La macchina dell’attrazione

Come il funzionamento di sistemi chimico-biologici giustifica la spinta estetica

Le ragioni che determinano una propensione estetico-sessuale verso caratteristiche anatomiche estremizzate piuttosto che prototipiche, così come documentato da numerosi studi condotti nella nostra ed in altre specie animali (Andersson 1982; Thornhill e Gangestad, 1993; Johnston e Franklin, 1993; Perrett et al., 1998), possono essere rintracciate nel diverso funzionamento dei meccanismi di selezione sessuale e naturale. Quest’ultima, infatti, che viene considerata come il principale fattore di modificazione delle frequenze alleliche di una popolazione, assume generalmente un carattere stabilizzatore, tendendo a produrre uniformità fenotipica attraverso l’eliminazione delle forme più estreme. Viceversa, la selezione sessuale è caratterizzata dalla sua funzione direzionale e talvolta divergente che si esplica nel favorire l’incremento proporzionale di una specifica caratteristica estrema parallelamente al graduale decremento della caratteristica estrema opposta. Le conseguenze più evidenti della selezione sessuale dipendono anche dalla diversa dimensione delle cellule germinali nei due sessi: i maschi producono infatti una gran quantità di spermatozoi piccoli e mobili, mentre le femmine poche uova grandi e ricche di materiale nutritivo. Tali differenze tra i gameti sono quindi alla base dello sviluppo della variabilità sessuale per quanto riguarda il comportamento e la morfologia. Indipendentemente dalle ragioni che hanno determinato il dimorfismo anatomico-strutturale delle cellule germinali, la sua esistenza costituisce di per sé il terreno fertile per l’azione della selezione sessuale che guida i maschi ad una reciproca competizione e conduce le femmine ad un oculato investimento delle proprie risorse preziose. Inoltre, la competizione intrasessuale maschile non si limita al solo garantirsi la scelta sessuale femminile ma si estende ad una gara spermatica che ha luogo in seguito alla copula (Birkhead e Møller, 1998). Come evidenziato dallo studio pionieristico di Clutton-Brock e Parker (1995), la selezione sessuale, sotto forma di competizione postzigotica, svolge un ruolo centrale anche dopo l’atto riproduttivo, in particolare in quelle specie in cui la femmina si accoppia con più maschi. Sfruttando complessi processi interni che determinano la scelta degli spermatozoi che andranno a fecondare l’uovo, la femmina può infatti esercitare un controllo sulla paternità (Eberhard, 1996). Così la selezione sessuale agisce favorendo la propagazione di tratti anatomici estremi, che rappresentano degli indicatori di qualità genetica dell’individuo che ne è portatore proprio in quanto potenziale fonte di handicap, che consente loro di dar prova della propria capacità di sopravvivenza e della propria resistenza nonostante la loro presenza (Zahavi, 1975) e che permettono ai “più equipaggiati” di essere premiati nella lotta per la riproduzione assicurandosi l’esigente attenzione femminile. 
Tra le diverse ipotesi proposte per spiegare i meccanismi messi in atto dalla selezione sessuale, l’argomento del riconoscimento specie-specifico, secondo cui non è indispensabile che un ornamento rifletta una maggiore fitness per essere selezionato ma è sufficiente che migliori il riconoscimento intra-specifico riducendo così la probabilità che si verifichino accoppiamenti ibridi, non appare in grado di render conto pienamente dei tratti sessuali più appariscenti, ovvero delle strutture anatomiche estremizzate che risultano fortemente attraenti per il sesso opposto, quale ad esempio la coda delle vedove codalunga (Euplectes progne, Andersson, 1982). Infatti, in queste specie di volatile la coda appare molto più sviluppata di quanto effettivamente necessario per garantire il riconoscimento specie-specifico e scongiurare quindi il rischio di speciazione, il che suggerisce come, almeno in questi casi, siano coinvolti altri processi.  
Risulta pertanto chiaro come le caratteristiche fenotipiche estreme possano dirsi tali fino ad un certo punto, in rapporto cioè alla compatibilità con la sopravvivenza che ne vincola lo sviluppo e sul cui limite gioca la selezione sessuale. D’altra parte se non ci fosse la selezione naturale che favorisce la propagazione di caratteristiche “neutre” in termini di differenziale riproduttivo, non sarebbe possibile parlare di prototipicità e delle relative forme estremizzate, premiate a loro volta dalla selezione sessuale. Inoltre, la media non rappresenta un elemento stabile ma, al contrario, la sua mobilità dipende dall’azione della selezione naturale e dalla continua evoluzione dei gusti sessuali. In altri termini, ciò che era estremo può progressivamente trasformarsi in prototipico in corrispondenza dello sviluppo evolutivo delle strutture fisiche e psicologiche della controparte. La selezione sessuale esplica pertanto la propria attività all’interno del ventaglio di scelte che la selezione naturale ha già reso compatibili con la sopravvivenza, tendendo però a preferire quei tratti che si avvicinano sintoticamente al modello estremo prescelto, per esempio alla maggiore estrogenicità o testosteronicità. Si produce così, dal punto di vista grafico, un andamento oscillante con una tendenza sul lungo periodo ad aggiustamenti progressivi sempre più proiettati verso uno dei due estremi, cioè quello istintivamente prediletto dalla selezione sessuale, registrando però continui rientri verso il basso dovuti al rimescolamento genetico che ad ogni generazione produce varianti in funzione di come il tratto specifico si è selezionato nel corso degli accumuli delle precedenti variazioni. 
Così uno degli aspetti più costosi per la sopravvivenza, premiato dalla selezione sessuale, ma che limita l’espressione dei caratteri sessuali secondari è rappresentato dalle maggiori dimensioni corporee (rispetto alla media) che rendono i maschi di molte specie di uccelli e mammiferi più suscettibili delle femmine a morire di inedia durante gli stadi di crescita giovanili (Andersson, 1994). Coerentemente con tale ipotesi, Ryan (1985) ha dimostrato come il successo riproduttivo maschile sia direttamente proporzionale con l’aumento della dimensione corporea rispetto alla media della specie che, a sua volta, viene segnalata alle femmine della rana di Tungara (Physalaemus pustulus) attraverso frequenze canore più gravi (Ryan, 1985). Inoltre, lo sviluppo di ornamenti maschili in molte specie animali è un fenomeno che risulta fortemente connesso al livello testosteronico (Riters et al., 1998), la cui produzione dipende in gran parte dall’alimentazione e dallo stato di salute e può pertanto fungere da trait d’union tra lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, le condizioni fisiche generali del maschio e la loro segnalazione durante la fase del corteggiamento. D’altra parte, il testosterone può ridurre l’efficacia del sistema immunitario contro l’attacco dei parassiti. Così una elevata presenza di testosterone, che si manifesta fenotipicamente sotto forma di vistosi ornamenti sessuali, si traduce in un diretto indicatore di fitness degli individui che, per esserne portatori, devono dimostrare di possedere un alto grado di resistenza al potenziale carico di agenti patogeni, cui i loro ingombranti caratteri sessuali secondari li espongono (Hamilton e Zuk 1982). Elevati livelli ormonali androgenici influenzano, inoltre, l’espressione di comportamenti sessuali. In particolare, nella specie Phasianus colchicus, la manipolazione ormonale dell’ambiente prenatale, attraverso l’iniezione di testosterone nelle uova, ha prodotto importanti cambiamenti attitudinali nella prole: le femmine esposte artificialmente al testosterone si accoppiano meno delle altre; viceversa i maschi a cui nell’uovo è stato iniettato l’ormone androgeno totalizzano un numero maggiore di copule rispetto al gruppo di controllo (Bonisoli-Alquati et al., 2011). Tali variazioni comportamentali, generate dall’impronta biologica materna che determina il livello ormonale prenatale, si traducono in differenze adattative ambientali che incidono sul tasso di riproduzione individuale. 
L’azione della selezione sessuale intesa come meccanismo che determina le regole riproduttive, non si esplica solo attraverso il modellamento dei caratteri anatomici sulla base di criteri estremizzati, spesso connessi ad un elevato livello ormonale, ma si definisce anche come configurazione di comportamenti sessuali volti ad incrementare il successo riproduttivo. A tal riguardo, fin dalle prime analisi biologico-evoluzionistiche, l’attenzione di molti studiosi è stata catturata dall’alacre adoperarsi dei maschi di tutte le specie di uccello giardiniere per costruire un nido all’altezza delle aspettative delle loro esigenti partner. Nel contemplare, infatti, l’operoso prodigarsi di tali specie nel dar forma ad un giaciglio coniugale dall’architettura complessa e dai colori stravaganti ma al contempo ben calibrati negli accostamenti tonali, la tentazione di attribuire agli ingegnosi ideatori un gusto quasi umano e un’intenzione puramente estetica è molto forte. Tuttavia, anche in questo caso il carattere meccanicistico-istintuale ed utilitaristico dell’attività condotta dai maschi emerge non solo dall’attenzione posta sul differenziale riproduttivo direttamente proporzionale al successo riscosso da tali arene riproduttive, ma anche dall’abitudine, comune ad animali che si servono di fenotipi estesi come segnali di corteggiamento, di riutilizzare le decorazioni raccolte nella costruzione di nuovi nidi, riducendo così i costi annuali di reperimento di nuove risorse (Doerr, 2012). 
