Il mistero degli scoiattoli volanti

Pochi vertebrati, a parte gli uccelli, sono riusciti a conquistare il volo. Tra i mammiferi solo i pipistrelli ce l’hanno fatta, forse per ben due volte (microchirotteri e volpi volanti). Molti altri pero’ hanno tentato e, pur non riuscendo completamente nel tentativo (per il momento) hanno raggiunto buone approssimazioni. Tutto sommato tutto quello che occorre e’ una buona portanza dell’aria,

Pochi vertebrati, a parte gli uccelli, sono riusciti a conquistare il volo. Tra i mammiferi solo i pipistrelli ce l’hanno fatta, forse per ben due volte (microchirotteri e volpi volanti). Molti altri pero’ hanno tentato e, pur non riuscendo completamente nel tentativo (per il momento) hanno raggiunto buone approssimazioni. Tutto sommato tutto quello che occorre e’ una buona portanza dell’aria, come marsupiali, rane, serpenti e pesci volanti hanno compreso sottendendo membrane tra le varie parti anatomiche disponibili allo scopo.

L’ordine di mammiferi piu’ numeroso in assoluto, i roditori (circa 2500 specie) non poteva certo mancare questo treno dell’evoluzione ma a pescare il biglietto vincente della lotteria sono state tra tutti solo due famiglie, entrambe relativamente piccole e piuttosto antiche, quella degli Pteromyinae (scoiattoli) nell’emisfero nord (Europa, Asia e America del Nord) e quella degli Anomaluridi in Africa. Questi due gruppi, pur non essendo particolarmente imparentati tra loro piu’ di quanto lo siano gli istrici coi topi di fogna, sono pero’ estremamente simili per via di convergenze adattative, tanto che solo di recente si e’ capito (grazie ad analisi genetiche) che gli anomaluri africani non sono imparentati con gli scoiattoli anche se l’unico modo per distinguerli e’ guardare attentamente la coda. Potere delle forze trainanti dell’evoluzione!

Per il momento vorrei concentrarmi invece sugli scoiattoli volanti, cosi’vicini e cosi’ lontani: tutti sono familiari con l’immagine di uno scoiattolino che fa provviste per l’inverno, pochi sono al corrente dell’esistenza del cugino paracadutista, e per giunta monofiletico con le rimanenti 250 specie di scoiattoli. E poi, diciamocela tutta, gli scoiattoli volanti sembrano disegnati da Yuko Shimizu, la disegnatrice di Hello Kitty, ma sono ancora piu’ belli e sarebbero capaci di mandare fuori scala il “bambometro” (misuratore di effetto Bambi) del piu’ rude dei marines. Come non adorarli a prima vista? (no, non potete averli come pet, in Italia abbiamo gia’ 3 specie di scoiattoli alloctoni, grazie).

Naturalmente gli scoiattoli volanti non volano davvero, bensi’ sono solo capaci di voli planati grazie ad una membana (patagio) sottesa tra i polsi e le caviglie e che diventa inconsistente quando l’animale e’ a riposo. A differenza del patagio dei pipistrelli (che e’ peraltro disteso anche tra le dita delle mani, mentre negli scoiattoli le mani sono libere per consentire la manipolazione), il patagio degli scoiattoli volanti e’ ricoperto di denso pelo che aiuta a mantenere costante la temperatura corporea. I pipistrelli infatti, come molti altri insettivori, non sono dei veri e propri omeotermi e la loro temperatura corporea puo’ calare bruscamente senza danni per l’animale. I roditori invece tendono ad essere completamente omeotermi e un patagio sottile e senza pelo agirebbe da radiatore troppo marcatamente, impedendo all’animale di termostatare adeguatamente. Il pelo setoso, morbido e folto ha invece consentito agli scoiattoli volanti di conquistare sia gli ambienti artici del nord della Siberia e del Canada sia la jungla del Borneo e di altri paesi equatoriali nel sud-est asiatico. Unico problema collaterale: in Russia gli scoaittoli volanti sono cacciati per farne pellicce.

Le ossa del polso di questi scoiattoli sono modificate in modo da permettere all’animale di tendere piu’ o meno il patagio e quindi di compiere delle virate o addirittura dei semicerchi e correggere la rotta in volo. Un osso del polso in particolare (ne hanno nove in tutto, uno in piu’ di noi) si e’ evoluto in modo da ancorare e sottendere il patagio. Il record di volo planato per una delle specie piu’ grandi di scoiattolo volante e’ di 400 m, con una perdita di quota, di solito, pari a meta’ della lunghezza del volo. L’atterraggio avviene solitamente su un albero o altro posto elevato, in quanto questi animali tendono ad essere strettamente arboricoli e solo molto difficilmente scendono a terra, che e’ uno dei motivi per cui si sa molto poco su di loro, li si vede pochissimo.

