Le mille “intelligenze” della natura

La descrizione dell’edizione 2016 della Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia, organizzata da Marco Celentano all’Università di Cassino

Esiste una piccola università nel Lazio, a Cassino, dove da ormai nove anni grazie al meritorio lavoro del Professor Marco Celentano, docente di Etica e Filosofia morale, si sta cercando di proporre qualcosa di nuovo e di essenziale: un radicale rinnovamento dei sistemi e dei criteri di formazione universitaria e post-universitaria. In particolare ciò a cui Marco Celentano mira con la sua Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia è tentare di superare la radicata divisione fra cultura umanistica e scientifica; si tratta certo di un obiettivo molto ambizioso, ma altrettanto necessario, in quanto le più recenti ricerche negli ambiti più svariati stanno mettendo sempre più in evidenza la natura complessa ed ibrida degli oggetti studiati. Non pare più eludibile, quindi, un esame in un certo senso kantiano sui limiti e sui presupposti impliciti del nostro attuale sapere.

La strategia per tendere a questo difficile obiettivo è quella di “creare” un laboratorio in cui si confrontino autenticamente studiosi di diverse discipline, nella convinzione che solo le ibridazioni di saperi siano realmente fruttuose.

La scuola però non cerca solo di far dialogare fra loro diverse discipline e campi di ricerca, ma si pone soprattutto una finalità “etica”: la conoscenza degli enti e delle comunità naturali è intimamente ed indissolubilmente intrecciata con un impegno ecologico, volto alla salvaguardia degli stessi. L’obiettivo che la Scuola di Alta Formazione si pone quindi è quello di cercare di conoscere meglio la natura al fine di contribuire a porre le premesse per tentare di salvarla. Se il modello di sviluppo economico neoliberista mira quasi esclusivamente alla predazione ed allo sfruttamento illimitato, il modello cognitivo ed etico che la scuola umilmente ma convintamente propone è quello della conservazione e della tutela. Si tratta quindi di un tentativo di dare una risposta alla crisi di un modello economico e soprattutto culturale, partendo da una prospettiva ecologica, all’interno della quale il genere umano non debba più essere considerato come incommensurabilmente diverso e nettamente separato dagli altri esseri viventi.

E’ proprio in questa direzione che il corso di quest’anno, dal titolo INTELLIGENZE “INVISIBILI”. Forme non antropomorfe della “cognizione” fuori e dentro di noi, si è mosso.

Evidentemente, ogni volta che si parla di intelligenza si deve sempre cercare di definire cosa si intende, a quali soggetti la si attribuisce, come la si può individuare e riconoscere. Un buon punto di partenza può essere la voce “intelligenza” del dizionario “Psiche” dove fra l’altro si legge che l’intelligenza può essere intesa, sia come la capacità di risolvere problemi pratici, sia come attitudine ad “adattarsi alle esigenze poste dall’ambiente.”[1]
Uno dei più grandi scienziati del XX secolo, Konrad Lorenz, nel 1973 scrisse un libro, L’altra faccia dello specchio, in cui sostenne che tutto lo sviluppo evolutivo potrebbe essere concepito come un lento processo di acquisizione di un particolare “sapere” sull’ambiente che si manifesterebbe nell’adattamento. Insomma, in un senso analogico: c’è una specie di “intelligenza” inconsapevole negli organismi naturali che permette loro di rispondere in modo efficace alle sfide che l’ambiente pone. Queste risposte possono essere lette come risposte “intelligenti”.

E’ partendo da un assunto come questo che Marco Celentano ha introdotto il corso, che si è svolto dall’8 al 10 novembre a Cassino, ed ha visto partecipare genetisti come Marco Bazzicalupo (docente di genetica presso l’Università di Firenze) e Paolo Bazzicalupo (ricercatore in genetica presso il CRN di Napoli), ecologi come Rodolfo Gentili (ricercatore presso l’Università di Milano Bicocca), filosofi come Stefano Gensini (docente di filosofia del linguaggio presso l’Università della Sapienza a Roma), neurologi come Sonia Canterini (ricercatrice presso la facoltà di Psicologia dell’Università della Sapienza di Roma), entomologi come Bruno Massa (docente di entomologia presso la facoltà di Agraria di Palermo).

Il primo intervento, quello di Marco Bazzicalupo, si è concentrato sui sistemi di comunicazione fra i batteri. Secondo studi condotti dal professor Gurol Suel, dell’Università di San Diego, i batteri “socializzano” grazie alla presenza di canali ionici simili a quelli che mettono in rete i neuroni. Insomma si sta scoprendo che i batteri interagiscono in modo molto più complesso di quanto si era abituati a pensare e manifestano comportamenti che presuppongono la capacità di percezione e riconoscimento dei segnali chimici, di “memoria”, di anticipazione, di integrazione e comunicazione. Se pensiamo al fatto che il nostro corpo ospita 1013 batteri che appartengono a circa 1000 specie diverse e che sono fondamentali come barriere nei confronti dei patogeni, possiamo comprendere l’importanza essenziale di tali studi.