Se, coerentemente con l’intero impianto evolutivo-adattazionista da lui proposto, lo stesso Darwin (1871) riconosce nell’impegno dedicato da parte dell’uccello giardiniere alla costruzione dell’articolato e complesso pergolato l’impronta della selezione sessuale, il timore di un’etichettatura riduzionista conduce alcuni teorici contemporanei ad intravedere accanto a tali meccanismi sessuali, pur rimanendo all’interno della più ampia cornice evoluzionistica, l’esistenza di una selezione estetica fondata su fattori che esulano dalla mera spinta biologica alla scelta del partner più adatto all’accoppiamento (Prum, 2010; Rothenberg, 2012). In particolare, Rothenberg (2012), rimarcando da un lato l’importanza evolutiva della competitività maschile ai fini di attrarre e impressionare positivamente le femmine della propria specie, sottolinea dall’altro la presenza di un senso del bello oggettivo e della ricerca di una dimensione estetica priva di scopo. Secondo tale prospettiva, infatti, l’attività “artistica”, pur corrispondendo ad una predisposizione innata risultato di un lungo retaggio evolutivo, deve essere appresa. In altre parole, i maschi più anziani diventano sempre più esperti mentre un maschio allevato isolato, in cattività, da forma a pergolati molto miseri e semplici (Rothenberg, 2012). Inoltre la variabilità degli stili, dei colori e degli ornamenti dettata dalla diversa distribuzione geografica delle specie di volatili sembra suggerire, secondo Rothenberg (2012), l’esistenza di una tendenza “culturale” e della prevalenza della funzionalità estetica sull’utilità pratica. In quest’ottica il dispendio di energia e di tempo dovuto all’instancabile ricerca dei più colorati, appariscenti e pregiati orpelli non viene ricondotto solo all’azione cieca della selezione sessuale ma anche, e soprattutto, alla ricerca di un senso estetico e di un’idea di bello determinato dall’arbitrarietà del gusto femminile e dalla marcia della natura (Rothenberg, 2012). L’arte si trova così alla radice della stessa evoluzione nei suoi istinti più profondi e nessuna spiegazione strettamente biologica sembra totalmente soddisfacente. L’attività di produzione e fruizione artistica del maschio di uccello giardiniere costituisce un esempio, secondo Rothenberg, di quanto la natura spesso ci dia più di quanto sembri necessario sotto forme meravigliose e sorprendenti e la geometria nell’arte è la metafora della mancanza di scopo e della gratuità stessa che si riscontra nell’universo. Ciò significa che se l’evoluzione appare priva di scopo al contempo è capace di produrre creature con comportamenti fuori dall’ordinario ma essenziali: l’unità e la forma appaiono evidenti dopo milioni di anni di spinta congiunta della selezione adattativa ed estetica. 
La posizione proposta da Rothenberg sembra sollevare diverse criticità. Se da un lato l’autore di The survival of the beautiful mette in luce il carattere preponderante dei meccanismi sessuali a scapito della mera lotta per la sopravvivenza, dall’altro l’ambizione di riconferire alla bellezza un’accezione tradizionale e aulica lo porta a introdurre il concetto di selezione estetica capace di offrire una rinnovata casualità alla natura che si mescola così con l’idea di arte per l’arte. Ciò che distingue la selezione estetica da quella sessuale è la sua capacità di includere all’interno dei propri confini la dimensione teorica ed immaginaria delle forze che guidano l’universo, al di là dei loro esclusivi risvolti pratici. Così, non sopravvive solo il più adatto ma anche il più interessante. Ma ci si potrebbe domandare: ciò che cattura maggiore interesse non è considerabile per definizione come l’oggetto privilegiato della ricerca e della scelta sessuale femminile, a sua volta formulata, sebbene a posteriori, sulla base di ciò che è risultato più utile alla sopravvivenza? A meno che non si voglia percorrere l’insidiosa strada del realismo più radicale presupponendo l’esistenza di un’idea di interessante e di bello senza riferirsi al contempo ad un soggetto dotato di schemi concettuali, pratiche linguistiche e credenze individuali, insomma pensando al bello in sé, la selezione estetica appare assorbibile da quella sessuale. Ciò significa che, per quanto appaia suggestivo ritagliare un angolo di universo misterioso e incontaminato dall’utilitaristico approccio evolutivo, è certamente più oggettivo, se si intende discutere su un piano razionale e scientifico, affidarsi alla più “scomoda” e meno intuitiva, almeno per noi in quanto