La simbiosi nel nostro cervello

“Simbiosismo” (da “simbiosi”) è il nome questa nuova teoria del linguaggio, nata dalla teoria dell’evoluzione e dalla teoria dei memi. George van Driem, Frederik Kortlandt e Jeroen Wiedenhof dell’Università di Leiden propongono un ribaltamento nelle teorie del linguaggio che vedevano questa importante caratteristica dell’essere umano come un suo mero strumento. Per i tre studiosi, invece, il linguaggio può essere descritto

“Simbiosismo” (da “simbiosi”) è il nome questa nuova teoria del linguaggio, nata dalla teoria dell’evoluzione e dalla teoria dei memi. George van Driem, Frederik Kortlandt e Jeroen Wiedenhof dell’Università di Leiden propongono un ribaltamento nelle teorie del linguaggio che vedevano questa importante caratteristica dell’essere umano come un suo mero strumento. Per i tre studiosi, invece, il linguaggio può essere descritto come un essere vivente, una forma di vita memetica che risiede nel cervello umano: i memi sono i replicatori il corpo umano, in particolare il cervello, il veicolo.

van Driem, Kortlandt e Wiedenhof per elaborare la teoria simbiosistica hanno ridefinito il concetto di meme: secondo la Scuola di Leiden i memi sono le unità discrete di significati, corrispondenti a costrutti neurali. Questa definizione è una forma ristretta rispetto alla cosiddetta Scuola di Oxford, fondata da Richard Dawkins e poi portata avanti da autori quali Daniel Dennet e Susan Blackmore, secondo cui sia le parole che i comportamenti (o gli stili, le mode) sarebbero memi, non necessariamente dotati di significato.

Secondo la Scuola di Leiden solo le parole che compongono il linguaggio possono permettere un alto grado di fedeltà nella replicazione, nella copia da cervello a cervello, per imitazione. A prova di ciò, da recenti studi di linguistica emerge infatti che alcune parole, più di altre, mostrano un alta fedeltà di copia e quindi tendono ad essere conservate nella storia delle lingue [Pikaia ne ha trattato qui]. Nella definizione della Scuola di Leiden anche i comportamenti possono essere replicati ma con una bassa fedeltà di replicazione e per questo evolvono ancora più rapidamente del linguaggio. van Driem, Kortlandt e Wiedenhof definiscono quindi memi (in senso stretto) le parole e “mimi” (singolare “mimo”) i comportamenti.

I memi secondo la Scuola di Leiden sono simbionti mutualisti dell’ospite ominide. L’ospite ominide sarebbe ermafrodito dal punto di vista della riproduzione del linguaggio, possedendo sia un organo di ricezione dei memi, l’orecchio, sia un organo di produzione dei suoi corrispondenti ai memi, la laringe. Il linguaggio viene replicato da parte dell’ospite ominide ed esso riceve dal linguaggio informazioni sul mondo, dando sia un vantaggio in termini di sfruttamento dell’ambiente che nella scelta sessuale. Oltre a ciò venne data all’ospite la possibilità di “raccontarsi”, di creare storie della vita dell’ospite ominide stesso, rinforzandone l’aspetto sociale. Così come già proposto dalla Blackmore nella Macchina dei memi, sarebbe stata l’esplosiva replicazione dei memi (o “impulso memetico”), poco dopo la loro comparsa, a far evolvere le grandi capacità cerebrali degli esseri umani, innescando un allungamento del periodo di apprendimento a tutta la vita attraverso una progressiva neotenia.

Infine la Scuola di Leiden distingue il simbiosismo come teoria del linguaggio dal “simbiomismo” (da “simbioma”), la visione filosofica che ne scaturisce: l’essere umano è un simbioma composto da un corpo, l’ospite omide, e un’anima, costituita da tutti i memi linguisticamente mediati che costituiscono il nostro “Io”, che è quindi appreso (come nuovamente ipotizzato dalla Blackmore). L’anima “sopravvive” dopo la morte dell’ospite solo nella misura in cui venga lasciato segno nella storia dell’umanità.

Inoltre, così come il linguaggio può costituire un vantaggio per i geni dell’ospite ominide, così può prendere il sopravvento a suo unico vantaggio, spostando l’equilibrio simbiotico verso un parassitismo. Tutti i sistemi culturali basati sul linguaggio che si replichino a discapito del vantaggio dei geni dell’ospite, rappresentano un caso di “malattia del linguaggio”: esse prendono varie forme, in diversi ambiti: religioni, ideologie politiche, miti di fondazione, mode, stili architettonici, correnti artistiche e così via.

Il futuro dell’evoluzione culturale sarà quindi quello di vedere molte nostre istituzioni già esistenti come “organizzatori e mediatori memetici”: il sistema giudiziale, della politica, dell’educazione dovranno garantire che le malattie del linguaggio non possano prevalere sull’ospite ominide.

Se questa sia fantascienza, è presto per dirlo. Di certo è del massimo interesse.

Giorgio Tarditi Spagnoli