Il futuro è dei cannibali?

In condizioni di stress nutrizionale, larve di Drosophila melanogaster mostrano un comportamento di tipo cannibalistico nei confronti di larve conspecifiche di maggiori dimensioni ma scarsamente mobili. La possibilità di portare avanti lo sviluppo fino a diventare adulti fertili, la plasticità fenotipica di alcuni elementi boccali e la crescente propensione al cannibalismo di popolazioni malnutrite rendono verosimile l’ipotesi che si tratti di un comportamento adattativo

Cacciare prede vive è rischioso e richiede adattamenti specifici che consentano di farlo. Per questa ragione l’abitudine di alcune specie animali – anche non carnivore – di uccidere individui appartenenti alla propria specie per nutrirsene (cannibalismo predatorio) stimola interrogativi riguardo la funzione, i significati adattativi e il potenziale evolutivo di questo comportamento. Se è vero che esso può avere la funzione di eliminare i competitori o che può rappresentare il prezzo da pagare per l’accoppiamento, lo è altrettanto il fatto che rappresenti per lo più un metodo supplementare per nutrirsi.

Il cannibalismo può essere rivolto verso le uova – favorito dalle dimensioni relativamente piccole, dall’assenza di mobilità e dalla mancanza di autodifesa – o verso individui della stessa specie in stadi giovanili. Per i predatori questa pratica rappresenta una semplice estensione della propria dieta; gli organismi erbivori e detritivori, invece, sono meno equipaggiati per la caccia di individui appartenenti alla propria specie che abbiano dimensioni simili o maggiori: privi degli adattamenti morfologici e comportamentali tipici dei predatori, sarebbero cacciatori poco efficienti e rischierebbero di subire lesioni da parte delle vittime che oppongono resistenza all’aggressione.

Nonostante ciò, esempi di cannibalismo predatorio sono stati rilevati in varie specie non carnivore, inclusi alcuni insetti. Nelle cavallette e nei grilli, per esempio, nutrirsi di individui della stessa specie è fonte di sali e proteine, che permettono ai cannibali di sopravvivere più a lungo e di migrare più lontano (Pikaia ne ha parlato qui); l’assenza di cannibalismo è un importante fattore che influenza le migrazioni di massa di questi insetti.

Uno studio svolto presso l’Università di Losanna ha evidenziato e analizzato il comportamento predatorio nei confronti di individui conspecifici in larve di Drosophila melanogaster, rivelando quanto e come la dieta “da cannibale” possa essere significativa in questa specie di ditteri. Era già noto che le larve di un’altra Drosophila (D. hydei) avessero l’abitudine di rovistare tra le carcasse di insetti adulti – anche conspecifici – ed è stato riportato almeno un caso di larva di D. melanogaster sviluppatasi come parassita in un essere umano. Lo studio va oltre e mostra come la tendenza al cannibalismo delle larve di D. melanogaster possa estendersi alla predazione attiva su larve conspecifiche, apportando benefici legati alla dieta soprattutto in condizioni di stress nutrizionale (al contrario di ciò che avviene negli adulti, che non ottengono alcun rilevante beneficio nutrendosi delle carcasse di individui conspecifici).

Ciò che risulta particolarmente interessante è che, in contrasto con molti altri casi di cannibalismo, in D. melanogaster la maggior parte delle vittime appartenga allo stadio di crescita in cui gli individui presentano la massa corporea maggiore – il terzo, che precede quello di pupa – e che sono cannibalizzate da larve più giovani e di dimensioni inferiori. Questo aspetto non risulta così sorprendente se ci si sofferma su fisiologia e morfologia delle larve: quelle giunte al terzo stadio hanno smesso di nutrirsi e quindi sono improbabili candidati per diventare esse stesse cannibali. Le larve non possiedono elementi boccali ben adattati alla predazione e per rompere la cuticola delle vittime sono costrette ad un prolungato raschiamento; di conseguenza, attaccare larve più giovani e agili difficilmente le condurrebbe al successo predatorio. Inoltre, benché le larve al terzo stadio siano in grado di difendersi strisciando e usando gli uncini boccali, i processi fisiologici che le conducono alla metamorfosi le rendono gradualmente incapaci di muoversi. Ciò le rende vulnerabili all’attacco da parte di altri individui, almeno finché la loro cuticola non si trasforma nel più resistente pupario.

Lo studio ha anche evidenziato che il cannibalismo in D. melanogaster comprende tipicamente attacchi alla stessa vittima da parte di più larve, comportamento mediato dal rilascio di segnali chimici da parte della vittima ferita. Sebbene non coordinato o realmente cooperativo, l’attacco di gruppo presumibilmente aiuta gli assalitori a sopraffare una vittima di dimensioni maggiori.

Come già anticipato, i risultati di laboratorio indicano che il cannibalismo è promosso da situazioni di stress nutrizionale. Casi di cannibalismo spontaneo sono stati osservati in modo maggiore in colture “affollate” contenenti 15 o più larve di età diverse; il cibo fornito avrebbe dovuto essere sufficiente a supportarne lo sviluppo. Dopo alcuni giorni, invece, i nutrienti risultavano parzialmente esauriti e contaminati da rifiuti metabolici tossici. In un ambiente così deteriorato le larve più giovani sono spinte ad allontanarsi dalla fonte di cibo per tentare di attaccare larve di dimensioni maggiori ma pressoché immobili.

L’ipotesi dei ricercatori è che questo comportamento abbia un significato adattativo. I vantaggi offerti da una dieta di tipo cannibalistico non solo consentono alle larve di D. melanogaster di superare situazioni di stress nutrizionale, ma anche di portare avanti il proprio sviluppo fino a diventare adulti fertili. Un altro elemento a favore di questa ipotesi è costituito dalla plasticità fenotipica degli uncini boccali delle larve in risposta alla dieta cannibalistica, che ricorda la plasticità degli elementi boccali nelle larve di anfibio, cannibali facoltativi (della plasticità come fattore evolutivo Pikaia ha parlato qui). Infine, in 118 generazioni di Drosophila analizzate sperimentalmente, le popolazioni mantenute in condizioni di malnutrizione hanno mostrato una crescente propensione al cannibalismo.

Anche se in natura il valore del cannibalismo in D. melanogaster risultasse marginale rispetto alle prove svolte in laboratorio, riscontrare regolarmente un comportamento cannibalistico in un sistema modello può rappresentare un buon punto di partenza per future ricerche sulle sue basi sensoriali, neurali e genetiche.

Riferimenti:
Vijendravarma, R. K. et al. Predatory cannibalism in Drosophila melanogaster larvae. Nat. Commun. 4:1789 (2013) DOI: 10.1038/ncomms2744

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