Il Museo di Tutte le Possibili Culture

Un articolo di Marc D. Hauser (del dipartimento di Psicologia, biologia evoluzionistica umana e organismica e biologia evoluzionistica, di Harvard) pubblicato su Nature trasferisce un tipico problema morfofunzionale dall’anatomia degli organismi alla mente umana. Dawkins, nel suo Alla conquista del Monte Improbabile, l’aveva chiamato il “Museo di Tutti i Possibili Animali”: è il morfospazio descritto dalle forme animali che si

Un articolo di Marc D. Hauser (del dipartimento di Psicologia, biologia evoluzionistica umana e organismica e biologia evoluzionistica, di Harvard) pubblicato su Nature trasferisce un tipico problema morfofunzionale dall’anatomia degli organismi alla mente umana.

Dawkins, nel suo Alla conquista del Monte Improbabile, l’aveva chiamato il “Museo di Tutti i Possibili Animali”: è il morfospazio descritto dalle forme animali che si trovano nella realtà insieme a quelle che potremmo trovare ma che non troviamo, plottando una serie di parametri fondamentali (come dimensioni spaziali lunghezza, profondità, ampiezza; ma anche variabili ecologiche etc.) in un grafico. I pattern reali che possono essere evidenziati nel morfospazio sono quelli che possiedono un valore adattativo, e sono quindi realizzati attraverso la selezione naturale. In particolare Dawkins prendeva come esempio il “Museo di Tutte le Possibili Conchiglie”, realizzando con il programma Blind Snailmaker conchiglie virtuali (biomorfi) pressoché identiche a quelle reali.

L’uomo possiederebbe almeno quattro caratteristiche fondamentali che definiscono la sua unicità umana o come, Hauser riferisce, “umanicità”: 1) Computazione generativa: funzione cerebrale in grado di produrre nuove associazioni tra significanti (per esempio parole, numeri, movimenti etc.) e significati; 2) Simboli mentali: le esperienze sensoriali sono poi traducibili in simboli (parole, suoni, immagini) e questi in sequenze di simboli con significati combinati; 3) Interfaccia promiscua: è la capacità di combinare informazioni appartenenti a diversi ambiti di conoscenza per risolvere problemi nuovi; 4) Pensiero astratto: la capacità di concepire concetti senza alcun riferimento diretto alla realtà (come l’infinito, le categorie grammaticali etc.). Tuttavia, seppure il range di variazioni culturali prodotto dalla nostra umanicità sembri infinito, lo studio dei meccanismi cognitivi, in particolare in linguistica, suggeriscono che vi siano dei percorsi di minore resistenza, o addirittura obbligati, almeno in natura.

Hauser trasferisce così la logica del morfospazio nell’analizzare la cultura, ed in particolare il linguaggio umano: così come esiste un morfospazio, esiste anche un linguaspazio. Anch’egli usa l’esempio delle conchiglie, negli ammonoidi. Prosegue poi con un esempio di anatomia scheletrica, mostrando come sia possibile riassumere i parametri della costruzione della dita della mano a pochi parametri fondamentali (scheletro interno di materiale rigido, forma degli elementi allungata con crescita per rimodellamento in posto, interazione tra elementi mobili con numero degli elementi >3). Infine confronta l’utilizzo di utensili nell’uomo e nello scimpanzé, anche se, erroneamente [Pikaia ne ha parlato qui], attribuisce a questi ultimi una corrispondenza uno ad uno tra oggetto e scopo a differenza dell’uomo.

Se quindi l’uomo nasce con la capacità di comprendere (almeno potenzialmente) tutte le sfumature della cultura prodotta dal resto della sua specie prima della sua nascita, è anche vero che alcune culture, a causa di quelle precedentemente stabilite, stenterebbero o non verrebbero mai alla luce. È quindi un processo selettivo che ha cristallizzato le forme di espressione. Ma ancora di più provocatoria sarebbe il suggerimento che possa esistere anche un “moralspazio”, ovvero uno spazio dove si realizza l’intelligenza morale, lasciando vacante lo spazio per altre intelligenze morali non realizzate.

Infine Hauser cita, timidamente, le possibilità che le biotecnologie forniscono (e, soprattutto forniranno): per esempio, topi geneticamente modificati per esprimere la versione umana del gene FOXP2, che ha un ruolo nell’apprendimento del linguaggio, imparano a emettere vocalizzi in modo differente dai topi non modificati. Hauser si chiede se non si potrà produrre qualcosa come un uccello canoro in grado di cantare con gli stessi processi che sottendono alla produzione di un’opera wagneriana.

Un’ultima riflessione, non affrontata da Hauser, ma che viene a questo punto spontanea, è nei riguardi della psicologia di alcuni individui umani, che, almeno apparentemente mostrano pattern cognitivi non convenzionali o abnormi: si pensi ai grandi “geni” in grado di anticipare anche solo a livello di intuizione alcune forme culturali emerse successivamente, in grado quindi di “colmare” gap della mente meglio di altri, ma anche al fenomeno dell’autismo o di altri disordini dello sviluppo del cervello. Potremmo scoprire nuove “culture controintuitive” ma non di meno necessarie alla nostra comprensione del mondo, nuove forme d’arte, nuove scienze perfino.

Siamo di fronte ad un nuovo picco del Monte improbabile che merita di essere esplorato a fondo per sperare di essere almeno vagamente compreso.

Giorgio Tarditi Spagnoli