Ecco Tito, il primo dinosauro sauropode italiano

Era un titanosauro di sei metri. Le ossa studiate al Museo di Storia Naturale di Milano

Un gruppo di paleontologi italiani svela oggi, con un articolo pubblicato sulla rivista internazionale Cretaceous Research, che ossa fossili trovate sui Monti Prenestini, a meno di 50 km da Roma, appartengono ad un titanosauro. Con questo, i resti scheletrici di dinosauri trovati in Italia diventano cinque e ben tre di essi sono stati studiati al Museo di Storia Naturale di Milano, uno dei principali musei civici del Comune di Milano – Cultura, che si conferma come centro di eccellenza nelle ricerche sui dinosauri italiani.

Scipionyx detto “Ciro” è stato il primo in assoluto, ed è un teropode – un dinosauro carnivoro bipede. Queste nuove ossa, seppur poche, risalgono a 112 milioni di anni fa e appartengono ad un sauropode, che rappresenta il primo dinosauro erbivoro quadrupede dal collo lungo scoperto in Italia, e il più antico rappresentante del gruppo dei Titanosauri in Europa meridionale. Da qui il soprannome di Tito, che evoca anche un imperatore romano della vicina Capitale.

La presenza in Italia centrale di un dinosauro medio-grande (quando morì, Tito era lungo almeno 6 metri, ma stava ancora crescendo) indica che nel Cretaceo inferiore la nostra paleo-penisola doveva formare una catena di piattaforme più ampie del previsto, che consentivano il passaggio di dinosauri e altri animali terrestri tra Africa ed Europa attraverso il Mare di Tetide, antenato del Mediterraneo. La scoperta dunque aggiunge dati paleogeografici importanti per la conoscenza della preistoria d’Italia.

La scoperta
Anni fa, Antonio Bangrazi, mentre costruiva un muretto a secco con massi recuperati da una parete rocciosa situata tra i comuni di Cave e Rocca di Cave, presso Palestrina (Roma), si accorse che alcuni blocchi sembravano contenere ossa fossilizzate. Ma non le mostrò a nessuno fino all’estate del 2012, quando l’amico Gustavo Pierangelini, fortemente incuriosito, riuscì a fotografarle e ad inviarle per email a Cristiano Dal Sasso, del Museo di Storia Naturale di Milano (MSNM), per una valutazione paleontologica preliminare. “Confermai subito la presenza di ossa fossili, ma per capirne la forma e classificarle era necessario estrarle dalla roccia” – dice Dal Sasso. Pertanto il ritrovamento fu notificato prima a Sandra Gatti, poi ad Alessandro Betori, funzionari della Soprintendenza del Lazio e dell’Etruria meridionale guidata da Alfonsina Russo, che autorizzarono le successive indagini e il deposito dei reperti presso il MSNM. Mesi orsono, da uno dei blocchi affidati a Fabio Fogliazza (Laboratorio di Paleontologia del MSNM) era emersa una vertebra quasi completa, che mostrava inequivocabili caratteri diagnostici: stava emergendo la carta d’identità di un dinosauro mai visto in Italia.

Chi è Tito?
“Datemi un osso, e io ricostruirò l’intero animale” diceva il famoso anatomista francese Cuvier. “E così abbiamo fatto con Tito” – ricorda Cristiano Dal Sasso. Infatti delle tre ossa estratte, due sono frammentarie, tanto che si può solo dedurre che appartengano a porzioni del cinto pelvico di un grande rettile. Invece la vertebra, perfettamente conservata in 3D, manca soltanto della spina neurale e di una articolazione sul lato destro. L’assenza di attacchi per le costole del collo e del torace ha indicato ai paleontologi che si trattava di una vertebra caudale e le ridotte dimensioni di due spine laterali ha suggerito la sua collocazione nella metà anteriore della coda. L’arco neurale, che è il ponte osseo che racchiude il canale in cui passano i nervi, è saldato sul corpo della vertebra molto in avanti, nella metà anteriore: questa caratteristica è tipica dei dinosauri sauropodi molto evoluti e, insieme ai due bracci ossei, chiamati prezigapofisi, che si protendono in avanti oltre il corpo vertebrale, indica senza ombra di dubbio che la vertebra di Rocca di Cave appartiene ad un sauropode del gruppo dei Titanosauri. Confrontando la nuova vertebra con le vertebre caudali dei titanosauri trovati in precedenza nei vari continenti, le maggiori somiglianze sono emerse con una specie sudamericana e con alcune specie africane.

L’articolo scientifico pubblicato online
L’articolo scientifico a supporto di questa scoperta, intitolato “First sauropod bones from Italy offer new insights on the radiation of Titanosauria between Africa and Europe”, è ora online sul sito della quotata rivista Cretaceous Research e nelle prossime settimane sarà pubblicato anche in forma cartacea. Il gruppo di studio, messo insieme da Cristiano Dal Sasso (MSNM), è composto dal paleontologo milanese e da Gustavo Pierangelini (ingegnere e paleontologo autodidatta), Federico Famiani (Parco Regionale del Monte Subasio), Andrea Cau (Università e Museo “Capellini” di Bologna) e Umberto Nicosia (“Sapienza” Università di Roma). L’articolo è diviso in due sezioni principali: la prima descrive in dettaglio i caratteri anatomici che hanno reso possibile attribuire la vertebra caudale ad un titanosauro, la seconda mostra come questo nuovo dinosauro confermi l’ipotesi che nel Cretaceo l’Italia non fosse tutta sommersa dal mare ma facesse parte, almeno sporadicamente, di un corridoio percorribile dai dinosauri che si spostavano tra l’Africa e l’Europa.

