Il supporto dei tracciatori San del Kalahari alla paleontologia

Le conoscenze delle popolazioni locali posso essere di grande aiuto per l’interpretazione delle tracce lasciate dagli uomini del passato

L’analisi, l’interpretazione e la documentazione di tematiche riguardanti la ricerca paleontologica basata sugli aspetti artistici e naturali legati allo studio delle rocce hanno, negli ultimi anni, preso forza e interessato numerosi studiosi in differenti parti del mondo. Le impronte di ominidi sono tra le più evidenti e alle volte più impressionanti tracce che troviamo all’interno di caverne assieme alle rappresentazioni artistiche, una delle prime forme di comunicazione e insegnamento che l’uomo ha adottato e sta utilizzando fino ai giorni nostri.

Per comprendere la vita di questi ominidi, già da alcuni anni si è sviluppato un nuovo “metodo” che vede da un lato l’impegno degli scienziati occidentali e dall’altro il coinvolgimento delle conoscenze indigene, di modo che entrambe le parti ne traggano beneficio. Questo programma è iniziato per la prima volta nel 2013, in occasione dell’impiego di cacciatori-raccoglitori San della Namibia nella lettura di tracce pietrificate risalenti al Pleistocene nel sud della Francia: questo progetto prese il nome di “Tracking in Caves”. Da allora si è sviluppato in varie direzioni grazie alla fusione e all’appoggio di diverse comunità indigene. Nel programma originale, tre tracciatori (trackers) esperti Ju|’hoansi (popolazione indigena San del deserto del Kalahari settentrionale), Cique, Kxunta e Thao di Tsumque, Namibia, furono invitati in Europa per dare la loro interpretazione e contribuire alle attività scientifiche che si stavano svolgendo nelle caverne.

La conoscenza indigena non è una visione romantica del tracciamento né vuole apparire come esotica (Pastoors et al., 2015). Lo scopo del tracciamento effettuato da esperti locali è quello di offrire una descrizione narrativa di ciò che ci circonda, sia basandosi su una profonda conoscenza dell’ecosistema sia attraverso l’esperienza. Le specie possono essere differenziate tra loro da caratteristiche tipiche di ognuna però esistono anche delle lievi variazioni individuali all’interno di ciascuna specie; attraverso queste variazioni tracciatori esperti possono estrapolare informazioni riguardoal sesso, all’età, alla dimensione e al peso oltre che dare la possibilità di riconoscere ogni individuo dalla sua orma (Liebenberg, 1990). Non sono solo in grado di riconoscere impronte di animali ma anche umane: a dimostrazione di ciò è il fatto che essi sono in grado di riconoscere le impronte di tutti i singoli componenti del proprio villaggio rispetto a quello vicino, come pure di uno sconosciuto.

L’interpretazione data dai tre tracciatori fu strabiliante: poterono definire con minuzia le attività umane che si svolsero all’interno delle caverne di Niaux, Fontanet, Tuc d’Audoubert e Pech Merle (tutte situate nella Francia meridionale): nella prima caverna di Niaux i tre tracciatori lessero le 38 impronte (già precedentemente scoperte nel 1949 e documentate in Pales, 1976) che associarono a un bambino poiché dedussero che le impronte erano state prodotte con poca dinamica e la loro posizione indicava un individuo di altezza pari a 95 centimetri; a differenza da quanto sottolineato da studi precedenti (Pales, 1976), si tratta di un solo individuo. A Pech Merle, nel 1922, furono scoperte altre impronte umane e si giunse alla conclusione che si trattava delle orme di massimo 12 individui (Duday e Garcia 1983). Diversamente, Cique, Kxunta e Thao dedussero 18 individui differenti; non solo, essi poterono individuare 5 individui da 9 a 50 anni, e tra loro riconobbero due maschi e due femmine e un bambino che attraversava l’area camminando in modo tranquillo. Anche nelle altre cave, l’interpretazione dettagliata di età, sesso, massa corporea, comportamento sono state sbalorditive.

L’approccio scientifico occidentale non è in grado, solo attraverso il conteggio e classiche misure morfometriche, di effettuare studi riguardanti il comportamento estrapolato dalle tracce, soprattutto se paleontologiche. Contrariamente, la conoscenza indigena, come affermato da altri autori (IPACC, 2007), è il frutto di un profondo studio e un lungo processo di apprendimento. Certamente si sta delineando un nuovo approccio in cui, finalmente, la conoscenza indigena viene riconosciuta a livello accademico per il reale valore che possiede e non come una sciocca conoscenza che nulla aggiungeva alla potente e infallibile scienza e tecnologia occidentale.

Toni Romani, CiberTracker Italia

Bibliografia:

Duday, H. & Garcia M.A. (1983) Les empreintes de l’Homme prehistorique. La grotte du Pech-Merle ´ a Cabrerets ` (Lot): une relecture significative des traces de pieds humains. Bulletin de la Societ´ e Pr ´ ehistorique Franc ´ ¸aise 80, 208–15.

IPACC [Indigenous Peoples of Africa Coordinating Committee], 2007. Southern African Regional Workshop on the Formalisation of the Traditional Knowledge of Tracking: 25–29 September 2006. Klein Dobe n!ore camp, N//oq!’a`e–Nyae Nyae Conservancy, Tsumkwe East, ` Namibia. Claremont.

Liebenberg, L.W. (1990) The Art of Tracking: The Origin of Science. Cape Town: David Philip

Pales, L. (1976) Les empreintes de pieds humains dans les cavernes: Les empreintes du reseau nord de la caverne de Niaux (Ariege). Paris: Masson.

Pastoors A., Lenssen-Erz T., Ciqae T., Kxunta U., Thao T., Bégouën R., Biesele M. and Clottes J. (2015) Tracking in Caves: Experience based reading of Pleistocene human footprints in French caves. Cambridge Archaeological Journal.