Il veleno indolore della bavosa

Alcuni pesci appartenenti alla famiglia Blenniideae possiedono sistemi di difesa dai predatori basati sulla produzione di veleno. Il veleno dei pesci appartenenti al genere Meicanthus contiene tossine che si sono evolute in maniera convergente in altri gruppi filetici, e possiede potenti effetti ipotensivi

Nei pesci, è stato ampiamente dimostrato come i veleni siano comparsi più volte in maniera indipendente durante l’evoluzione (Pikaia ne ha già parlato qui). L’evoluzione di veleni porta spesso a casi di convergenza fenotipica in altre specie che condividono lo stesso ambiente con quelle in cui tali sostanze si sono originate. Quando il veleno è utilizzato per scopi difensivi, anche le specie non velenose possono trarne dei benefici in termini di protezione (mimetismo batesiano), sfruttando la loro somiglianza con una specie velenosa o comunque pericolosa per scoraggiare gli attacchi dei predatori.

È questo il caso dei Nemophini, detti anche “fangblennies” o “bavose dai denti a sciabola”, gruppo all’interno della famiglia dei Blennidi (comunemente noti come bavose), abitanti della Grande Barriera Corallina australiana e comprendenti 5 generi: il genere velenoso Meiacanthus e quattro generi non velenosi, tra cui Plagiotremus e Petroscirtes, che ne mimano la colorazione aposematica e il comportamento. L’evoluzione di colorazioni aposematiche simili alle specie velenose si è evoluta anche in pesci più lontani filogeneticamente, come il blennide imitatore Esceius gravieri e il pesce cardinale Cheliodipterus nigrotaeniatus. Una ricerca recentemente pubblicata su Current Biology ha ricostruito la filogenesi del gruppo dei Nemophini, indagandone l’origine del veleno e l’evoluzione della morfologia della bocca. I ricercatori si sono poi concentrati sull’analisi del veleno e sulla caratterizzazione dei suoi componenti.

Attraverso il sequenziamento di marker molecolari, è stato ricostruito l’albero filogenetico del gruppo, che vede il genere Meiacanthus come un gruppo monofiletico. Eseguendo poi analisi morfologiche comparative, i ricercatori sono riusciti a stabilire che tutti i Nemophini condividono grandi canini (le “zanne”), mentre solo le specie del genere Meiacanthus possiedono ghiandole del veleno alla base di tali denti. All’interno dei Nemophini, le zanne, ovvero le strutture deputate al trasporto del veleno, si sono quindi evolute e differenziate prima del veleno stesso, prodotto a livello delle ghiandole velenifere (presenti solamente nel genere Meiacanthus). Ciò è in contrapposizione con quanto avvenuto, per esempio, nei serpenti velenosi, nei quali l’origine del veleno ha preceduto l’evoluzione dei denti deputati al suo trasporto.

L’analisi proteomica del veleno estratto dalla specie Meiacanthus grammistes ha rivelato la presenza di 3 componenti principali nel veleno. Le encefaline, neurotrasmettitori della stessa famiglia delle endorfine, che sono contenute anche nel veleno di alcuni scorpioni, si legano ai recettori per gli oppioidi e hanno azione analgesica, infiammatoria e ipotensiva; il neuropeptide Y (presente anche nel mollusco marino Conus betulinus) che causa abbassamento della pressione sanguigna; alcuni enzimi (fosfolipasi A2) che hanno azione infiammatoria e lievemente neurotossica.

Il veleno “difensivo” di M. grammistes viene iniettato ai potenziali predatori attraverso i canini (quindi per via orale), differentemente da quanto accade maggior parte dei teleostei, che lo rilasciano grazie alla rottura di cellule secretorie associate alle spine opercolari o dorsali. Anche il meccanismo di azione del veleno appare diverso: il veleno associato alle spine provoca reazioni dolorose nei predatori, e viene prevenuta l’ingestione del pesce, mentre M. grammistes viene ingerito, ma poi il potenziale predatore inizia a tremare, aprendo le fauci e permettendo alla bavosa di uscire indenne. Iniettando il veleno in topi di laboratorio, i ricercatori hanno confermato l’assenza di segni o sintomi riconducibili al dolore, mostrando invece come esso provochi un abbassamento del 40% della pressione sanguigna. Escludendo possibili effetti specie-specifici, è probabile che la combinazione di effetti neurotossici, ipotensivi e infiammatori, siano sufficienti a far sì che M. grammistes  sia evitato dai predatori.

Riferimento:
Casewell et al., The Evolution of Fangs, Venom, and Mimicry Systems in Blenny Fishes. Current Biology (2017). http://dx.doi.org/10.1016/j.cub.2017.02.067

Immagine di dominio pubblico (licenza CC BY-SA 3.0)