Il genoma dei popoli sudafricani

Da quando è comparsa sul pianeta la nostra specie  ha passato in Africa metà del suo tempo: per questo le popolazioni originarie di questo continente presentano una variabilità genetica enorme, praticamente identica per quantità a quella di tutte le altre popolazioni mondiali messe assieme, è stato difatti un piccolo sottoinsieme degli africani a dare origine a queste ultime nei millenni.

Da quando è comparsa sul pianeta la nostra specie  ha passato in Africa metà del suo tempo: per questo le popolazioni originarie di questo continente presentano una variabilità genetica enorme, praticamente identica per quantità a quella di tutte le altre popolazioni mondiali messe assieme, è stato difatti un piccolo sottoinsieme degli africani a dare origine a queste ultime nei millenni. Nonostante questo sia risaputo da tempo finora la mappatura dei genomi aveva scarsamente interessato le popolazioni africane, e in particolare le più “antiche” tra loro: i boscimani, tra i quali sopravvive peraltro anche lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori, un altro elemento tipico delle origini della nostra specie. Stephan Schuster, assieme a un team internazionale di scienziati di altissimo livello, ha raccolto dati proprio sul genoma di questi popoli e li ha poi pubblicati su Nature.

In totale quattro boscimani hanno donato il proprio genoma alla scienza: !Gubi, G/aq’o, D#kgao  e  !A_ˆ (se non sapete come pronunciare questi nomi non preoccupatevi, le lingue in cui vengono pronunciati di solito sono tra le più antiche del mondo e contengono suoni peculiari, detti clicks, che non sono presenti in nessun altro idioma) e sono tutti membri molto anziani delle loro tribù scelti per idioma parlato, locazione geografica e aplogruppi presenti nel cromosoma Y. A questi va aggiunto Desmond Tutu, un vescovo i cui antenati rimandano i due più grandi gruppi sudafricani del ceppo Bantu: i Tswama i i Nguni. I genomi di questi cinque individui sono stati comparati con la sequenza di riferimento in cerca di polimorfismi dei singoli nucleotidi, trovando ciò che ci si aspettava, ovvero la conferma della grande variabilità genetica africana e sudafricana in particolare (attestata dall’alto numero di differenze dei singoli nucleotidi), ma anche qualche dato interessante che non si era preventivato.

In generale molte delle peculiarità  del loro genoma  si spiegano col loro peculiare stile di vita: quello di cacciatori raccoglitori è un “mestiere” che solo i boscimani e pochi altri popoli al mondo fanno ancora, e porta con sé alcune necessità ben riflesse negli adattamenti peculiari di queste genti. Esempi ne sono varianti che garantiscono migliori abilità nello sprint o nel riconoscere certi sapori amari nelle piante (spesso indizi importanti della loro tossicità). Tutte le differenze nucleotidiche sono state comparate anche con i nucleotidi omologhi presenti nel genoma dello scimpanzé, per valutare quanta di questa differenza si fosse originata dopo la differenziazione delle altre etnie da quelle  sudafricane; a differenza di quanto ci si aspettasse, il genoma dei popoli più antichi della nostra specie non riflette i nostri antenati molto meglio del nostro, ma mostra invece come anche la loro linea abbia accumulato parecchie variazioni nei millenni. 

Alcune varianti nucleotidiche trovate sono però più interessanti ancora: la variante che negli europei è associata alla sindrome di Wolman (che impedisce di accumulare adeguatamente le riserve di grasso e uccide in giovane età) è presente ad esempio in uno dei boscimani, che nonostante l’età avanzata è però decisamente in ottima salute. Proprio per questo è tanto importante estendere la copertura del progetto genoma, che ad oggi possiede dati relativi quasi esclusivamente a genomi di individui europei, al maggior numero di  popoli possibile: solo conoscendo approfonditamente la variabilità interna alla nostra specie la ricerca medica potrà beneficiare della potenzialmente utilissima messe di dati proveniente da questa linea di ricerca.

Marco Michelutto

Riferimenti:
Stephan C. Schuster  et alii, “Complete Khoisan and Bantu genomes from southern Africa”, Nature 463, 943-947  doi:10.1038/nature08795

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons