Filosofia della biologia al liceo

Pubblichiamo il resoconto di un laboratorio di filosofia della biologia, sul tema della teoria dell’evoluzione, realizzato presso un liceo classico lombardo

Ho ritenuto utile proporre e poi realizzare un laboratorio di filosofia della biologia nel liceo dove lavoro, il Liceo Classico Clemente Rebora di Rho (MI).  E’ stata una prima volta, sia per me che per la mia scuola: è stata un’esperienza molto positiva, a tratti entusiasmante, per gli alunni coinvolti e per me, ma non voglio minimamente nascondere le mie difficoltà nel passaggio dall’immaginazione preliminare di un cammino didattico all’atto pratico, né descrivere l’attuazione come una marcia trionfale del rinnovamento didattico: anzi, penso che in questa sede abbia senso condividere sia gli aspetti positivi che le carenze (personali e di contesto) della mia esperienza.

Ho proposto un laboratorio di questo genere per diverse ragioni, tutte ben note a Pikaia e al suo pubblico: 

– la necessità di riflettere in modo critico su alcuni contenuti provenienti dalla ricerca scientifica, che vanno intesi non come nozioni rigide da incamerare come semplici “dati di fatto”, ma come altrettante possibilità aperte al singolo e alla società di interagire con gli altri e con l’ambiente;
– la necessità di realizzare ciò che è detto al punto 1 in particolare sui contenuti scientifici che provengono dalla ricerca biologica, in decenni di tumultuoso e globale rinnovamento (lungo direttrici non ancora del tutto stabilite con sicurezza), e segnatamente evoluzionistica, che possono consentire una maggiore consapevolezza sia per quanto riguarda aspetti della vita individuale (per dir così, “esistenziali”), sia per quanto riguarda l’interpretazione della relazione (o delle possibili relazioni) uomo-natura;
– la necessità di riflettere su aspetti metodologici, epistemologici e storici dell’attività scientifica, da non intendersi come una verità definitiva traghettata dalla Natura alle scuole da certi sacerdoti o profeti comunemente chiamati “scienziati”;
– la necessità di rappresentare anche a scuola (ed in particolare in un liceo classico, dove sembra che la conoscenza scientifica sia ancora relegata ad un ruolo di sapere ancillare) l’intreccio sempre più profondo tra le cosiddette “due culture”, quella umanistica e quella scientifica;
– L’utilità di percepire l’appartenenza dell’umanità e della sua storia ad una dimensione naturalistica.

Come accennato, per realizzare questi obiettivi, ho scelto, tra i diversi possibili per un laboratorio di filosofia della biologia, di trattare contenuti prevalentemente legati alla teoria dell’evoluzione, da un lato centrale (concettualmente, se non sempre nella pratica reale) nell’interpretazione scientifica del vivente, ma dall’altro solitamente percepita in modo mistificato. Il laboratorio ha avuto durata annuale e cadenza settimanale. L’adesione era volontaria, e, vista la sua natura sperimentale, è stato avviato solo per poche classi di Liceo classico (il numero di aderenti per quest’anno è stato perciò limitato a sei, provenienti da una seconda e da una quarta). 

Il materiale documentario di riferimento utile sia per me che per i ragazzi e che agli effetti ho utilizzato è stato (oltre ovviamente all’Origine di Darwin) Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Oltre a ciò, abbiamo approfittato del fatto che, per la prima volta quest’anno, era arrivata a Milano, presso MUDEC, la mostra Homo sapiens, curata da Pievani e Cavalli Sforza, i ragazzi l’hanno visitata e ne abbiamo discusso durante gli incontri. Come si vede, i testi di partenza sono tutti, almeno in buona parte, incentrati anche sull’aspetto metodologico-espistemologico della teoria dell’evoluzione, senza i quali, a mio avviso, la teoria non può essere correttamente avvicinata. Ciò è stato peraltro reso evidente dai primi incontri di laboratorio effettuati.

