I geni di resistenza: comparsi prima degli antibiotici

Ritrovati geni di resistenza agli antibiotici in una mummia dell’XI secolo: la loro comparsa non sarebbe legata all’uso degli antibiotici

L’uso eccessivo, a volte sconsiderato, degli antibiotici ha portato, nel corso degli ultimi decenni, ad un aumento di ceppi batterici resistenti a tali farmaci, creando seri problemi in ambito sanitario. Questa caratteristica di insensibilità all’azione di un antibiotico (p.es. inattivazione dell’antibiotico, modificazione della permeabilità), è conosciuta ormai da diversi anni e le cause possono essere molteplici. Una struttura cellulare complessa può automaticamente rendere un batterio resistente come, ad esempio, la presenza di una membrana esterna che impedisce l’entrata del farmaco (p.es. i ceppi batterici gram negativi). La resistenza agli antibiotici può inoltre essere acquisita successivamente dai batteri non “corazzati”, al seguito di meccanismi genetici come lo scambio di geni della resistenza tra ceppi e specie diversi. In questo caso, una cellula batterica trasferisce materiale genetico ad un’altra non discendente (trasferimento genico orizzontale), principalmente attraverso la coniugazione (un contatto tra due cellule le quali si scambiano porzioni di DNA). Oppure, è possibile che si presentino mutazioni del DNA, trasmesse verticalmente, che vengono favorite da una pressione selettiva esercitata dall’uso dell’antibiotico.

Tuttavia, studi precedenti hanno trovato geni di resistenza in alcuni batteri antichi risalenti al XIV secolo, suggerendo che l’origine di tali geni sia avvenuta molto prima della scoperta del primo antibiotico. A tal proposito, il lavoro di Santiago-Rodriguez e colleghi, pubblicato su PLOS ONE, ha voluto spingersi ancora più nel passato, studiando le comunità microbiche trovate nelle paleofeci di una mummia andina pre-Colombiana di Cuzvo (Perù) dell’XI secolo, allo scopo di analizzare l’evoluzione dei microrganismi commensali e delle malattie infettive, nonché di approfondire la questione dell’origine dei geni di resistenza.

La mummia è una donna di età compresa tra i 18 e i 23 anni, presente oggi al Museo di Antropologia e Etnologia di Firenze. I ricercatori hanno fatto analisi sul DNA dei campioni fecali e i risultati hanno mostrato la presenza di microrganismi appartenenti tendenzialmente al phylum Firmicutes (genere Clostridium), il protozoo parassita Trypanosoma cruzi (responsabile della malattia di Chagas in America Centro-Settentrionale), alcuni papilloma virus (HPVs) e una forte presenza di alcuni geni di resistenza agli antibiotici penicillina, fosfomicina, tetraciclina, vancomicina, cloramfenicolo, aminoglicosidi, sulfamidici, macrolidi e chinoloni. Grazie a questo studio, quindi, si è potuto ipotizzare che la comparsa dei geni indispensabili al batterio per contrastare l’antibiotico sia decisamente antica. Inoltre, il lavoro ha rafforzato un’ulteriore ipotesi: la comparsa di queste “armi genetiche” potrebbe non essere necessariamente connessa all’utilizzo degli antibiotici, ma semplicemente dovuta al contesto ambientale precedente, nonostante l’indiscriminato utilizzo di questi farmaci possa comunque aver aumentato la diffusione di ceppi batterici resistenti.

Riferimenti:
Santiago-Rodriguez TM, Fornaciari G, Luciani S, Dowd SE, Toranzos GA, Marota I, et al. (2015) Gut Microbiome of an 11th Century A.D. Pre-Columbian Andean Mummy. PLoS ONE 10(9): e0138135.

Photo credit: Pedro Groover/Flickr CC BY 2.0