Antichi geni per studiare l’evoluzione

Il moscerino della frutta è stato protagonista del primo studio evoluzionistico su geni del passato inseriti in individui viventi, e le sorprese non sono mancate

Drosophila melanogaster, il classico moscerino della frutta, è ormai da lungo tempo uno dei protagonisti assoluti della ricerca genetica. I motivi sono molteplici: il dittero è facilmente allevabile, ha cicli di vita molto rapidi che permettono di studiare numerose generazioni in brevissimo tempo, ha solo quattro coppie di cromosomi e il suo genoma è stato completamente sequenziato da quasi vent’anni. Inoltre le mutazioni genetiche non sono rare, si tratta insomma di una perfetta “palestra” per questo campo di studi. Da oggi, però, al suo “curriculum” di organismo modello per le ricerche in campo genetico si può aggiungere una nuova voce: è stato il primo animale a essere modificato geneticamente per portare su individui viventi geni antichi di milioni di anni, in modo da verificare i loro effetti evoluzionistici.

La ricerca, condotta dal graduate student Mohammad A. Siddiq e dal suo relatore Joseph Thornton dell’università di Chicago, è stata pubblicata su Nature Ecology & Evolution e riguarda una delle caratteristiche salienti del moscerino: la sua capacità di spezzare i legami dell’alcol che si viene a formare sulla frutta in decomposizione. In particolare, Drosophila melanogaster sfrutta a suo vantaggio questa capacità, essendo in grado di sopportare concentrazioni di alcol più elevate di quelle normalmente tollerate dai suoi parenti più stretti. Il gene è coinvolto nella produzione di un enzima specifico, indicato con la sigla ADH, ossia alcol deidrogenasi. Grazie ad altri studi portati avanti nella stessa università venticinque anni fa, si riteneva che l’adattamento evolutivo del moscerino all’etanolo fosse dovuto a uno specifico cambiamento in questa sequenza genetica.

Oggi, grazie alle nuove tecnologie nel campo dell’ingegneria genetica, si è potuto verificare sperimentalmente se questa teoria fosse corretta. Risalendo alla versione originale della sequenza genetica con studi statistici e inserendo le versioni preistoriche del gene in nuovi animali, si sono così osservati i risultati sul comportamento dei moscerini. Le tecniche di ricostruzione dei geni sono state sviluppate dallo stesso Thornton, che ha ideato modelli statistici basati sulle sequenze presenti nei moscerini attuali che permettono di risalire alla loro versione preistorica. Una volta ricostruite, le antiche sequenze possono essere sintetizzate e studiate in laboratorio.

Il cambiamento nel gene che regola la produzione dell’enzima, nella specie in esame, avvenne tra i due e i quattro milioni di anni fa. Per studiare l’antica versione del gene, questa è stata sintetizzata e si è osservata la sua attività in provetta. Sorprendentemente, i risultati dallo studio non hanno confermato l’ipotesi originaria: i cambiamenti avvenuti nel corso dell’evoluzione di Drosophila melanogaster non hanno avuto effetti sulla funzionalità della proteina sintetizzata. Dopo i test in vitro, si è quindi passati allo studio di animali vivi: in collaborazione con David Loehin dell’università del Wisconsin e Kristi Montooth dell’università del Nebraska, Siddiq ha creato moscerini transgenici con la sequenza ancestrale per la sintesi di ADH. Ne sono stati allevati migliaia di esemplari, in modo da testare la loro capacità di rompere i legami dell’alcol. Il risultato, anche in questo caso, è stato inaspettato: la capacità di metabolizzare l’alcol era assolutamente indistinguibile tra i moscerini con l’antica versione del gene e quelli con la sua varietà moderna. E non è tutto: non c’erano sostanziali differenze nemmeno nella loro capacità di crescere e sopravvivere in alte concentrazioni di alcol.

Il moscerino della frutta, insomma, si era ritagliato la sua nicchia ecologica sulla frutta marcescente in maniera del tutto indipendente da questa mutazione. Una teoria quasi universalmente accettata è stata così sbugiardata. Gli indizi forniti dalla fisiologia, dall’ecologia dell’insetto e dalla genetica sembravano supportare in maniera forte questa ipotesi, ma è bastata una prova sperimentale per dimostrare che anche molti indizi non sono sufficienti per fornire una prova, anche quando sono particolarmente eloquenti. I progressi tecnologici che hanno portato a questi risultati, inimmaginabili fino a pochi decenni fa, potrebbero fornire una chiave di svolta in tantissimi studi evoluzionistici in campo genetico. Questo studio quindi, molto probabilmente, è solo il primo di una lunga serie.

Fonte:
Mohammad A. Siddiq, David W. Loehlin, Kristi L. Montooth & Joseph W. Thornton, Experimental test and refutation of a classic case of molecular adaptation in Drosophila melanogaster, Nature Ecology & Evolution 1, Article number: 0025 (2017), doi:10.1038/s41559-016-0025