L’altro motivo per cui non li si vede mai e’ che sono rigidamente notturni, come si intuisce dagli enormi occhi neri a perlina. Una bizzarria tra gli sciuridi, che sono tendenzialmente diurni e molto ben adattati alla visione diurna. Per quale motivo gli scoiattoli volanti sono diventati notturni, discendendo da antenati diurni (Protosciurus)? Una delle spiegazioni correnti, ovvero che serve ad evitare la predazione da parte dei rapaci, secondo me non regge: se e’ pur vero che i rapaci notturni cacciano ad udito ed il volo planato non fa rumore, e’ anche vero che i rapaci, diurni o notturni che siano, non sono predatori specializzati sugli scoiattoli per cui dubito avrebbero potuto esercitare la necessaria pressione evolutiva per convertirli alla vita notturna. Tra l’altro, l’atterraggio e’ rumoroso. Trovo poco convincente anche la spiegazione di John Gurnell nel suo libro “The natural history of squirrels”: gli scoiattoli volanti spesso vivono in simpatria con altre specie di scoiattoli arboricoli, consumando lo stesso cibo. L’alternanza giorno/notte tra arboricoli e volanti consentirebbe un maggiore sfruttamento della nicchia ecologica e questo  avrebbe portato gli scoiattoli volanti a rifugiarsi nella parte della giornata non occupata dagli scoiattoli arboricoli, preesistenti. Spiegazione interessante ma che non mi convince completamente, in quanto negli USA gli scoiattoli volanti tengono facilmente testa ad altri scoiattoli piu’ grandi, e soprattutto il cibo disponibile e lo spazio per i nidi rimangono gli stessi che la specie sia notturna o diurna.

Altra spiegazione interessante, letta sul sito di Arkive, suggerisce invece che l’adattamento alla vita notturna e’ dovuto alla membrana, che li ostacolerebbe sugli alberi, rendendoli facile preda degli uccelli rapaci, mentre li agevola per sfuggire i predatori non alati: il buio li renderebbe meno visibili aiutandoli quando si muovono goffamente sugli alberi. Resto perplessa, chiunque abbia mai visto uno scoiattolo volante non associerebbe mai la parola “goffo” ad una simile bestiola, neanche quando e’ per terra, e non si direbbe che la membrana li ostacoli particolarmente. Una spiegazione plausibile proviene invece dal mio amico Danilo che suggerisce che gli scoiattoli volanti abbiano evoluto il volo per motivi di necessita’ ecologica (ad esempio grande distanza tra gli alberi, o necessita’ di non precipitare in caso di lotte tra individui e sottobosco rado), ma che la nicchia del volo diurno era gia’ occupata dagli uccelli che, da bravi dinosauri, preferiscono bioritmi diurni, per cui si sono dovuti arrangiare negli slot vuoti piu’ scomodi ma piu’ economici, come i voli di Ryanair alle cinque del mattino. Qualunque sia la spiegazione, hanno dovuto rievolvere un tapetum lucidum (lo strato di cellule che fa brillare al buio gli occhi dei gatti) e quegli immensi occhi neri a perlina che ci fanno tanta tenerezza, per poter vedere nella penombra, caratteristica di cui tutti i mammiferi, anche quelli diurni, portano il ricordo nei geni ereditati dall’antenato comune.

Sfatiamo un mito: gli scoiattoli volanti, come tutti gli scoiattoli arboricoli, non vanno in letargo, al massimo diventano torpidi se fa veramente freddo, ma restano comunque attivi tutto l’anno. Evidentemente il ghiaccio sulle ali non e’ un problema come per i Boeing. Sfatiamone un altro: molti scoiattoli non nascondono il cibo nel cavo degli alberi come Cip&Ciop, bensì lo sotterrano sparpagliandolo. Si da’ il caso pero’ che molte specie di scoiattolo volante lo nascondano nel cavo degli alberi, ma questo costituisce piu’ l’eccezione che la regola per le quasi 300 specie di Sciuromorfi esistenti.

