Armi dal passato

Una delle idee più consolidate e diffuse nella storia dell’umanità è che il passaggio da natura animale a natura umana sia stato una specie di salto quantico, una differenza abissale tra un “prima” e un “dopo” in cui tutte le cose cambiano perché per una qualche ragione nel nostro cervello è scattato un qualcosa che lo ha fatto diventare migliore.

Una delle idee più consolidate e diffuse nella storia dell’umanità è che il passaggio da natura animale a natura umana sia stato una specie di salto quantico, una differenza abissale tra un “prima” e un “dopo” in cui tutte le cose cambiano perché per una qualche ragione nel nostro cervello è scattato un qualcosa che lo ha fatto diventare migliore. Un passaggio estremamente veloce, almeno secondo i tempi evolutivi che tutti pensano si misurino nel giro di centinaia di migliaia di anni, se non milioni.

La maggior parte dei biologi evolutivi accetta questo tipo di visione (qui un’intervista a Ian Tattersall); il problema è che spesso l’accelerazione viene vista come un cambio di velocità così repentino da essere quasi assimilabile a un effetto tunnel evolutivo: prima l’uomo era di qua da una barriera culturale-evolutivo-artistica-sociale, nel giro di poco tempo è saltato dall’altra parte e ha cominciato un cammino di arte, spiritualità, cultura che lo ha portato ai giorni nostri.

È il salto ontologico dei religiosi come il papa precedente. Quando collocarlo? Alcuni lo posizionano nel momento in cui l’uomo ha “inventato” l’arte, cioè circa 50.000 anni fa o poco prima, altri qualche migliaia di anni prima. Ci sono, è vero, coloro che sposano la teoria continuista, per cui non c’è stato nessun salto ontologico né comportamentale e l’evoluzione ha seguito il suo corso senza strappi, ma l’appeal del modello “saltazionista” è troppo forte, anche psicologicamente, per non attirare coloro che si occupano sì di evoluzione, ma soprattutto vogliono comunicarla (Pikaia ne ha parlato qui). Anche nel concetto di scala natura i passaggi non sono mai continui, ma sono rappresentati, appunto, da gradini di una scala, con l’ultimo gradino particolarmente arduo da “saltare”.

In questo discorso si inseriscono due interessanti articoli, pubblicati su Science e Nature, che trattano di armi in senso lato, cioè dei primitivi metodi utilizzati dai nostri antenati, o da noi, per cacciare o in genere fare del male ad altri animali – noi compresi. Il primo articolo, su Science, tratta del fatto che una specie di ominini fu in grado di creare armi costituite da una punta (di solito una pietra appuntita) e da un manico, che ne migliorava la manovrabilità e l’utilizzo (immagine sopra). Il fatto è che le “armi” realizzate in questo modo risalgono addirittura a circa 500.000 anni fa, prima ancora che le linee che hanno condotto a noi e ai Neanderthal si separassero. Sono strumenti che molto probabilmente servivano per abbattere le prede e anche per ferire membri di altre tribù.

La scoperta porta indietro di circa 200.000 anni la creazione di “armi col manico” per così dire, perché rocce affilate e appuntite erano già state descritte in periodi precedenti. Questo significa che molto probabilmente (tutto dipende da quando si assegna il distacco della line umana da quella neanderthaliana) l’antenato comune di Homo sapiens e Homo neanderthalensis possedeva una delle tecnologie più efficaci per catturare le prede e abbattere i nemici.

Un passo fondamentale nella “via verso l’ominazione” direbbero i sostenitori del ‘salto ontologico’ ed è mentalmente molto difficile in effetti sfuggire al fascino della teleologia: le nostre armi ci hanno condotto a dominare il mondo e la loro invenzione è il primo passo verso un fulgido cammino di espansione e “governo” del pianeta. Peccato che le stesse armi siano state inventate e utilizzate da almeno due specie (H. heidelbergensis e H. neanderthalensis) che sono poi scomparse come la maggior parte delle specie di ominidi che ci hanno preceduto. Insomma, non è che avendo in mano l’arma somma e l’intelligenza superiore ti porta automaticamente a dominare il mondo; non esiste destino ultimo e definitivo per le specie, solo il confronto continuo con l’ambiente e le altre forme di vita (comprese quelle della tua specie, popolazione, tribù, famiglia). Che può portare anche all’estinzione.

