L’almanacco delle critiche all’evoluzione

Sebbene mi fossi più volte riproposto di non leggere il libro di Fodor e Piattelli Palmarini in virtù delle numerose critiche negative lette in vari articoli, la curiosità era tanta che alla fine ho deciso di passare un po’ di tempo a leggerlo… ma non è stata una buona scelta. Il primo aspetto che mi ha colpito è che questo

Sebbene mi fossi più volte riproposto di non leggere il libro di Fodor e Piattelli Palmarini in virtù delle numerose critiche negative lette in vari articoli, la curiosità era tanta che alla fine ho deciso di passare un po’ di tempo a leggerlo… ma non è stata una buona scelta.

Il primo aspetto che mi ha colpito è che questo libro contiene, come già accaduto in numerosi precedenti articoli di Piattelli Palmarini, la critica ad aspetti ormai superati del dibattito sulla teoria dell’evoluzione. L’insistenza con cui il libro ribadisce, ad esempio, che l’evoluzione non è solo “adattamentismo” sorprende considerato che questo dibattito si è in realtà già chiuso da decenni e che nessuno ha più nella comunità scientifica una posizione di questo tipo. Parallelamente però questo libro non ha la stessa incisività con cui Gould e Lewontin affrontarono questo tema nel 1979 (!) nell’articolo “I Pennacchi di San Marco”. In modo analogo che esistano meccanismi che agiscono in parallelo alla selezione naturale o che ci siano diversi livelli a cui studiare la selezione o che esistano geni o porzioni del genoma in grado di agire come “free rider” (vedi ad esempio geni in linkage, epistasi,…) è noto da anni e colpisce il fatto che la critica a ciò che la teoria dell’evoluzione è oggi venga fatta su elementi ormai superati.

Mi ha inoltre colpito la presunta “scoperta” dell’esistenza di vincoli nell’evoluzione che viene presentata come un elemento di rottura rispetto alla teoria dell’evoluzione. Quando invece è noto da tempo che esistono vincoli così come è noto che la selezione per una nuova funzione talvolta riduc l’efficienza della vecchia. Questo è tuttavia esattamente il motivo per cui si è assistito ad esempio a livello cellulare ad una specializzazione di funzione. In cellule che svolgono simultaneamente molte funzioni, la selezione deve agire obbligatoriamente in modo da mantenere tutte queste funzioni per lo meno ad un minimo utile di funzionalità. Suddividendo queste funzioni in tipi cellulari specializzazioni in una o poche funzioni questi vincoli vengono a cadere e la selezione può spingere il singolo tipo cellulare ad avere performance ottimale dato che ora non serve mantenere altre funzioni. Questo processo, che è assolutamente darwiniano, ci permette di capire perché sia stato premiato in moltissimi casi un aumento di complessità e non rappresenta assolutamente un punto di debolezza della selezione naturale, ma ci spiega semplicemente in modo meccanicistico perché gli asini non posso volare o riprendendo un pretendete articolo di Fodor, perché i maiali non hanno le ali. In merito a questo aspetto non è chiaro perché la presenza di vincoli dovrebbe indebolire la selezione naturale, quando semplicemente pone dei paletti al potenziale creativo dell’evoluzione senza di fatto intaccare né la selezione naturale né tanto meno il suo ruolo.

Allo stesso modo non mi è chiaro perché secondo i due Autori la teoria dell’evoluzione non tenga conto dei diversi ambienti (interni ed esterni) su cui l’evoluzione si gioca. E’ assodato da tempo che esistano sia vincoli che ambienti esterni ed interni, così come è chiaro che ci saranno diverse stime del peso di queste realtà in base a semplici specializzazioni legate al fatto che il biologo molecolare tenderà a dare maggior rilievo ai vincoli interni (genetici, ontogenetici, etc..), mentre l’ecologo e lo zoologo a quelli esterni. Questo non significa tuttavia che un ecologo si aspetti che il genoma non influenzi l’evoluzione o che il biologo molecolare riduca a nulla l’importanza dei fattori ambientali. Al contrario questi due aspetti sono assolutamente compenetrati nella biologia evoluzionistica moderna e non in competizione come Fodor e Piattelli vogliono suggerire.

E’ inoltre curioso notare che laddove invece ci siano aspetti che sarebbe interessante discutere in una ottica critica, il testo sfugge. In questo il capitolo 3 è forse il più emblematico perché temi come l’eredità epigenetica ed il trasferimento orizzontale nei procarioti vengono trattati in modo sfuggente, mentre questi sono i principali argomenti che un libro scritto oggi dovrebbe affrontare. In molti capitoli emergono inoltre forzature dei dati riportati che spesso portano gli autori ad esasperare ciò che gli autori originali dicono. Un esempio palese è dato dal capitolo 2 (in particolare nella parte finale) in cui gli stessi autori, dopo aver abbondantemente parlato di network genici come esempio di debolezza del darwinismo, dicono: attenzione però, perché gli autori dei dati originali sostengono che i loro dati siano coerenti con il neodarwinismo e noi “Confessiamo di non capire”.

