Chi ha ucciso i mammuth?

Comprendere meglio la storia della vegetazione artica potrebbe finalmente aiutare i ricercatori a trovare il colpevole dell’estinzione di massa dei grandi mammiferi dopo l’ultima era glaciale. Gli indizi giusti arrivano dal DNA conservato nel permafrost

Le attuali ricostruzioni della storia della vegetazione artica sono state realizzate principalmente a partire dall’analisi di campioni di polline, oppure, dove possibile, dallo studio di fossili. Queste analisi avevano dipinto l’ambiente artico durante l’ultima era glaciale come una steppa, dominata principalmente da graminacee, di cui si nutrivano i grandi mammiferi. 
 
Recentemente, un approccio complementare sta aprendo nuove strade di ricerca e sembra poter far luce su molti dei punti oscuri del passato dell’artico: si tratta dell’analisi del DNA ambientale, frammenti di DNA animale e vegetale preservati nei sedimenti di permafrost. A differenza del polline e dei fossili, l’analisi del DNA ambientale permette di stimare non solo il dato qualitativo (permettendo un’identificazione delle specie più fine a livello tassonomico) ma anche la diversità quantitativa di piante e animali. 
Un nuovo studio pubblicato su Nature descrive l’applicazione di questo approccio agli ultimi cinquantamila anni di storia della vegetazione artica, con l’analisi del DNA ambientale di 242 campioni di sedimenti da 21 siti in tutto l’artico. I risultati ottenuti sono stati incrociati con quelli derivati dall’analisi della diversità dei nematodi e della dieta della megafauna erbivora estinta, nel tentativo di ricostruire la variazione della flora nell’ambiente artico per tre periodi distinti, prima durante e dopo l’ultimo massimo glaciale (pre-LGM: 50-25mila anni fa; LGM:  25-15mila anni fa; post-LGM: 15-0mila anni fa).
I risultati di questo innovativo approccio di ricerca suggeriscono un quadro molto diverso da quello ipotizzato finora e descrivono un ambiente molto più ricco di diversità, dominato da piante ricche di proteine, dette “forbs”. Il ritrovamento del DNA di queste specie nella maggior parte dei campioni di coproliti e nel contenuto dello stomaco di vari esemplari di mammuth, rinoceronti, bisonti e altri mammiferi esaminati, fa ipotizzare che fossero proprio le forbs la componente principale della dieta della megafauna artica e non le graminacee, come finora era stato ipotizzato. Il DNA ambientale ci rivela, inoltre, che in seguito all’ultimo massimo glaciale, la diversità subì un marcato declino, portando alla comparsa di una tundra umida dominata in gran parte da piante legnose e graminacee. Proprio questa trasformazione radicale della vegetazione, in seguito ai cambiamenti climatici, potrebbe essere “l’arma del delitto” che mancava ai ricercatori per ricostruire la storia dell’estinzione di massa dei grandi mammiferi artici. 
Silvia Demergazzi
Riferimenti:
Fifty thousand years of Arctic vegetation and megafaunal diet. Willerslev E. et al. Nature 2014; 506: 47-51.
Fonte Immagine: Wikimedia Commons