Essendo un laboratorio, era ovviamente opportuno agire con un’impostazione più duttile, flessibile e coinvolgente rispetto a quella consuetamente utilizzata nelle lezioni curricolari. Gli incontri sono stati perciò in buona parte incentrati su una discussione di temi evoluzionistici; in parte su canoniche (ma molto aperte) spiegazioni “frontali” da parte del docente. Il laboratorio si è aperto con un piccolo questionario nel quale gli alunni erano chiamati a rispondere a stimoli scritti o iconografici relativi all’evoluzione, all’evoluzionismo ed anche alla scienza in generale. L’obiettivo del questionario era quello di sondare negli alunni la loro percezione consueta e “basale” dell’evoluzione e dell’attività scientifica. Gli esiti non sono stati per niente sorprendenti, sorprendente è forse la diffusione ubiquitaria dei pregiudizi evoluzionisitici, la loro ampia articolazione nei contenuti e la loro esattezza di replicazione: l’evoluzione ne emerge come un processo finalistico, orientato, lineare, basato sulla “lotta per la vita”, nella quale prevale alla lunga “il migliore”, e in questa scala naturae  determinata dalla cronologia, l’uomo, buon ultimo e caso unico, è al vertice. Simili considerazioni si possono fare sulla percezione dell’impresa scientifica, che risulta come scoperta di verità, mentre il senso della storia della scienza, se mai ne ha uno, consiste nella progressiva conquista della verità. 

Questi punti di partenza ci hanno consentito di riflettere su alcune nozioni fondamentali: “antropocentrismo”, “teoria scientifica”, “ordine”, “caso”, “necessità” (visti come concetti reciproci e relativi ad un contesto epistemologico), ecc. Con l’aiuto di alcune immagini che riproducevano casi esemplari di evoluzione o co-evoluzione (ad es. alcune orchidee), abbiamo messo in evidenza i concetti di adattamento e di forma ordinata; di qui ho cercato di risalire alle impostazioni chiave della tradizioni creazioniste in cui l’epoca di Darwin si trova in buona parte immersa, allo scopo di dare prospettiva storica alla ricerca e allo scopo di far chiarezza sul rovesciamento logico – epistemologico che Darwin realizza a partire dalle sue fonti (Lyell, Smith, Malthus). Abbiamo esaminato, tenendo conto della presentazione di Gould, alcune tipologie di argomentazione di Darwin, e  per ciò che riguarda i contenuti, abbiamo insistito particolarmente sulla nozione di selezione naturale, che è ben diversa da quella che i ragazzi hanno in mente inizialmente (di solito, per esempio, rimane sì in mente la “sopravvivenza del più adatto”, ma molto meno la necessità logica evoluzionistica che questo “più adatto” rappresenti se stesso nella generazione successiva: senza questo piccolo dettaglio, oltre a possibili fraintendimenti lamarckiani, emerge la tipica visione “ontogenetica” lineare dell’evoluzione, dove una sorta di anagenesi particolarmente intensa mette in linea tutte le specie – o unità tassonomiche ben più ampie- estinte, che si trasformano l’una nell’altra). Abbiamo, infine, discusso di alcuni problemi sollevati dalla teoria e dalla sua storia: il primo, relativo alla relazione tra specie ed organismo (che cos’è una specie? come ce la immaginiamo? quanto “platonismo” c’è in noi nel rappresentarsi una specie?), e abbiamo introdotto il modello degli equilibri punteggiati. Abbiamo poi cercato di sottolineare il maggior ruolo della “struttura” per come emerge dall’evo-devo, e dagli studi sull’exaptation. In questo modo abbiamo messo in evidenza il ruolo della contingenza e il senso “ottico” delle tendenze progressive. 

Ho elencato per sommi capi gli argomenti su cui si è soffermato il laboratorio per dovere di completezza e non per dare l’idea che questo cammino abbia risolto del tutto i problemi iniziali. Sono sicuramente stato felice di notare l’interesse con cui i ragazzi seguivano e partecipavano ai discorsi piuttosto arzigogolati che si svolgevano al laboratorio, discorsi che, nella maggioranza, in modo più o meno esplicito, in fondo mettevano in discussione la posizione centrale che nel nostro immaginario collettivo ha l’uomo nella natura (decentramento che tra i ragazzi ha destato sempre un senso di divertito straniamento). Mi ha soddisfatto che una ragazza abbia prodotto un testo scritto sull’amore (argomento di cui non ci siamo esplicitamente occupati) a partire dai contenuti delle nostre discussioni (cosa che le ha fatto impartire un taglio forse non particolarmente romantico, ma comunque esistenziale, e senza che cadesse nella trappola concettuale del pessimismo). Ma direi che la scansione degli argomenti è stata la conseguenza necessaria della combinazione tra la mia preparazione e la percezione dell’evoluzione scaturita dai questionari iniziali: non sono riuscito a parlare di comportamenti animali, di comunicazione tra gli animali e di superorganismi, come mi ero prefisso inizialmente; ho parlato relativamente poco anche di uomo e della relazione tra storia umana e storia naturale, che invece è uno dei miei obiettivi principali. Sono rimasto molto sui capisaldi logici della teoria perché proprio questa mi è sembrata la lacuna principale dei miei alunni, quella cui provvedere più urgentemente. Ho fatto bene? Non sarebbe stato meglio partire da “storie naturali” particolari, per poi risalire ai principi? Sono riuscito nel mio intento?

