Delezioni e duplicazioni alla base delle differenze tra le grandi scimmie e l’uomo

Nuovi assemblaggi di alta qualità di genoma di scimmie antropomorfe sono stati ricostruiti senza l’ausilio del DNA umano: lo sforzo è quello di tentare di ridurre l’ “umanizzazione” del genoma delle grandi scimmie per evidenziare le differenze che sono sorte da quando gli umani si sono separati dal resto dei primati

I nostri parenti più stretti a livello evolutivo sono le grandi scimmie antropomorfe: gorilla, oranghi, scimpanzé e bonobo. Molti studi sui loro genomi sono stati compiuti usando come guida il genoma umano con lo scopo di colmare i gap che si presentavano Questo tuttavia spesso non ha permesso di scoprire e osservare in maniera approfondita le differenze funzionali che stanno alla base della distinzione tra esseri umani e grandi scimmie umanizzando il genoma di queste ultime.

Un progetto, guidato da Zev N. Kronemberg e Evan Eichler che coinvolge differenti istituzioni e più di 40 scienziati, ha portato alla produzione (built from scratch) di genomi di orango e di scimpanzé di alta qualità assemblando lunghe sequenze con tecniche di sequenziamento PacBio e con tecnologia di mappature a lunga sequenza. I genomi così ottenuti, senza l’uso di genoma umano come guida, risultano essere una risorsa preziosa nella scoperta di nuovi geni che permettono una comparazione migliore tra le diverse specie. La ricerca è poi proseguita confrontando questi due genomi confrontandoli con quello di gorilla precedentemente generato e due genomi umani.

L’indagine, i cui risultati sono stati pubblicati su Science, ha condotto alla produzione di un vasto catalogo di varianti genetiche (più di 500,000) che sono state acquisite o perse nei differenti lignaggi di ogni specie delle grandi scimmie. Alcune di queste varianti si è visto che modificano l’espressione genica che sta alla base di numerose differenze tra uomini e scimmie. Lo studio si è focalizzato su come le varianti esercitano le funzioni riguardo l’anatomia, lo sviluppo cerebrale e la dieta. Per esempio si è scoperto che gli esseri umani hanno subito la delezione di alcuni geni coinvolti nella sintesi degli acidi grassi che hanno portato a cambiamenti legati alla dieta e al metabolismo. Queste mutazioni possono aver avuto un ruolo rilevante nell’evoluzione delle scimmie e nella varietà di dieta che presentano le differenti specie.

La ricerca è stata poi rivolta su organoidi di cervello ottenuti stimolando cellule staminali a formare versioni semplificate dell’organo in questione. L’osservazione e il confronto dello sviluppo tra questi surrogati di cervello di uomo e di scimpanzé ha mostrato come nel primo certi geni subiscano una regolazione inferiore rispetto al secondo mostrando sequenze regolative delete. Il fatto che nell’essere umano l’espressione genica sia regolata in maniera minore può essere la chiave per comprendere alcune delle differenze tra noi e gli scimpanzé generatisi in seguito alla separazione delle due linee evolutive . Di contro si è notato che a causa di probabili duplicazioni, nell’uomo, alcuni geni che codificano per progenitori neuronali e neuroni eccitatori siano legati a una sovra regolazione.

I ricercatori affermano che le loro scoperte coincidono con i precedenti studi sul genoma del ramo delle grandi scimmie africane che pare sia passato sotto un processo di espansione di duplicazione di segmenti di DNA più di 10 milioni di anni fa. Queste ripetizioni di sezioni di genoma potrebbero aver reso il genoma più portato ad aventi di duplicazione e delezione, accelerando il tasso di mutazione che hanno causato la diversificazione delle scimmie antropomorfe.

Riuscire a costruire sequenze sempre più lunghe e di alta qualità di genoma di scimmia è per i ricercatori fondamentale anche se difficile per aumentare la conoscenza sul viaggio evolutivo che ha portato alle moderne scimmie antropomorfe e i nostri antenati umani e comprendere quali differenze ci rendono così “unicamente umani”.

Articolo:
Kronenberg et al. High-resolution comparative analysis of great ape genomesScience, 2018; 360 (6393): eaar6343 DOI: 10.1126/science.aar6343

Immagine: Photo by Aaron Logan, via Wikimedia Commons