esseri umani, realtà biologico-selettiva. Perché la selezione naturale, che non si cura certo dei nostri dibattiti sul problema delle definizioni linguistiche da attribuire a processi meccanici, dovrebbe prevedere lo sviluppo di un senso estetico fine a se stesso, ovvero privo di qualsivoglia forma di utilità? In altri termini, che senso avrebbe parlare di senso estetico al di fuori di un percettore dotato di quelle tonalità edonistiche forgiate dal lungo processo evolutivo in quanto utili alla sopravvivenza e alla riproduzione? Inoltre, se nella definizione di selezione estetica non è possibile rintracciare a posteriori uno “scopo”, ovvero un risultato, non ha neanche senso parlare più di selezione, termine che risulta pertanto svuotato del proprio significato e che lascia dietro di sé solo l’estetica che, in quanto tale, non indica nulla di più se non l’insieme dei gusti individuali. Il fatto che il dispendio di energia, di tempo e di risorse sia indice del carattere adattativo ed utilitaristico della produzione artistica e più in generale dell’attività estetica piuttosto che della ricerca priva di scopo di un gusto e di un piacere edonistico fine a se stesso, viene confermato dalle numerose prove empiriche che interessano anche il mondo animale. Infatti, come sostenuto dallo stesso Rothenberg (2012), anche tra gli uccelli giardinieri i cinque maschi più competitivi, cioè che dimostrano di possedere un “miglior” gusto estetico e che si prodigano maggiormente nel reperire risorse e al contempo distruggere i pergolati dei contendenti, riescono a totalizzare il 56 percento degli accoppiamenti su 33 soggetti analizzati. Bisogna infatti tener presente che ciò che sopravvive negli involucri fenotipici femminili sono quei geni responsabili della formazione delle strutture neuro-ormonali capaci istintivamente di apprezzare le abilità artistiche dei loro potenziali partner. Questo perché il processo selettivo riguarda il patrimonio genetico prima ancora del fenotipo corrispondente da esso prodotto. Un altro argomento spesso portato avanti dai sostenitori dell’arbitrarietà che caratterizzerebbe lo sviluppo del gusto estetico femminile e della produzione artistica disinteressata, chiama di nuovo in causa l’uccello giardiniere, in questo caso però con riferimento al comportamento adottato dalle femmine della specie. Il fatto che queste ultime non si nutrano dei frutti raccolti dai maschi ma si limitino ad osservare il nido nel suo complesso per poi scegliere se accoppiarsi o meno con il maschio in questione, viene infatti utilizzata come prova dell’esistenza, anche nel mondo animale, di una tendenza a produrre, o quanto meno fruire, del bello per il puro gusto di farlo (Schaeffer, 2002). Tuttavia i frutti, così come ogni altro elemento ornamentale raccolto, all’interno del contesto del corteggiamento amoroso, non rappresentano gli oggetti “reali” stessi ma sono indicatori di fitness dell’individuo portatore, che rinviano a strutture genetiche biologicamente vantaggiose. In altri termini, la bacca rossa o il petalo blu, particolarmente difficili da reperire proprio nelle aree geografiche in cui tali orpelli riscuotono, in virtù di tale caratteristica, un maggiore apprezzamento femminile e, di conseguenza, una più acuta attenzione maschile, non rappresentano oggetti belli in sé (il che comporterebbe l’attribuire un raffinato senso estetico ai soggetti di entrambi i sessi della specie). Si tratta, piuttosto, di importanti segnalatori della resistenza e della tenacia occorsa ai maschi per reperire e custodire tali risorse contro gli attacchi dei contendenti. Sarebbe sbagliato, pertanto, confondere i due diversi piani e contesti di riferimento: quello della nutrizione e quello del corteggiamento sessuale. Per dare sostegno all’ipotesi avanzata di un’origine evolutiva dell’arte è indispensabile, come si è visto, spostare l’attenzione dall’influenza esercitata dalla selezione naturale a quella derivante dalla selezione sessuale, e, nel caso di specie, alle abitudini di corteggiamento dell’uccello giardiniere che dimostrano come l’arte sia considerabile, a tutti gli effetti, come un adattamento evolutivo.
Da quanto detto sembra emergere che l’attribuzione di un carattere estetico a qualsivoglia comportamento sessuale-riproduttivo costituisca un’abitudine tipicamente umana dettata dalla riluttanza a riconoscere nella danza della natura il dispiegamento sistemico di meccanismi naturali atonali.
Danae Crocchiola
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