Conclusioni ancora più complesse sono quelle che si ricavano da altre armi, descritte su Nature. Sono molto più recenti e  molto più raffinate e piccole (immagine). Sono cosiddetti microliti, sassolini piccoli e appuntiti che possono essere disposti su un bastoncino leggero e robusto in modo da funzionare da efficaci strumenti di morte, come frecce o altri strumenti di lancio. Anche qui quello che sorprende sono le date: le punte di freccia hanno infatti almeno 71.000 anni, molto prima di quanto si pensava risalisse la nascita del pensiero moderno. Perché pensiero moderno? Perché, con un ragionamento forse un po’ tirato, ecco cosa dicono i ricercatori: Scientists rely on symbolically specific proxies, such as artistic expression, to document the origins of complex cognition. Advanced technologies with elaborate chains of production are also proxies, as these often demand highfidelity transmission and thus language.

Cosa significa, in breve, tutto questo? Che per costruire le minuscole punte che armavano le frecce, simile a questa di 9.000 anni fa trovata in Svezia erano necessarie, oltre alla materia prima (che in caso era da trovare e preparare) anche capacità mentali non comuni per le altre specie. Che dovevano consentire al creatore prima di tutto di elaborare il pensiero e il progetto (il processo è piuttosto complesso – ci sono almeno sei passaggi – e implica l’affilamento delle piccole rocce e il loro indurimento sul fuoco), ma soprattutto di comunicarlo agli altri membri della tribù, in modo che la tecnologia non vada persa e si inneschi così una specie di evoluzione culturale con dinamiche lamarckiane e dalla durata tendenzialmente infinita nel tempo. È quindi assolutamente necessario un linguaggio simbolico completo e complesso, senza il quale il passaggio di informazioni è impossibile.

Ma le piccole punte di freccia erano troppo raffinate per poter pensare che fossero nate “improvvisamente”, con un salto che ha portato dalle “scimmie” all’uomo. Sono senz’altro uno dei punti di passaggio di una tecnologia lenta (anche se magari non costante) che ha portato dalle grossolane punte di 500.000 anni fa alle raffinate microfrecce di 71.000 anni fa. Quest’ultima tecnologia, secondo gli autori, rappresenta alla perfezione il passaggio da uomo come specie biologica a uomo come specie simbolica. Un passaggio che è avvenuto appunto grazie al linguaggio e all’elaborazione e la manipolazione di segni e simboli, indispensabili per una nuova “classificazione” dell’uomo. Anche perché il processo stesso doveva essere per forza pianificato a lungo, nel corso di settimane se non mesi, e anche questo va a favore della nascita di una mente diversa.

Non è finita; secondo gli autori, le frecce e le lance (addirittura usate con un propulsore) avrebbero potuto essere una delle armi che hanno permesso alla nostra specie di affrontare l’allora abitante dell’Europa quando ci siamo arrivati, cioè il nostro cugino Neanderthal. Un altro passaggio importante nel dominio del pianeta. In conclusione, non sono necessarie le opere d’arte per dire che l’uomo è diventato qualcosa di diverso dalla natura, come pensato finora. Basta, e avanza, la semplice tecnologia.

Da Leucophaea, blog di Marco Ferrari

Riferimenti:

Wilkins, J., Schoville, B., Brown, K., & Chazan, M. (2012). Evidence for Early Hafted Hunting Technology Science, 338 (6109), 942-946 DOI: 10.1126/science.1227608 

Brown, K., Marean, C., Jacobs, Z., Schoville, B., Oestmo, S., Fisher, E., Bernatchez, J., Karkanas, P., & Matthews, T. (2012). An early and enduring advanced technology originating 71,000 years ago in South Africa Nature DOI: 10.1038/nature11660