Illusione e pregiudizio

Un breve viaggio all’interno delle delle illusioni che per lungo tempo hanno dominato lo studio del cammino evolutivo di Homo sapiens influenzandone profondamente lo sviluppo culturale e sociale

Sono stati recentemente pubblicati in Italia due testi: si tratta di “La specie imprevista” di Henry Gee, presentato, nella sua versione italiana, da Telmo Pievani, e di “Libertà di migrare”, scritto da Valerio Calzolaio e Telmo Pievani. 

È facile immaginare come le tematiche dei due libri possano essere positivamente affiancate: da una parte abbiamo un viaggio nella storia dell’evoluzione umana e, soprattutto, dei suoi a lungo perpetuati fraintendimenti, mentre dall’altra abbiamo l’esposizione di un percorso connotato da un elevato numero di migrazioni e spostamenti, di diverse tipologie, che vede sempre come protagonista il genere Homo e la complessa vicenda riguardante come si sia svolto il suo cammino evolutivo fino ad oggi.

Proprio la complessità, la non linearità, rappresenta la chiave di lettura fondamentale degli accadimenti storici che vengono indagati e portati alla luce da questi studi. Ogni nuova scoperta scientifica in ambito evoluzionistico rappresenta un tassello che, anziché completare, chiudere o delimitare un mosaico, contribuisce immancabilmente alla sua espansione. Impossibile non pensare, dopo aver utilizzato la metafora del mosaico, ad un’altra espressione figurata estremamente calzante, ovvero quella dell’albero della vita, formulata e utilizzata dallo stesso Charles Darwin e, a lungo, non debitamente considerata e compresa. L’albero della vita disegnato dal naturalista inglese nel suo primo taccuino somiglia più a un cespuglio che, anziché compiere il suo sviluppo dalle radici ai rami più sottili, dal basso verso l’alto, espande le sue diramazioni in ogni verso, lasciando le sue appendici libere di intersecarsi tra loro e mutare direzione.

Sorprendente è constatare quanto una visione così realistica e scevra da ogni tipo di teleologismo fosse già presente nei primi elaborati di colui il quale è considerato il padre della teoria dell’evoluzione, ed è ancora più sorprendente che tale concezione sia stata così a lungo non solo messa in secondo piano, ma anche ampiamente travisata, modificata e snaturata nella sua essenza. È, invece, incoraggiante, per chiunque voglia compiere una seria indagine riguardo il cammino dell’uomo sulla Terra, un’indagine che deve essere esente da dogmatismi e pregiudizi, assistere alla sempre più ampia pubblicazione di studi volti a sfatare gli ormai fortemente radicati falsi miti a riguardo.

Questo è proprio ciò che cercano di fare, tra gli altri, i due autori dei libri sopracitati. Il mirino di questi lavori è puntato contro tutte quelle consolidate illusioni che non solo ledono a livello teorico la possibilità di ricercare e conoscere i reali meccanismi che hanno operato, e che operano tuttora, nella storia dell’evoluzione umana, ma che hanno anche conseguenze negative sulla prassi del vivere quotidiano. Tali illusioni spaziano dalla presunta unicità e peculiarità del percorso evolutivo del genere Homo, ritenuto qualitativamente diverso da quello di ogni altro essere vivente, all’errata convinzione secondo la quale, così come possono essere tracciati netti confini tra gli esseri umani e gli altri animali, sia anche possibile e lecito erigere dei muri all’interno del genere umano stesso, barriere illegittimamente giustificate dalla strumentalizzazione di concetti ingannevoli come quelli di identità culturale e dominio territoriale.

Le conseguenze negative sulla prassi del vivere quotidiano sono tante, si sviluppano a più livelli e hanno avuto, e continuano ad avere, più o meno successo a seconda delle vicende che caratterizzano le diverse epoche storiche. Ritengo sia opportuno sottolineare e dare rilievo particolare a due elementi caratteristici della nostra contemporaneità che subiscono, purtroppo, il peso quasi schiacciante di talune illusioni e dei pregiudizi da esse conseguenti.

Come sottolineato da Gee, uno dei termini più spesso invocati, in ambito filosofico e non, è il termine coscienza che, nonostante abbia un significato alquanto vago e soggetto alle più disparate interpretazioni, viene di sovente utilizzato dai più per rimarcare la sostanziale differenza che esiste tra gli esseri umani e tutti gli altri esseri viventi. In accordo con queste visioni della natura umana, ogni uomo, a differenza di ogni altro animale, è dotato di una coscienza o, per dirla con un altro termine altrettanto vago e confuso, di un io.

Non sapendo bene con quali caratteristiche denotare questi elementi, che a mio parere, in concordia con quanto espresso da Gee, non rappresentano altro che vuoti involucri linguistici creati per soddisfare l’esigenza di semplificare e chiarire qualcosa che semplice e chiaro non è, vengono inserite all’interno di essi le più disperate facoltà della specie Homo. Il problema sarebbe unicamente di carattere filosofico-linguistico, e dunque, seppur importante e affascinante, non di centrale importanza per la nostra vita quotidiana, se non fosse che, ovviamente, le concezioni filosofiche, le diverse visioni del mondo e le convinzioni di ognuno, si riflettono immancabilmente, e talvolta con una potenza enorme, sul nostro modo di agire.