Altro aspetto in cui non concordo con Fodor e Piattelli Palmarini è legato al significato e confronto tra selezione naturale e artificiale. Gli Autori ad esempio affermano che “mediante selezione artificiale ripetuta possono emergere nuovi fenotipi che non hanno alcuna evidente relazione adattativa con quegli ambienti”. Ma perché la selezione artificiale dovrebbe portare a fenotipi adattativi? La selezione artificiale non punta ad aumentare la fitness degli individui, ma ad indurre la comparsa di fenotipi scelti dall’operatore che non necessariamente hanno valori funzionali, ma che rappresentano semplicemente la risposta (con tutti i vincoli che tali risposte possono avere) che ogni organismo da in presenza di ambienti artificiali. Il problema della corretta interpretazione della selezione artificiale deriva dal fatto di voler mostrare come la selezione artificiale, che Darwin a detta di Piattelli assimilava in tutto e per tutto a quella naturale, non ha valore adattativo e quindi se queste due forme di selezione sono analoghe allora anche la selezione naturale non può spiegare tutti i fenotipi che possiamo osservare. In realtà però selezione naturale ed artificiale sono assimilabili perché entrambe possono fare diffondere in una popolazione caratteri inizialmente presenti in pochi individui.

Un ultimo aspetto è legato alla totale dimenticanza del ruolo del caso nell’evoluzione ed alla successiva selezione di ciò che il caso produce. Gli autori fanno un esempio molto interessante nel capitolo 3 relativo alle ricombinasi RAG1 e 2 che derivano da una trasposasi. Questo viene portato come esempio di trasferimento orizzontale ad indicare che l’evoluzione procede in modo assolutamente non darwiniano. In realtà questo è un ottimo esempio di come l’evoluzione agisce utilizzando ciò che ha a disposizione per realizzare nuovi oggetti; anche questo aspetto è noto da Jacob in poi e tanti sono gli esempi di come l’evoluzione abbia “riciclato” ciò che aveva a disposizione. Certo Darwin non sapeva dell’esistenza degli elementi genetici mobili, ma questo semplicemente allarga ed arricchisce la teoria.

Nel complesso il libro, pur nascendo con l’idea di presentare una critica alla teoria dell’evoluzione che serva per dare nuova forza alla biologia evoluzionistica piuttosto che all’ID, rimane un testo piuttosto sterile in cui concetti confusi e forzati si alternano a critiche giuste, ma superate in alcuni casi addirittura da decenni. Jerry Coyne commentava l’idea della Sintesi Estesa dicendo che “Non appena un biologo evoluzionista trova un nuovo fenomeno, mettiamo ad esempio i trasposoni o l’epigenetica o la modularità, immediatamente questo fenomeno diviene un elemento che dovrebbe indicare che la sintesi moderna è matura per una rivoluzione, ma quando si verifica la reale necessità di modificarla, non si trova nulla”. Nel caso del libro di Fodor e Piattelli vi è lo stesso problema ovvero i due Autori si pongono come coloro che faranno chiarezza e tolgono la “fuffa” dalla biologia evoluzionistica senza rendersi conto che gran parte del loro lavoro di critica è superfluo in quanto superato. Piattelli Palmarini e Fodor ci spiegano che l’evoluzione è un processo variegato e complesso, di questo siamo loro grati, ma lo sapevamo già e forse è per questo che l’evoluzione ci piace ogni giorno sempre di più.