Prima di scrivere questo articolo, ho letto alcuni pezzi di Marcello Sala che si riferiscono al paradosso del divulgatore: nella sostanza il problema consiste nel fatto che, parlando in termini (e concetti) rigorosi, l’apprendista non apprende, il quale invece apprende solo se si parla in termini (e concetti) così distorcenti della realtà scientifica che ciò che il discente apprende non è ciò che si intende far apprendere. A posteriori mi rendo conto di essermici ritrovato in molte occasioni. I pregiudizi sull’evoluzione sono in effetti talmente forti e persistenti, che è difficile far tabula rasa e lavorare con le menti a prescindere. Ho accompagnato tre classi alla mostra Homo sapiens, una mostra splendida, ricca, precisa, aggiornata, audace e soprattutto (ai fini del nostro discorso) molto chiara e spiegata da guide preparatissime ed appassionate. I ragazzi hanno seguito, mi è parso, con attenzione, se il silenzio significa attenzione. Nei giorni successivi ho posto a tutte e tre le classi alcune domande, tra cui una, mi pare, molto semplice: quando ha avuto origine la nostra specie, Homo sapiens? Alcuni aspetti importanti della mostra sono stati compresi ed assimilati (ad esempio la compresenza in natura di diverse specie umane fino a tempi molto recenti), ma a questa domanda, le risposte sono state più o meno tutte diverse, spaziando da miliardi di anni fa a duemila, con una concentrazione lievemente maggiore sulla dimensione “biblica” compresa tra diecimila e seimila anni fa (!!!). 

Far intendere ai discenti che i loro pre-concetti sono del tutto o in buona parte infondati è controproducente: si rischia di disorientarli totalmente e anche di perdere di credibilità come docenti. Bisogna agire con molta cautela e insieme con determinazione, nell’obiettivo di lavorare con le pre-conoscenze utili e di rielaborare quelle dannose. A mio modesto avviso è però chiaro che siamo socialmente lontanissimi dall’essere diffusamente consapevoli dei meccanismi della natura, e ancor di più dal comprendere e “visualizzare” l’ appartenenza dell’uomo e della sua storia alla dimensione naturale. Se abbiamo speranza di migliorare le cose, credo che dovremmo tentare un’azione organizzata che ad oggi nella nostra scuola, per ciò che io ho potuto vedere in questi anni, è assente. In primo luogo, un coordinamento tra i docenti (di diverse discipline, delle scuole e delle università) che sostengono la centralità della teoria evolutiva: lasciati a noi stessi, con una preparazione sull’argomento che, per quanto generosa, è in parte svolta da autodidatti, è difficile comprendere ad esempio quando certe intuizioni che ci sembrano buone siano in realtà delle sciocchezze, o viceversa. In secondo luogo, dovremmo provare a creare momenti strutturati ad hoc di formazione (o co-formazione) per (o tra) docenti: i docenti, nel loro insegnamento, fanno riferimento ad un implicito (nel nostro caso: finalismo inconsapevole, scala naturae cronologica, ecc.) che spesso attecchisce di più nel discente di quanto facciano le cognizioni esplicite richieste; se cambia lo sfondo delle regole implicite a cui l’insegnamento fa segretamente riferimento, anche l’apprendimento può seguire in modo nuovo. In terzo luogo: il ruolo che può avere la filosofia nella riflessione sugli strumenti della scienza e nel ripensare la relazione dell’uomo con la natura ha un potenziale enorme ed è forse indispensabile, in spazi più strutturati nelle scuole, per portare già in giovane età i cittadini del pianeta ad una riforma culturale decisiva per la coscienza di noi stessi come individui singoli e come specie, che articoli e diffonda in modo creativo e insieme rigoroso, un’idea della vita ricca, varia, ma scientificamente condivisa, che può servire come chiave del nostro futuro, “questa” idea della vita.

Alessandro Patella