Di scoiattolo volante ne esistono ben 43 specie distribuite per lo piu’ in estremo oriente. Nel mondo occidentale pero’ ne sono famose solo tre, le due forme nordamericane settentrionale e meridionale  (Glaucomys sabrinus e Glaucomys volans rispettivamente), molto simili tra loro e molto popolari perche’ utilizzate come pet, soprattutto il settentrionale, e lo scoiattolo volante europeo (Pteromys volans; immagine), che vive in Finlandia, Repubbliche Baltiche, Russia e Siberia sino al Giappone, raro e classificato “endangered”, a rischio, dalla IUCN per lo piu’ per via della frammentazione del suo habitat. A mio personale gusto quello europeo e’ il piu’ bello tra gli scoiattoli volanti e sicuramente, vista l’estensione del suo range, quello piu’ di successo. Grosso quanto un ghiro e piu’ o meno dello stesso colore, si nutre di gemme, rametti, semi, noci, bacche di latifoglie, funghi, occasionali uova e per l’inverno colleziona enormi provviste di amenti (gemme fiorali pendule) di betulle e ontani riempiendo nidi in cavita’ di alberi sino a 5 litri (pesa in media 150 g)! Come molti scoiattoli volanti e’ una specie relativamente sociale, individui dello stesso sesso dormono di giorno in inverno tutti abbracciati in una grossa palla di pelo setoso per fare calore e tollerano bene i conspecifici anche in estate. Ama nidificare nei nidi abbandonati dei picchi, per cui dipende enormemente anche dalla presenza di questa specie, che a sua volta dipende dalla presenza di alberi vecchi. Gli abbattimenti selettivi degli alberi e le ripiantumazioni in piantagioni da reddito non sono quindi adatte alla specie per cui si intuisce come, pur avendo tutta la taiga a sua disposizione, la specie e’ ahime’ in declino.

Oltre allo Pteromys volans il giappone gode della presenza di ben altre due specie endemiche di scoiattolo volante, il piccolo Pteromys momonga (immagine) e il gigantesco Petaurista leucogenys, il terzo in classifica in dimensioni tra gli scoiattoli volanti e decisamente bruttino (ma tenerello pure lui, in fondo, guardate qui), con la sua aria da lottatore di sumo. Entrambe le specie giapponesi godono di buona salute, dato che i giapponesi sono famosi per rispettare moltissimo l’ambiente in casa loro e devastare allegramente quello in casa d’altri (si pensi solo alle balene o ai tonni). Probabilmente solo gli appassionati di anime avevano intuito della presenza di tutti questi scoiattoli volanti: esiste un pokemon a forma di scoiattolo volante, ce n’e’ uno samurai in un cartone chiamato Samurai Champloo e io penso che anche il protagonista del delicatissimo anime Totoro, descritto come uno spirito dei boschi, sia la stilizzazione di uno scoiattolo volante nei suoi vari formati nano e gigante (si noti la coda piatta caratteristica degli scoiattoli volanti). Lo P. momonga non si limita ad essere disgustosamente carino, ma e’ anche un campione di mimetismo, mentre lo scoiattolo gigante giapponese fa davvero impressione, sino ad un chilo e mezzo di peso e sino a 60 cm di lunghezza (con tutta quella trippa ovviamente deve essere lungo per avere la portanza alare sufficiente).