Nel secondo intervento, il professor Paolo Bazzicalupo, genetista a sua volta, ha fatto luce sul mondo dei nematodi (vermi tondi non segmentati). La specie più studiata fra le 20.000 a noi note è il Caenorhabditis elegans, un vermetto non parassita di circa 1 mm. La loro modalità comunicativa è prevalentemente chimica. Anche i nematodi, come i batteri, sono in grado di apprendere e comunicare fra loro in modi sorprendenti. Il loro “vocabolario” è costituito da 140 tipi (per il C. elegans) di ascarosidi, dei feromoni modulari che ne determinano lo sviluppo, il metabolismo ed il comportamento. Val la pena dire che il C. elegans ha solo 50 (su 302) neuroni sensoriali e con questi è in grado di rispondere ad un numero enorme di messaggi chimici: in fondo è come se sapesse riconoscere migliaia di “frasi” chimiche in un numero enorme di contesti partendo solo da 140 elementi basi (gli ascorosidi) e usando solo 50 neuroni sensoriali. Per essere solo un vermetto, non pare certo privo di “intelligenza”…

Rodolfo Gentili, ecologo, ha spostato l’attenzione sul mondo delle piante, mettendone in evidenza la socialità e la socializzazione. E’ stato a partire dagli anni Venti del secolo scorso che negli Stati Uniti i botanici, fra cui il professor Harper, hanno iniziato a parlare di fitosociologia, una branca della botanica che si concentra sulle interrelazioni tra specie differenti, ossia sulle modalità in cui le specie si associano, interagiscono e si influenzano tra loro nel tempo, in un determinato habitat. Anche fra le piante esistono fenomeni di interazione, cooperazione e competizione che pervadono tutti i livelli di organizzazione del mondo vegetale ed in particolare quello delle comunità vegetali. E’ noto poi come, negli ultimi anni, riprendendo alcune idee seminali di Darwin, alcuni studi, in particolare quelli del professor Stafano Mancuso, abbiano messo in evidenza l’esistenza di una “intelligenza-sciame” (swarm intelligence) nelle piante.

Bruno Massa, entomologo, ha messo al centro del suo intervento la comunicazione acustica negli insetti, in particolare negli ortotteri (l’ordine a cui appartengono le cavallette, le locuste ed i grilli). L’aspetto sonoro è decisivo anche per la classificazione: alcune specie di cicale sono state descritte ed individuate solo in base al loro canto. La stridulazione svolge alcune funzioni di base: può servire come mezzo di difesa (in alcuni coleotteri e nelle api) o come richiamo sessuale. Dei 380 taxa di ortotteri esistenti in Italia, 322 emettono suoni e di questi ci sono noti circa il 70%. E’ recentissima poi la scoperta di un genere, il Supersonus, le cui specie sono capaci di emettere ultrasuoni alla più alta frequenza mai registrata nel mondo animale, con emissioni che arrivano fino a 150 Khz.

Sonia Canterini, neurofisiologa, si è soffermata su una questione decisiva: l’evoluzione del cervello. L’aspetto davvero sorprendente della relazione della Canterini è stato l’aver messo in evidenza che l’evoluzione del cervello è iniziata con i batteri. Questi primi organismi unicellulari, pur non possedendo ovviamente neuroni, hanno sviluppato “canali ionici”, che gli hanno permesso di comunicare tra loro attraverso meccanismi di segnalazione elettrica, simili a quelli presenti nei neuroni del cervello animale e umano e questo aspetto era già emerso nel primo intervento di Marco Bazzicalupo. I geni che forniscono le istruzioni per la costruzione dei canali ionici, infatti, sono presenti sia nei batteri sia negli esseri umani, e ciò suggerisce che la capacità di percepire e interagire si è evoluta da organismi molto semplici, per poi consolidarsi a livello dei neuroni specializzati che oggi ritroviamo negli animali e nell’uomo.

Infine Stefano Gensini, filosofo del linguaggio, ha centrato il suo intervento in gran parte sulla confutazione delle tesi di Donald Davidson (1917-2003), eminente filosofo analitico statunitense secondo il quale non si potrebbe parlare di intelligenza animale in quanto gli animali non potrebbero disporre di atteggiamenti proposizionali (credenze, intenzioni, etc) perché privi di un linguaggio verbale. Gensini ha dimostrato come questa posizione antropocentrica e fortemente cartesiana non sia oggi sostenibile alla luce degli studi più recenti: nel campo della scienza cognitiva, infatti, le ricerche hanno rilevato comportamenti ‘intelligenti’ nei primati superiori non umani e in altre specie animali; inoltre la ricerca transdisciplinare sulle origini del linguaggio verbale ha messo in luce che esso si è verosimilmente formato (e tuttora opera) in un contesto multimodale – semiotico – che mette in crisi, sul piano sia filogenetico che ontogenetico, l’equivalenza pensiero/linguaggio.

In conclusione, il convegno è stato davvero un’occasione preziosa e rara di serio, attento ed intenso dialogo interdisciplinare. Tutti i relatori hanno cercato di portare il loro contributo per illuminare una questione davvero nodale, anche se spesso trascurata per motivi, se così si può dire, di etnocentrismo disciplinare, quella delle diverse forme di “intelligenza” presenti in natura. Purtroppo, nelle Università italiane tali occasioni sono davvero degli “eventi”, mentre sarebbe altamente auspicabile diventassero prassi corrente. A volte viene davvero da chiedersi se l’Università come istituzione sia davvero, in senso evoluzionistico, “intelligente”…

Massimo Debernardi

[1] Tabossi, P, Intelligenza, in Psiche, Einaudi, Torino 2006, pag. 545