Co-evoluzione e simbiomi: proposto un nuovo paradigma alla base dell’albero della vita

Un nuovo approccio nello studio delle relazioni filogenetiche, basato sull’utilizzo dei simbiomi, potrebbe aiutare gli scienziati a definire in modo più preciso i meccanismi alla base dell’evoluzione degli organismi e degli ecosistemi e a fare maggiore luce sull’importanza delle relazioni biotiche

Era il 1837 quando Darwin, da poco tornato dal suo viaggio intorno al mondo a bordo del Beagle, abbozzò in uno dei suoi celeberrimi taccuini il primo “albero della vita”, una rappresentazione schematica per rappresentare le relazioni evolutive tra i viventi, descrivendolo in questo modo: “ Le affinità tra esseri viventi della stessa classe sono state a volte rappresentate come un grande albero. E come le gemme, crescendo, danno origine a nuove gemme, e queste, se forti si estendono dando vita a ramoscelli che sovrastano i numerosi rami più deboli, così nel corso delle generazioni io ritengo sia avvenuto con l’albero della vita, che riempie con i suoi rami morti e spezzati la superficie terrestre, e ne ricopre la superficie con gli splendidi rami in continua suddivisione”.

Nonostante la fondamentale importanza che ebbero le teorie di Darwin e la sua intuizione che tutti gli esseri viventi fossero “imparentati”, da allora numerosissime sono state le scoperte, soprattutto nel campo della genetica, che hanno portato a vere e proprie rivoluzioni di questo primo “albero filogenetico”, arricchendolo di ramificazioni e facendogli assumere una forma sempre più simile ad una rete piuttosto che ad un albero.

Negli ultimi anni, soprattutto grazie alla metagenomica, sono state descritti numerosi nuovi microorganismi che non conducono vita libera, ma si sono evoluti come spazzini, parassiti, simbionti (Pikaia ne ha già parlato qui).  Alcuni ricercatori guidati da Debashish Bhattacharya della Rutgers University, in un articolo pubblicato sulla rivista Trends in Ecology and Evolution ritengono sia necessario un nuovo approccio per lo studio della filogenesi, che tenga conto delle numerosissime specie che dipendono l’una dall’altra per la sopravvivenza, come le diverse forme di batteri che coesistono insieme ad esseri umani, coralli, piante o alghe.

L’obiettivo degli scienziati è quello di trasformare l’albero della vita, bidimensionale, in una versione multidimensionale, che includa le interazioni biologiche tra specie diverse. I ricercatori partono dal concetto di simbioma, col quale intendono forme di vita associate fisicamente e  che si evolvono insieme (Pikaia ne ha già parlato qui) in un rapporto di co-dipendenza. Utilizzando tale definizione, distinguono il simbioma dall’olobioma, col quale invece vengono prese in considerazione specie associate fisicamente ma che non necessariamente sono in rapporto di co-evoluzione e co-dipendenza.

Incorporando il simbioma, viene ipotizzata una nuova struttura per l’albero della vita, definita SYMPHY (da Symbiome Phylogenesis). Utilizzando metodi computazionali, i ricercatori si prefiggono così di descrivere in maniera molto più dettagliata l’evoluzione di organismi ed ecosistemi, permettendo uno studio più accurato anche dei procarioti, i cui meccanismi di variazione naturale, di tipo quantitativo, differiscono in larga misura da quelli degli eucarioti, e non erano facilmente analizzabili con la filogenesi classica.

Gli scienziati vorrebbero riuscire, implementando il loro progetto di ricerca, a fare adottare il loro approccio sistematico in tutti i dipartimenti con differenti specialità (zoologia, botanica, microbiologia, entomologia), per lavorare insieme nel descrivere come le interazioni biotiche siano importanti per l’evoluzione, l’ecologia e la biologia delle specie viventi.

Riferimento:
Erin A. Tripp, Ning Zhang, Harald Schneider, Ying Huang, Gregory M. Mueller, Zhihong Hu, Max Häggblom, Debashish Bhattacharya. Reshaping Darwin’s Tree: Impact of the Symbiome. Trends in Ecology and Evolution, June 2017 DOI: 10.1016/j.tree.2017.05.002

Immagine da Wikimedia Commons