 22: 17–35. Link
Botha RP (2003), Unravelling the Evolution of Language. Amsterdam: Elsevier.
Botha RP (2008), Prehistoric shell beads as a window on language evolution. Language & Communication, 28(3): 197-212. Link
Cosmides L, Tooby J (1994), Beyond intuition and instinct blindness. Toward an evolutionarily rigorous cognitive science. Cognition 50: 41-77. Trad. it. Oltre l’intuizione e la cecità agli istinti. Verso una scienza cognitiva rigorosamente evoluzionistica. In Adenzato M, Meini C, eds. Psicologia evoluzionistica. Torino: Bollati Boringhieri, 2006.
Ferretti F (2007), Perché non siamo speciali. Roma-Bari: Laterza.
Fodor J (1983), The Modularity of Mind. Cambridge, MA: The MIT Press. Trad. it. La mente modulare. Bologna: Il Mulino, 1988.
Glackin, S.N., 2010. Universal grammar and the Baldwin effect: a hypothesis and some philosophical consequences. Biology & Philosophy. Link
Jackendoff R (1993), Patterns in the Mind. Language and Human Nature. New York: Harvester Wheatsheaf. Trad. it. Linguaggio e natura umana. Bologna: Il Mulino, 1998.
Mufwene S (2001). The Ecology of Language Evolution. Cambridge: Cambridge University Press.
Mufwene S (2008). Language Evolution: Contact, Competition, and Change. Continuum Press.
Odling-Smee J, Laland K, Feldman MW (2003), Niche Construction. Princeton: Princeton University Press.
Pinker S (1994), The Language Instinct. New York: Morrow. Trad. it. L’istinto del linguaggio. Milano: Mondadori, 1997.