Il trasformismo lamarckiano in Franco Andrea Bonelli (1784-1830)

Nel XIX secolo, il trasformismo lamarckiano ebbe ampia circolazione nell’Europa continentale. In Italia, fu il naturalista piemontese Franco Andrea Bonelli (1784-1830) a contribuire alla sua parziale diffusione

La storiografia dell’evoluzionismo moderno è un’area in costante espansione. Un recente studio pubblicato sul Journal of the History of Biology a firma di Fabio Forgione, docente presso l’Università di Verona, getta luce sulla figura e sul pensiero evoluzionista dell’accademico Franco Andrea Bonelli.

Nato nel 1784 a Cuneo, Bonelli, dopo essersi interessato per un breve periodo alla meccanica, si dedicò agli studi di ornitologia ed entomologia, entrando in contatto con la comunità scientifica torinese. Ben presto, con la fondazione dell’Impero Napoleonico, il Piemonte fu annesso alla Francia e ciò contribuì a stabilire un confronto diretto fra le scienze naturali in Italia e Oltralpe, fornendo al naturalista piemontese l’opportunità di studiare gli ultimi sviluppi della biologia francese.

Nel 1809 Bonelli ottenne una cattedra presso l’Accademia delle Scienze di Torino e, su avviso del naturalista francese George Cuvier (1769-1832), in visita a Torino in veste di referente presso l’Università Imperiale, occupò la Cattedra di Zoologia all’Università di Torino. Bonelli conobbe anche il naturalista Jean Baptiste de Lamarck (1744-1829), con il quale condivideva una visione proto-evoluzionistica degli organismi viventi, anche se non mancò di rielaborare criticamente le idee del naturalista francese. In una lettera al collega Franz Andreas Ziegler (1761-1842), Bonelli sosteneva che l’adattamento all’ambiente circostante (susceptibilité) e una progressiva tendenza verso la perfezione (développement) fossero i due principali motori del processo evolutivo. In contrasto con Lamarck, Bonelli credeva però che la distinzione fra questi due processi fosse marcata e, criticando le derive talvolta speculative del maestro francese, riteneva che fosse necessario prestare maggiore attenzione ai dati empirici osservabili in natura.

In un Piemonte ancora di stampo conservatore, tuttavia, Bonelli si premurò di conciliare le sue visioni evoluzionistiche con la sua fede religiosa. Sebbene non avesse una visione ortodossa della Creazione, criticando talvolta la presenza di cause finali in natura, Bonelli non esitò ad ipotizzare la presenza di una forza sovrannaturale all’opera nell’evoluzione. Inoltre, riteneva che il comando divino ‘crescite et multiplicamini’ (crescete e moltiplicatevi) fosse da interpretare alla luce di teorie evolutive, e che in esso fosse implicito l’invito a moltiplicare le varietà presenti in natura tramite processi biologici. Scagliatosi dunque contro i principi del fissismo, Bonelli giunse a ritenere il lavoro dei sistematici, che da Linneo in avanti si preoccuparono di assegnare ad ogni specie un posto ben definito nella ‘catena dell’essere’, mal conciliabile con una natura in costante cambiamento.

Nella stessa lettera a Ziegler, Bonelli aveva anche riflettuto sulla specie umana e sulla sua origine, prendendo posizione a favore del monogenismo. I sostenitori di questa dottrina ritenevano che le popolazioni umane esistenti avesse avuto origine da un unico ceppo, al contrario dei poligenisti, che credevano in un origine multipla della specie umana. Influenzato dai lavori del naturalista Johann Friedrich Blumenbach (1752-1840), Bonelli propose una classificazione in cinque razze umane e, nonostante fosse convinto della superiorità della razza Caucasica, prese le distanze da posizioni chiaramente eurocentriche. Le sue posizioni in merito alla relazione fra l’uomo e le altre specie animali è però più complessa. Se da un lato Bonelli riconosceva che alcune facoltà cognitive come il pensiero e la memoria fossero riscontrabili in altre specie e dunque non fossero esclusive dell’uomo, dall’altro non era disposto a concedere una relazione genealogica fra l’uomo e gli altri primati, e giunse a collocare i primi in un ordine a sé stante, quello dei Bimana. Infine, Bonelli aveva riconosciuto come, attraverso i due processi della susceptibilité e développement, il considerevole sviluppo culturale delle società umane avrebbe fornito nel tempo alla nostra specie vantaggi sugli altri animali e sull’ambiente circostante, avendo anche un impatto negativo su quest’ultimo. Fu così che attraverso la naturalizzazione della storia animale e umana, l’evoluzionismo lamarckiano trovò terreno fertile nelle teorizzazioni di Bonelli.

Bonelli dovette dunque scontrarsi con le sue preoccupazioni religiose, e con un contesto sociale in cui poteva risultare pericoloso diffondere apertamente le proprie idee. I tre decenni successivi che intercorrono tra la morte di Bonelli e la pubblicazione de L’origine delle specie (1859), sono anni di grande fermento per il dibattito pre-darwiniano, e sono testimoni più noti di quella tensione fra scienza e religione che avvolse anche il pensiero di Bonelli. Dal celebre confronto fra George Cuvier e Geoffroy Saint-Hilaire su formalismo e funzionalismo (cfr. il paragrafo “Lo sviluppo del dibattito” in quest’articolo), alla teologia naturale esposta nei Trattati di Bridgewater (Ospovat 1981: 10-11), alla pubblicazione delle Vestigia della Creazione di Robert Chambers (1844; Barsanti 2005: 202-207), traspare un dato importante: in un’epoca in cui religione e scienza non erano ancora nettamente distinte molti studiosi, come Bonelli, non smisero di interrogarsi sulla diversità di una natura in costante evoluzione, contribuendo così alla nascita della biologia moderna.

Riferimenti:

Barsanti, G. (2005), Una lunga pazienza cieca, storia dell’evoluzionismo, Einaudi, pp. 424

Forgione, F. (2020), Evolution as a solution: Franco Andrea Bonelli, Lamarck and the Origin of Man in Early-Nineteenth-Century Italy, Journal of the History of Biology, 53: 521-548

Ospovat, D. (1981), The development of Darwin’s theory: natural history, natural theology and natural selection 1838-1859, Cambridge University Press, pp. 301