Laddove il pregiudizio dell’esistenza di una coscienza, magari ultraterrena, e di un io, magari immateriale, monolitico e inviolabile in quanto determina l’essenza di un individuo, si incontra con gli ultimi e sensazionali progressi nell’ambito delle neuroscienze cognitive, progressi di sovente volti comprendere e curare disturbi causati da malattie invalidanti, è facile, quasi scontato, che l’incontro si trasformi in un vero e proprio scontro, una cieca resistenza incapace di accettare la fondamentale importanza dello studio dei processi neuronali attuati dai nostri cervelli.

Il testo scritto a quattro mani da Calzolaio e Pievani tende, invece, a sfatare l’illusione secondo la quale esisterebbero “un tempo e un luogo ove osservare una comunità di umani in una forma autentica e originaria”. Le pretese di autenticità sono proprio alla base di uno dei concetti simbolici, astratti e artificiali più strumentalizzati e più sfruttati ai fini di separare e escludere, ovvero l’equivoco concetto di identità etnica.

Nelle situazioni in cui l’identità etnica viene messa in primo piano come un bene reale, un patrimonio granitico e intoccabile che la comunità che ne è detentrice deve ad ogni costo salvaguardare e mantenere intatto, e dove non vi è consapevolezza del fatto che l’origine di ogni uomo è comune e le diverse culture e tradizioni sono nate per reciproca influenza e contaminazione, dato di fatto che rende assurda la possibilità che possa esistere un’identità culturale pura, nascono inevitabilmente drammatici fenomeni di non accettazione, allontanamento ed emarginazione dell’altro.

Da cosa derivano tali illusioni? Per quale motivo il genere umano ha per lungo tempo, continuando a farlo anche oggi, innalzato piedistalli ed eretto muraglie laddove, invece, la natura mostra le evidenze di una realtà estremamente più complessa, dai confini sfumati o addirittura inesistenti? Per quale motivo il percorso evolutivo del genere umano nella storia è stato a lungo iscritto sulla traiettoria di una linea retta che porta da un livello qualitativamente inferiore ad uno superiore, culminante proprio nel trionfo di una creatura avente il possesso di capacità e facoltà uniche, come la deambulazione bipede, l’idoneità a creare strumenti, il linguaggio, il pensiero, la ragione, la coscienza e la cultura? Il tentativo non è, ovviamente, quello di negare l’esistenza di tutti questi elementi, ma è quello di negarne la singolarità e la staticità, di rifiutare le interpretazioni secondo le quali l’emergere di tali capacità e facoltà non possa essere iscritto, come quello di altri caratteri, all’interno dell’ampio e intricato quadro dell’evoluzione naturale e delle sue imprevedibili contingenze.

Una possibile risposta, non certo l’unica, non certo la migliore o la più esaustiva, potrebbe essere che tali illusioni, e i pregiudizi che ne conseguono, derivino proprio da uno di quei tratti del comportamento umano che si sono sviluppati, ed in seguito consolidati, per opera di svariate contingenze storico-evolutive. Il comportamento in questione è quello del desiderio di comprendere e dominare, originariamente per scopi di sopravvivenza, la realtà circostante. Dai naturali limiti umani e dalla sua evidente inadeguatezza rispetto al tentativo di comprendere veramente a fondo l’enorme poliedricità del reale possono derivare due atteggiamenti: il primo di totale rinuncia alla comprensione e, dunque, di autocondanna all’immobilità, ed il secondo, più audace e dettato dall’istinto alla sopravvivenza, di agire come se fosse possibile e lecito intendere e, conseguentemente, dominare la realtà circostante.

È forse possibile, in accordo con alcuni studi di carattere antropologico, come quelli del professor Marco Aime, il quale fa riferimento, a sua volta, alle parole dello scrittore e saggista francese di origine martinicana Edouard Glissant, poter leggere le derive, maggiormente presenti nel pensiero occidentale, di questo atteggiamento come le espressioni di una “ossessione classificatoria”. Tale ossessione porta ad assecondare il desiderio di comprendere e controllare il reale, andando a collocare ogni cosa in compartimenti stagni, esercitando forzature e mutilazioni estreme su tutto ciò che in natura è, invece, opaco, complesso e impossibile da definire una volta per tutte.

Credo di poter affermare che l’appello e la speranza degli autori dei testi citati non sia, ovviamente, di rinunciare all’indagine, al tentativo di comprendere e, in una certa misura, provare a tenere sotto controllo alcuni aspetti della realtà, ma sia invece quello di continuare sempre, con costanza e determinazione, a ricercare, studiare e pensare, senza mai, però, cedere al desiderio di voler forzatamente domare, intrappolare e sminuire la meravigliosa complessità della realtà che ci circonda e della storia evolutiva della quale siamo, insieme ad ogni altro essere vivente e ad ogni altro elemento naturale, i protagonisti.

BIBLIOGRAFIA
– GEE, H. (2016), “La specie imprevista. Fraintendimenti sull’evoluzione umana”. Il Mulino, Bologna.
– CALZOLAIO, V. e PIEVANI, T. (2016), “Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così”. Einaudi, Torino.
– AIME, M. (2013), “Cultura”. Bollati Boringhieri, Torino.
– FABIETTI, U.E.M., (2015), “L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco”. Carocci, Roma.