Dal Giappone ecco le scimmie fluorescenti

Per la prima volta è stata creata una generazione di scimmie, della specie Callithrix jacchus, portatrici di un gene che trascrive una proteina verde fluorescente (GFP), pienamente integrato del loro DNA. Lo studio, che ha meritato la copertina di Nature, rappresenta il primo passo verso l’utilizzo di questi organismi come modello per studiare le malattie umane. Già un’altra ricerca, condotta

Per la prima volta è stata creata una generazione di scimmie, della specie Callithrix jacchus, portatrici di un gene che trascrive una proteina verde fluorescente (GFP), pienamente integrato del loro DNA. Lo studio, che ha meritato la copertina di Nature, rappresenta il primo passo verso l’utilizzo di questi organismi come modello per studiare le malattie umane.

Già un’altra ricerca, condotta lo scorso anno (Pikaia ne ha parlato qui), aveva realizzato scimmie transgeniche (della specie Macaca mulatta) per lo studio della malattia di Huntington, ma il gene non era pienamente integrato nel genoma e non poteva, dunque, essere trasmesso alle generazioni successive. Un gruppo di ricercatori giapponesi, capeggiato da Erika Sasaki, si è servito di un vettore batterico, un plasmide, per inserire con successo la GFP nel genoma di una femmina di uistitì dai pennacchi bianchi. Successivamente, come si può vedere dall’immagine, lo stesso gene è stato trasmesso senza problemi ai propri figli, che si sono sviluppati normalmente e  risultano tutti in piena salute e con il transgene espresso in numerosi distretti del corpo.

Questo studio getta le premesse per l’utilizzo di questa specie come modello per lo studio delle patologie che copliscono l’uomo, in particolare quelle che riguardano il funzionamento del cervello. Fino ad oggi, infatti, la specie più usata per questi scopi è stato il topo, che ha consentito ai ricercatori di tutto il mondo di ampliare enormemente le conoscenze riguardo numerose comuni malattie, ma che, tuttavia, sembra inadeguato per lo studio di quelle patologie che in questa specie, così filogeneticamente distante da noi, non possono manifestarsi.

Lo stesso numero di Nature riporta anche un commento che mette in luce, oltre all’importanza della scoperta, gli aspetti bioetici di questa ricerca e dell’eventuale futuro utilizzo di questi organismi come modello per lo studio delle patologie umane.

Andrea Romano

Riferimenti:
Erika Sasaki, Hiroshi Suemizu, Akiko Shimada, Kisaburo Hanazawa, Ryo Oiwa, Michiko Kamioka1, Ikuo Tomioka, Yusuke Sotomaru, Reiko Hirakawa, Tomoo Eto, Seiji Shiozawa, Takuji Maeda, Mamoru Ito, Ryoji Ito, Chika Kito, Chie Yagihashi, Kenji Kawai, Hiroyuki Miyoshi, Yoshikuni Tanioka, Norikazu Tamaoki, Sonoko Habu, Hideyuki Okano, Tatsuji Nomura. Generation of transgenic non-human primates with germline transmission. Nature, 2009; 459 (7246): 523 DOI: 10.1038/nature08090

Gerald Schatten, Shoukhrat Mitalipov. Developmental biology: Transgenic primate offspring. Nature, 2009; 459 (7246): 515 DOI: 10.1038/459515a