Dimostrata sperimentalmente la teoria della kin selection

Una ricerca ha studiato la teoria della selezione parentale nelle api da un punto di vista genetico, dimostrando che questi insetti hanno la capacità di modificare i propri comportamenti in base all’espressione dei geni materni e di quelli paterni

Nel regno animale sono molte le specie in cui si verificano comportamenti altruistici, un paradosso evolutivo, in quanto essi impongono costi personali in favore di altri individui. La teoria più accreditata nel spiegare questo fenomeno, sviluppata per la prima volta da William Hamilton nel 1964, è quella della selezione di parentela (kin selection), secondo cui la selezione naturale avrebbe favorito l’evoluzione di comportamenti altruistici che permettono a individui che condividono lo patrimonio genetico simile (quindi individui imparentati) di mettere a disposizione le proprie risorse per il beneficio dei propri parenti, garantendo ugualmente il passaggio alle generazioni successive dei propri geni. I comportamenti altruistici sarebbero quindi, in un certo senso, una forma di egoismo, in quanto risultano vantaggiosi solo nei confronti di individui imparentati.

In uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, un gruppo di entomologi della Washington University a St. Louis ha cercato di spiegare la teoria della kin selection da un punto di vista genetico, esaminando il comportamento sociale dell’ape (Apis mellifera). Come molti altri imenotteri eusociali, questa specie presenta infatti una particolare organizzazione sociale, composta da una singola ape regina, l’unico individuo in grado di riprodursi nell’alveare, e migliaia di api operaie sterili che svolgono tutti gli altri compiti all’interno della colonia, compreso quello di accudire la prole della regina. La presenza di caste sterili negli imenotteri eusociali è considerato il comportamento altruistico per eccellenza nel regno animale. Tuttavia, tale comportamento altruistico sembra talvolta perdersi, ma solo quando nell’alveare viene a mancare l’ape regina. In questo caso, infatti, le api operaie hanno la possibilità di scegliere se continuare a svolgere le proprie funzioni, rimanendo sterili e aiutando lo sviluppo della vecchia e della nuova prole, oppure comportarsi in maniera egoistica, attivando le proprie ovaie e deponendo uova non fecondate che si svilupperanno in individui maschi.

Cosa determina questa variazione del comportamento? I ricercatori hanno dimostrato che passaggio dall’altruismo all’egoismo delle operaie dipende dai geni che questi insetti ereditano dalla madre (geni materni) e da quelli ereditati dal padre (geni paterni). La prevalenza nell’attivazione dei geni materni infatti stimola un comportamento altruistico che permette alle operaie di rinunciare alla produzione della loro prole per salvaguardare quella dei propri parenti (in questo caso della nuova regina). La prevalenza nell’attivazione dei geni paterni invece promuove un comportamento egoistico, che stimolerà le operaie a deporre le uova, passando così il proprio genoma alla generazione successiva.

Questo conflitto intragenomico sembra dipendere dalla diversa espressione dei geni materni e paterni. Infatti, tutte le api operaie condividono i geni della stessa madre, ma non quelli dello stesso padre, in quanto un’ape regina, durante la fase di riproduzione, può accoppiarsi addirittura con dieci o più individui maschi. Di conseguenza, in una colonia in cui l’ape regina è venuta a mancare, quando prevalgono i geni paterni, le api operaie provano a riprodursi, mostrando così l’espressione un comportamento egoista.

Questa previsione è stata testata quantificando l’espressione dei geni di origine paterna, mediante l’identificazione di migliaia di polimorfismi di singoli nucleotidi. A tal fine, i ricercatori hanno creato 18 incroci maschio-femmina utilizzando due ‘tipi’ differenti di api; quelle africane (che producono ovaie più grandi) e quelle europee (che producono ovaie più piccole). In seguito la progenie di questi incroci è stata posta in una condizione senza regina per stimolare l’attivazione dell’ovaio.

Dai risultati ottenuti, gli studiosi hanno ottenuto che le api operaie, nate dall’incrocio tra padri africani e madri europee, hanno ovaie più grandi e con una maggiore probabilità di diventare sessualmente attive rispetto a quelle nate dall’incrocio tra madri africane e padri europei, dimostrando che in una condizione in cui in un alveare manchi l’ape regina, sono i geni paterni ad essere maggiormente espressi, stimolando maggiormente l’attività di riproduzione nelle api operaie, rispetto a quelli materni.

In conclusione, sembra che questo modello, secondo cui i geni ereditati dai due genitori possano entrare in conflitto all’interno dello stesso individuo (conflitto intragenomico), possa essere estendibile a moltissime specie di insetti e fornisca previsioni molto dettagliate su come questi geni si comportano nelle differenti strutture sociali.

Riferimenti:
David A. Galbraith, Sarah D. Kocher, Tom Glenn, Istvan Albert, Greg J. Hunt, Joan E. Strassmann, David C. Queller, Christina M. Grozinger. Testing the kinship theory of intragenomic conflict in honey bees (Apis mellifera). Proceedings of the National Academy of Sciences, 2016; 201516636 DOI: 10.1073/pnas.1516636113

 

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