Il genere Petaurista include altre sette specie, tutte particolarmente interessanti ed enormi. Il secondo piu’ grosso e’ Petaurista petaurista (immagine) che pesa sino a due chili e mezzo ed e’ piu’ lungo di un gatto (esclusa la coda). Questo scoiattolo volante e’ diffuso dall’Afghanistan sino al Borneo ma sulle sue abitudini si sa molto poco. Si pensa pero’ sia strettamente monogamo in quanto lo si vede girare in coppia anche fuori dalla stagione riproduttiva, altra caratteristica dissimile dagli scoiattoli arboricoli che sono di solito propensi all’ammucchiata selvaggia. Lo scoiattolo volante gigante cinese (Petaurista xanthotis; immagine) e’ sicuramente tra i piu’ colorati con sfumature che vanno dal rosso brillante al bianco al giallo, ma molti altri scoiattoli volanti esibiscono colori sgargianti. Ci si chiede come mai, dato che di notte tutti i gatti sono grigi, e tutti gli scoiattoli volanti pure. I pigmenti comportano un dispendio energetico e di fatto di solito gli animali strettamente notturni tendono ad avere colori che si confondono con lo sfondo come il grigio o il marrone scuro. Quello pero’ che mi affascina di piu’ in assoluto e’ Eupetaurus cinereus, lo scoiattolo volante lanoso. Questo scoiattolo era noto alla scienza solo per una dozzina di pelli raccolte nel XIX secolo tra l’Hindu Kush, l’Himalaya e il Karakorum da Thomas (che identifico’ per primo la specie) ma nel 1994 Peter Zahler “riscopri’” la specie grazie ad un individuo catturato vivo nel nord del Pakistan, dopo 70 anni in cui si era ritenuto che l’animale fosse estinto. Dall’esame di questo e pochi altri individui catturati in seguito da Zahler si e’ visto che i denti di questo scoiattolo sono ipsodonti, al contrario di quelli di tutti gli altri scoiattoli volanti o meno che siano. In pratica significa che sono piu’ rinforzati e lunghi per consentire la masticazione di cibo molto duro, caratteristica dei denti delle mucche e delle arvicole, ad esempio. Noi umani e gli altri scoiattoli siamo brachidonti, purtroppo, abbiamo denti piccoli e meno rinforzati e ci tocca pagare profumatamente il dentista. Il motivo per cui questo scoiattolo ha i dentoni e’ che ha una dieta unica al mondo: si nutre esclusivamente di aghi di pino, duri, pieni di resina e non particolarmente nutrienti. La ragione di questa strana dieta e’ da ricercarsi nell’ambiente in cui questa specie vive: anziche’ abitare foreste lussureggianti lo scoiattolo lanoso si e’ rifugiato tra le montagne piu’ alte della terra in valli profonde e strettissime, dove vive facendo il nido in cavita’ della roccia e si sposta “volando” tra una parete e l’altra. Per nutrirsi scende all’altezza della linea degli alberi e rosicchia gli aghi dei boschetti di pino, evidentemente perche’ non c’e’ sufficiente produzione di pigne a quell’altitudine. Una marmotta volante, in pratica. Per non farsi mancare niente, e’ anche il mammifero volante piu’ pesante e lungo. Le analisi genetiche dimostrano che il genere Eupetaurus e’ un relitto di una qualche era glaciale tre il Pliocene e il Pleistocene che e’ riuscito a sopravvivere rifugiandosi in un ambiente inospitale per tutti gli altri piccoli mammiferi, rimanendo poi isolato dallo stesso sollevamento dell’Himalaya che gli ha consentito la sopravvivenza. Anche un altro scoiattolo volante, Trogopterus xanthipes, abita lo stesso tipo di ambiente roccioso di alta quota ed ha denti complicati (non a caso il nome comune in inglese e’ “complex-toothed flying squirrel” ma e’ molto piu’ piccolo. La medicina tradizionale cinese usa le feci di questo animale contro l’ulcera duodenale, chissa’ perche’, e la specie e’ a rischio perche’ viene cacciata nelle province cinesi in cui risiede, non voglio sapere per farne cosa.

L’Eupetauro non e’ l’unico scoiattolo volante di cui si sa poco e nulla: 15 specie sono endemismi insulari in Indonesia, Filippine e Giappone e soprattutto delle specie indonesiane si sa pochissimo. Alcune specie sono note solo per pochi individui, come Biswamoyopterus biswasi che vive in una ristrettissima zona dell’India, e ben 18 su 43 specie sono nella lista rossa della IUCN. Alcune specie sono minuscole ed incospicue, come Petaurillus hosei (25 g di peso e 17 cm di lunghezza), tanto da passare completamente inosservate anche quando presenti in abbondanza. Si sa pochissimo in generale di tutti i comportamenti sociali e riproduttivi degli scoiattoli volanti, perche’ l’osservazione in natura e’ resa complicatissima dalle loro abitudini. La parte desolante di tutto cio’ e’ che quasi certamente alcune specie stanno scomparendo per via della distruzione del loro habitat e probabilmente non verranno mai scoperte.

Tratto da L’Orologiaio miope, il blog di Lisa Signorile

Referenze:

Zahler, P. (1996) Rediscovery of the Woolly Flying Squirrel (Eupetaurus cinereus), Journal of Mammalogy Vol. 77, No. 1, pp. 54-57

Peter Zahler, Mayoor Khan (2003) Evidence for dietary specialization on pine needles by the woolly flying squirrel  (Eupetaurus cinereus). Journal of Mammalogy: May 2003, Vol. 84, No. 2, pp. 480-486
 
Grzimek’s Animal Life Enciclopedia, second edition, 2004, Vol 16, Mammalia V