Ricostruzione generalizzata di un titanosauro (copyright, Marco Auditore - 2016) ed indicate, in rosso, la posizione delle ossa rinvenute.

Ricostruzione generalizzata di un titanosauro (copyright, Marco Auditore – 2016) ed indicate, in rosso, la posizione delle ossa rinvenute.


Antenati africani?
“Visto al microscopio, il sedimento che inglobava le ossa di Tito è pieno di microfossili marini che non lasciano dubbi: la carcassa del dinosauro fu smembrata dalle onde, su una spiaggia che risale a 112 milioni di anni” – dice il geologo Federico Famiani. “In Europa si conoscono pochissimi titanosauri risalenti questo periodo, il Cretaceo inferiore – continua Gustavo Pierangelini – tanto che il nostro esemplare si può considerare il più antico titanosauro dell’Europa meridionale”. Questo dato, e la particolare somiglianza con il titanosauro africano Malawisaurus, fa pensare che gli antenati di Tito siano riusciti ad attraversare il mare di Tetide, antenato del Mediterraneo, tramite un “ponte filtrante” composto da una catena di isole e penisole, chiamate “piattaforme carbonatiche periadriatiche” che, quando il livello del mare si abbassava, emergevano sporadicamente dove oggi si trova l’Italia. “Orme di titanosauro, trovate sempre in territorio laziale, indicano che questi episodi di emersione erano più frequenti di quanto pensassimo” – puntualizza Umberto Nicosia. Ma l’ipotesi delle connessioni tra Africa ed Europa andava testata con metodo scientifico. Andrea Cau, esperto in analisi filogenetiche e paleobiogeografiche, ha dunque inserito le caratteristiche anatomiche di Tito e la sua posizione geografica in una matrice di dati, comprendente molti altri titanosauri di varie parti del mondo: “abbiamo fatto due test, e in entrambi i casi risulta che il titanosauro italiano ha una parentela più stretta con quelli africani ed eurasiatici, rispetto ai titanosauri di altre regioni paleogeografiche. Dunque in qualche modo queste popolazioni entravano in contatto tra loro”.

Un modello a grandezza naturale
La vertebra di Tito è lunga quasi 10 centimetri. Considerando che un titanosauro possedeva almeno 35 vertebre soltanto nella coda, 10 nel collo e 13 nel tronco, possiamo stimare una lunghezza di quasi 6 metri per l’intero animale. Alcuni indizi, come la mancanza di due “ali” laterali formate da ossa che si fondevano al corpo vertebrale solo in età adulta, fa pensare che il nostro titanosauro stesse ancora crescendo. Del resto, il record del dinosauro più grande del mondo è conteso proprio da due specie di titanosauri argentini (Argentinosaurus e Dreadnoughtus), i cui adulti pare raggiungessero i 40 metri di lunghezza. Volendo essere cauti, abbiamo quindi chiesto alla Geo-Model di Mauro Scaggiante, specializzata nella realizzazione di modelli di dinosauri di alta qualità scientifica, di materializzare “in carne e ossa” il primo sauropode italiano. Ne è risultato un animale lungo 5 metri e 50 centimetri, che in vita doveva pesare non meno di 600 chili.

Una vertebra unica al mondo
Non è una battuta: la vertebra del primo titanosauro italiano è unica al mondo. In un particolare anatomico è diversa dalle vertebre che si trovano nel corpo di tutti gli altri dinosauri – anzi, di tutti i vertebrati terrestri. Oltre allo “snodo” principale, formato da una mezza sfera e da una concavità di forma complementare, poste ai due estremi del corpo vertebrale, le vertebre possiedono un’altra articolazione, formata da due coppie di facce che si trovano sull’arco osseo attaccato sopra il corpo della vertebra. Queste facce si chiamano zigapofisi e servono per limitare i movimenti della colonna vertebrale, ottimizzando l’azione di muscoli e tendini. Le due facce articolari dirette in avanti, verso la vertebra precedente, si chiamano prezigapofisi; quelle dirette verso la vertebra che segue si chiamano postzigapofisi. A coppie, le une toccano dunque le altre, in una catena che percorre tutto il corpo e che termina solo poco prima della punta della coda. Ebbene: in tutti i vertebrati, compresi dinosauri ed esseri umani, le prezigapofisi si affacciano una verso l’altra e anche verso l’alto, obliquamente, mentre nella vertebra di Tito si affacciano obliquamente verso il basso; invece le postzigapofisi, che di norma si affacciano verso l’esterno e verso il basso, in Tito si affacciano verso l’alto. In sostanza, le zigapofisi di Tito sono… invertite! 

Poiché abbiamo a disposizione una sola vertebra, ne abbiamo fatto delle copie per vedere come funzionano queste bizzarre articolazioni. Al Politecnico di Milano, l’ingegnere Gabriele Guidi e il suo team hanno mappato la vertebra fossile con la fotogrammetria, trasformandola in un file 3D che le stampanti del FabLab di Massimo Temporelli e Bernardo Gamucci hanno usato per “rigenerare” copie identiche dell’osso. Ebbene, l’inversione delle zigapofisi causa una forte riduzione dei movimenti laterali tra le vertebre, favorendo i piegamenti verticali. È solo una ipotesi, ma sembra quasi che Tito potesse usare la coda come puntello, magari per alzarsi in piedi e brucare le chiome più alte degli alberi.

Riferimenti:
Cristiano Dal Sasso, Gustavo Pierangelini, Federico Famiani, Andrea Cau, Umberto Nicosia (2016)
First sauropod bones from Italy offer new insights on the radiation of Titanosauria between Africa and Europe. Cretaceous Research doi:10.1016/j.cretres.2016.03.008

Immagine: copyright Davide Bonadonna 2016