Il cimitero della California. Biodiversità ieri e oggi

Non e’ la classica storia del “buon selvaggio”, amante della natura e capace di vivere in armonia con tutti gli esseri viventi…… Tra la fine del ‘700 e gli inizi del secolo successivo gli esploratori che si recavano nei pressi della Baia di San Francisco riportavano resoconti di strabilianti incontri con la fauna locale, ricca di milioni di esemplari di

Non e’ la classica storia del “buon selvaggio”, amante della natura e capace di vivere in armonia con tutti gli esseri viventi……

Tra la fine del ‘700 e gli inizi del secolo successivo gli esploratori che si recavano nei pressi della Baia di San Francisco riportavano resoconti di strabilianti incontri con la fauna locale, ricca di milioni di esemplari di uccelli acquatici, nonche’ di ungulati, mammiferi marini e molto altro ancora: quale prova migliore della capacita’ dei Nativi Americani di salvaguardare il proprio habitat? Purtroppo questo non e’ esattamente cio’ che sta riportando alla luce l’archeologo e antropologo Jack M. Broughton, che ha speso gli ultimi sette anni della sua vita professionale esaminando i resti di quasi seimila esemplari di uccelli, recuperati a piu’ riprese all’inizio del secolo da altri studiosi in una discarica (una montagnola alta circa dieci metri e larga quasi trecento metri) tra Oakland e Berkeley. L’area e’ stata usata per quasi duemila anni, dal 2600 a.c. fino al 700 circa, proprio dagli indiani. Con un lavoro certosino lo studioso ha determinato la specie o la famiglia di appartenenza di ciascun reperto, ricostruendo cosi’ le abitudini di caccia degli antichi abitanti della Bay Area. Il quadro scoperto, pubblicato tra le Ornithological Monographs, non e’ di quelli esaltanti: molte specie vennero cacciate fino alla locale estinzione; altre specie subirono un forte declino nella popolazione. Nemmeno mammiferi e pesci vennero risparmiati, come gia’ evidenziato in precedenti ricerche dello stesso Broughton, compiute nei pressi della valle del Sacramento. Secondo Broughton i reperti rappresentano ben 64 specie, tra cui anatre, cormorani, oche ed uccelli di ripa, ma anche aquile, corvi e falchi.Da un’analisi dell’abbondanza relativa degli uccelli rispetto alla profondita’ della discarica si evince che nei duemila anni le specie subirono un continuo calo della popolazione: cosi’, dopo aver sterminato le specie piu’ vicine ai loro insediamenti, come le grandi oche, i nativi cominciarono a cacciare specie piu’ lontane, fino a raggiungere le isole vicine o il mare aperto. Nemmeno gli immaturi nei territori di nidificazione vennero risparmiati.

Eppure gli esploratori che arrivarono duecento anni fa videro qualcosa di paragonabile al paradiso terrestre, con un’abbondanza ed una biodiversita’ difficilmente eguagliabili in Europa! Ironia della sorte, cio’ che loro videro era il risultato di trecento anni di decimazione della popolazione umana locale, causata dalle epidemie portate dall’uomo bianco nel ‘500 con la conquista del Nuovo Mondo: piu’ del 90% della popolazione dei nativi, stimata tra le 50.000 e le 150.000 unita’, venne sterminato da malaria, vaiolo, o dalla semplice influenza. A questo punto la fauna selvatica ebbe modo di rifiatare, fino a tornare all’antico splendore verso la meta’ del 1800. Qual e’ la situazione attuale? Niente di nuovo sotto il sole: l’uomo sta di nuovo causando un impoverimento della fauna selvatica, causato da inquinamento e perdita degli habitat, piu’ che dalla caccia. Sarebbe una ben misera consolazione perseverare nella distruzione sapendo che anche gli uomini antichi occupanti di quelle terre non seppero fare di meglio!

Paola Nardi