Basta un gene per infettare un nuovo ospite

La simbiosi tra animali e batteri è oggetto di numerosi studi poiché rappresenta una forma estremamente avanzata di interazione tra viventi che porta ad una vera e propria interdipendenza tra l’ospite ed il batterio simbionte. Tuttavia, a dispetto di tale interesse, sono ancora poco chiari i meccanismi tramite cui possa instaurarsi una simbiosi e su come l’ospite riconosca i simbionti.

La simbiosi tra animali e batteri è oggetto di numerosi studi poiché rappresenta una forma estremamente avanzata di interazione tra viventi che porta ad una vera e propria interdipendenza tra l’ospite ed il batterio simbionte. Tuttavia, a dispetto di tale interesse, sono ancora poco chiari i meccanismi tramite cui possa instaurarsi una simbiosi e su come l’ospite riconosca i simbionti.

A differenza degli insetti in cui i simbionti batterici sono trasferiti direttamente dalla madre alla prole in modo verticale, in molti animali (tra cui anche l’uomo) alla nascita non è presente alcun simbionte, motivo per cui ogni individuo deve essere in grado di costruirsi il proprio microbiota identificando i batteri da mantenere come simbionti rispetto al resto della comunità batterica. Al momento però le basi di questo riconoscimento sono poco note, così come sono spesso poco chiari i meccanismi per cui si creare una specificità di rapporto tra un animale ed un nuovo patogeno batterico rendendo difficile capire perché due batteri appartenenti allo stesso genere e con genoma molto simile possano avere animali diversi come ospiti.

Per rispondere a questo quesito il gruppo di ricerca di Edward G. Ruby presso l’University of Winsconsin a Madison (USA) ha verificato come conferire al ceppo MJ11 del batterio Vibrio fischeri la capacità di infettare il calamaro Euprymna scolopes, infezione che in natura non avviene in modo efficace. In particolare, Ruby e colleghi hanno dimostrato che il trasferimento del gene codificante la chinasi RscS nel genoma di V. fischeri permette a questo batterio di infettare il nuovo ospite in modo molto efficace. Questo risultato è di grande interesse poiché il gene trasferito non codifica per un effettore ovvero non codifica per una proteina che conferisce la specie-specificità, ma è bensì un gene regolatore che attiva altri geni già presenti nel genoma.

Un singolo gene può quindi permettere il riconoscimento di un nuovo ospite da infettare semplicemente regolando in modo diverso i geni presenti nel batterio. Questo aspetto è molto interessante poiché spiega, ad esempio, perché ceppi di Salmonella e di Brucella, estremamente simili da un punto di vista genomico, hanno diverse specificità di infezione. Sulla base dei dati riportati da Ruby, anche in questi casi la differenza potrebbe non essere nella presenza di effettori diversi, ma spiegarsi sulla base di un diverso uso dei geni presenti.

Un ulteriore aspetto di interesse deriva dal fatto che numerose pubblicazioni hanno indicato la possibilità di trasferimento genico laterale tra batteri presenti in uno stesso ospite ad indicare che l’eventuale trasferimento di uno o pochi geni potrebbe trasformare un patogeno in un potenziale nuovo simbionte.

Lo studio della simbiosi potrebbe quindi permetterci di chiarire come funziona il processo di scelta di un ospite da infettare e di conseguenza anche come un batterio possa evolvere la possibilità di infettare nuovi ospiti nel corso del tempo.

Mauro Mandrioli

Mark J. Mandel, Michael S. Wollenberg, Eric V. Stabb, Karen L. Visick, Edward G. Ruby (2009) A single regulatory gene is sufficient to alter bacterial host range. Nature 458, 215-218.