Infine, seppure giustificata nella parte finale del libro, gli autori non si rendono conto del fatto che non è affatto chiaro il target della critica che si alterna tra Darwin, la sintesi moderna ed i neodarwinisti. E’ chiaro che Darwin è noto, mentre molti biologi evoluzionisti moderni non lo sono e quindi è meglio, per vendere copie (!), intitolare il libro “gli errori di Darwin” piuttosto che “gli errori dei neodarwinisti”, ma gli stessi autori fanno confusione tanto che in alcuni capitoli si renderebbe necessario un cambiamento di titolo in “ciò che Darwin non conosceva” piuttosto che ciò in cui Darwin aveva sbagliato, mentre in altri è il tiolo giusto sarebbe “gli errori della sintesi moderna, dei neodarwinisti e di tutti i biologi evoluzionisti che ancora danno credito alla selezione naturale. Un amico mi chiedeva che differenza ci sia tra Piattelli Palmarini e Pigliucci dato che entrambi invocano un superamento della sintesi moderna. Entrambi ritengono che la sintesi moderna non sia attuale, ma debba essere allargata sino a comprendere numerosi concetti emersi negli ultimi anni, ma mentre Pigliucci vede in questi elementi un’occasione per costruire qualche cosa di nuovo, Piattelli vuole demolire quello che c’era prima come se tutto fosse superato, ma la biologia evoluzionistica moderna si basa e fonda sulla sintesi moderna e questa a sua volta sul lavoro e sulla teoria di Darwin. E’ un po’ come se arrivati a costruire il quinto piano di un palazzo parlassimo delle fondamenta come strutture ormai superate ed inutili. Questa non è una differenza di poco conto perché Pigliucci vede nella selezione naturale uno dei meccanismi chiave dell’evoluzione cui si affiancano altri meccanismi sconosciuti sino a pochi anni fa, mentre nel libro di Piattelli Palmarini sembra che la selezione naturale sia un concetto totalmente superato e rappresenti un meccanismo raro ed occasionale.

Il libro di Fodor e Piattelli Palmarini, come scritto su il Foglio, riporterebbe le conclusioni di “duecentoquaranta lavori pubblicati sulle più importanti riviste di biologia del mondo in cui vi sono riportati dati, fatti, meccanismi alieni dalla selezione naturale.” Anche ammesso (cosa per altro non vera) che tutti i 240 lavori citati indeboliscano la teoria dell’evoluzione, secondo una indagine della rivista Lab Times nel periodo 1996-2006 sono stati pubblicati tra Europa, USA, Canada, Australia, Giappone e Cina oltre 50.000 (!) articoli di biologia evoluzionistica ovvero meno dello 0,5% degli articoli pubblicati riporterebbe dubbi sullo stato attuale della teoria dell’evoluzione. Sono questi i numeri di una teoria in crisi? Come scriveva Telmo Pievani: è fondato trarre da questa scarna miscellanea di evidenze eterogenee la conclusione che il neodarwinismo sarebbe fatalmente malato? Non mi pare. Tra l’altro, non è vero che tutti e duecentoquaranta gli articoli indeboliscono la teoria dell’evoluzione dato alcuni sono solamente di introduzione generale (tipo articoli che indicano che esistono geni regolatori che influenzano lo sviluppo di molti organi diversi tra cui la corteccia cerebrale non sono certo contro l’evoluzione), mentre per altri le conclusioni di Fodor e Piattelli Palmarini sono opposte a quelle degli autori dei lavori che i due illuminati citano, tanto che si chiedono come mai gli autori di alcuni degli articoli da loro citati siano convinti che il loro lavoro sia coerente con la teoria dell’evoluzione e loro non ne capiscono il perché. Lo 0,5% è quindi da rivedere enormemente al ribasso. L’attuale governo sentirebbe, ad esempio, la necessità di dimettersi avendo meno dello 0,5% di oppositori?

Se Fodor e Piattelli Palmarini fossero veramente biologi evoluzionisti (come vengono talvolta presentati) si sarebbero già accorti che la teoria dell’evoluzione non statica o stantia, ma rappresenta oggi più che mai una teoria solida e vitale che, grazie al contributo di nuove discipline quali la genomica e la biologia molecolare dello sviluppo, è in grado di spiegare i meccanismi alla base dell’evoluzione dei viventi come mai era stato possibile prima. In particolare, la teoria dell’evoluzione si è arricchita di nuovi dati e modelli che hanno permesso di consolidarne le fondamenta gettate da Darwin ne “L’origine delle specie” senza tuttavia metterne mai in dubbio gli elementi chiave: la discendenza con modificazione e l’importanza della selezione naturale e dell’adattamento. Continuità con il nucleo storico proposto da Darwin non significa tuttavia immobilità: la teoria dell’evoluzione costituisce un paradigma non ancora falsificato ovvero una cornice esplicativa accettata entro cui sono state incorporate nel corso del tempo nuove asserzioni che l’hanno supportata senza minimamente metterne in dubbio la posizione come paradigma dominante per spiegare l’evoluzione dei viventi.

Usando una metafora, è curioso notare che Fodor e Piattelli Palmarini si presentano come fossero cronisti che analizzano i possibili errori arbitrali in partite dell’INTER del campionato 2005-2006, senza accorgersi che nel frattempo l’INTER FC ha già vinto i quattro scudetti successivi ed anche l’attuale campionato volge ormai alla fine.

Mauro Mandrioli