La selezione naturale impressa nel genoma

Le sequenze genomiche, siano esse mitocondirali o nucleari, possono essere viste come un libro in cui è scritta la storia evolutiva delle specie e che devono solo essere interpetate. A tal proposito giungono due studi diversi che riguardano specie differenti ma che sottolineano in che modo questo straordiario strumento può essere utilizzato per la comprensione di come la selezione naturale

Le sequenze genomiche, siano esse mitocondirali o nucleari, possono essere viste come un libro in cui è scritta la storia evolutiva delle specie e che devono solo essere interpetate. A tal proposito giungono due studi diversi che riguardano specie differenti ma che sottolineano in che modo questo straordiario strumento può essere utilizzato per la comprensione di come la selezione naturale ha agito nel corso del tempo.

Il primo, pubblicato sulla rivista PLoS Genetics, ha ricercato ciò che rimane dell’azione della selezione naturale all’interno dei genomi dell’uomo e di altri tre primati non umani, lo scimpanzè (Pan troglodytes), l’orango (Pongo pygmaeus) e il macaco reso (Macaca mulatta). In particolare, lo studio si è focalizzato sulla determinazione dei locus genici che hanno subito numerosi cambiamenti nell’ultima fase dell’evoluzione umana (gli ultimi 200.000 anni), mediante l’individuazione di polimorfismi a singolo nucleotide (Single Nucleotide Polymorphisms o SNPs) tra diversi individui conspecifici, e sul confronto tra queste regioni di DNA nucleare nell’uomo e negli altri primati. Dai risultati emerge come in questo intervallo di tempo centinaia di geni sono stati interessati da importanti episodi di selezione positiva, molti dei quali (oltre 100) sono condivisi tra l’uomo e almeno due delle specie sopracitate. L’individuazione di numerosi geni ortologhi (geni simili riscontrabili in organismi strettamente imparentati tra loro), sottoposti ad un alto tasso di selezione, in diverse specie indica la presenza di quelli che gli autori definiscono veri e propri “hotspot di selezione positiva”. Questi potrebbero rappresentare, da un lato, episodi di evoluzione convergente o, dall’altro, casi di adattamento e origine di caratteri fenotipici diversi che coinvolgono però gli stessi loci genici. Questo studio, concludono gli autori, potrebbe aprire le porte alla comprensione di come l’azione della selezione naturale, agente sugli individui, si riflette a livello del DNA delle popolazioni.

Il secondo studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, riguarda invece l’orso polare (Ursus marittimus) e, in particolare, un invidividuo di questa specie vissuto in Norvegia tra 130 e 110.000 anni or sono. Grazie a sofisticate procedure di estrazione genomica, il suo DNA mitocondriale è stato recuperato e analizzato alla luce delle conoscenze attuali sulla biologia della specie in questione. Dalle analisi emerge come l’orso polare si sia separato in tempi molto recenti, intorno a 150.000 anni fa, dalle popolazioni di orso bruno (Ursus arctos) e che abbia attraversato un rapido periodo di modificazione ed evoluzione fenotipica. In questa fase, durata poche decine di migliaia di anni, la specie ha saputo adattarsi all’ambiente in continuo mutamento tipico del Tardo Pleistocene, caratterizzato da periodi glaciali seguiti da momenti in cui i ghiacci andavano sciogliendosi, e divenire il predatore di vertice della rete trofica delle regioni marine dell’Artico. Questa scoperta porta con sè una speranza, la speranza che anche in questo periodo di intensi cambiamenti climatici l’orso polare, simbolo della biodiversità che va scomparendo a causa del global warming, riuscirà a modificare in breve tempo il proprio stile di vita e sopravvivere al costante ritiro dei ghiacci.

Andrea Romano

Riferimenti:

Enard, D., Depaulis, F., Roest Crollius, H., Human and Non-Human Primate Genomes Share Hotspots of Positive Selection. PLoS Genetics, 2010; 6 (2): e1000840 DOI: 10.1371/journal.pgen.1000840

Charlotte Lindqvist, Stephan Schuster, Yazhou Sun, Sandra Talbot, Ji Qi, Aakrosh Ratan, Lynn Tomsho, Lindsay Kasson, Eve Zeyl, Jon Aars, Webb Miller, Ólafur Ingólfsson, Lutz Bachmann, and Øystein Wiigd. Complete mitochondrial genome of a Pleistocene jawbone unveils the origin of polar bear. Proceedings of the National Academy of Sciences, Mar. 1, 2010