La pecora Soay insegna: l’immunosenescenza negli animali selvatici

La pecora Soay dimostra un sensibile calo nella sua capacità di contrastare i vermi parassiti all’aumentare dell’età, rappresentando il primo caso noto di immunosenescenza tra gli animali selvatici

Deriva dallo studio della pecora Soay la prima evidenza di immunosenescenza (il deterioramento della funzionalità del sistema immunitario con il passare dell’età) negli animali selvatici, con la conseguente importante dimostrazione che questo processo non è esclusivo dell’essere umano.

Lo studio in questione, condotto dall’Università di Edimburgo con la collaborazione del Moredun Research Institute e del CBD (Centre for Biodiversity Dynamics, Università della Norvegia), fa parte di un più ampio progetto di ricerca incentrato su questa antica razza ovina, iniziato nel 1985 e motivato dalla eccezionalità delle condizioni sia storiche che ambientali che hanno preservato per millenni questa popolazione lontano dal continente.

La razza ovina Soay prende infatti il nome dall’omonima isola nell’arcipelago di Saint Kilda, a nordest della Scozia, su cui la specie è stata introdotta durante il Neolitico. La sua esistenza da allora ad oggi in isolamento rispetto alle svariate razze di pecore del continente e il suo ritorno allo stato selvatico nel corso dei secoli ne fanno un caso estremamente prezioso per discipline come l’ecologia delle popolazioni e l’ecodinamica, nonché offrono la ben rara possibilità di studiare una forma estremamente vicina al progenitore selvatico della pecora domestica.

Questi elementi nel loro complesso hanno dunque incoraggiato a partire dagli anni Cinquanta del ‘900 lo studio della pecora Soay nel suo ambiente, delle caratteristiche del suo ciclo vitale e, tra le altre cose, della sua interazione con i vermi parassiti del phylum Nematoda. Proprio concentrando l’attenzione su quest’ultimo aspetto i ricercatori hanno evidenziato come, in questi animali, la capacità di contrastare un’infezione parassitaria subisca un drastico calo con l’avanzare dell’età, portando spesso l’animale infettato alla morte nel corso dell’inverno successivo al momento del contagio.

I dati a supporto dello studio, pubblicato di recente su Science, sono stati ricavati da più di 2.000 campioni raccolti dai ricercatori nell’arco di quindici anni (tra il 1990 e il 2015) e coinvolgono circa 800 animali, che sono stati sottoposti a prelievi costanti durante tutto il loro ciclo vitale. I risultati mostrano una riduzione evidente in età avanzata del livello di anticorpi atti alla protezione dell’individuo contro i parassiti più comunemente riscontrati sull’isola in associazione alle pecore, e una conseguente maggiore incidenza dei casi di morte ad essi legati.

Secondo il team di ricercatori i risultati del loro lavoro hanno una duplice valenza. Il primo importante aspetto che gli autori sottolineano riguarda le implicazioni per la medicina, essendo l’immunosenescenza una problematica estremamente attuale per la salute umana. È quindi possibile che il presente studio e futuri sviluppi aiuteranno a fare maggiore chiarezza circa questo processo e le strategie mediche che è possibile mettere in campo per arginarlo. La seconda applicazione dei risultati raggiunti riguarda invece direttamente l’allevamento e le industrie ad esso connesse; in questo settore, secondo gli autori, lo studio appena trattato si pone come la base sulla quale sarà possibile ideare metodologie volte all’ottenimento di cicli produttivi di maggiore durata per il bestiame, non influenzati dal calo di resa che necessariamente segue il fenomeno dell’immunosenescenza.

Riferimenti:
Gaillard, Jean-Michel, and Jean-François Lemaître. “An aging phenotype in the wild.” Science 365.6459 (2019): 1244-1245.

Immagine: stephen jones from uk [CC BY 2.0], via Wikimedia Commons