Le origini e le migrazioni dei nativi americani

Due nuove ricerche tracciano la storia delle migrazioni dei popoli amerindi per oltre 10 mila anni, dal loro primo approdo nel continente

Un primo risultato, simbolico, di due recenti ricerche pubblicate su Cell e Science, è il riconoscimento ottenuto dai nativi americani, in particolare gli appartenenti alla tribù di Fallon Paiute-Shoshone, come discendenti diretti dei primi uomini che abitarono il continente americano. Scientificamente, invece, questi lavori tracciano un quadro migratorio tutto interno al continente americano. Secondo il nuovo modello, sarebbe stata una sola popolazione asiatica ancestrale e oltrepassare lo stretto di Bering  tra i 20 e i 17 mila anni fa, per dare poi origine a tutti gli odierni lignaggi di nativi amerindi. La presenza, però, di un’enigmatica traccia di DNA australasiatico in un individuo lascia aperti diversi interrogativi.

I due lavori, sia che vengano considerati singolarmente e ancora di più se analizzati assieme, costituiscono un’opera mastodontica, tra le più complete che si siano mai realizzate sulla genetica delle popolazioni amerinde. I 64 campioni analizzati coprono oltre 10 mila anni e provengono da praticamente l’intero arco americano, dall’Alaska alla Patagonia, permettendo di ricostruire la storia del continente fin dalle origini più antiche dei suoi popoli.

I primi uomini avrebbero attraversato la Beringia intorno ai 25 mila anni fa, le prime esplorazioni oltre la coltre di ghiacci sarebbero databili tra i 14 e i 17 mila anni addietro. Sostengono Viktor Mayar, del museo di storia naturale di Copenaghen, e colleghi (di 38 centri di ricerca differenti) su Science, che sono giunti a queste conclusioni dopo aver analizzato il DNA dei resti di 15 persone risalenti a un periodo compreso tra 11 mila e 500 anni fa, provenienti da Alaska, Canada, Brasile, Cile e Argentina, tra cui anche un uomo di 10.700 anni fa proveniente dalla Spirit Cave, nel Nevada, USA, identificato come diretto antenato della tribù nativa di Fallon Paiute-Shoshone, che ha quindi potuto riseppellire le spoglie dell’antichissimo antenato.

I nativi americani sembrano dunque essere diretti discendenti dei primi umani ad aver attraversato il continente americano. Questi, sempre secondo i risultati pubblicati su Science, una volta oltrepassata la Beringia si sarebbero dispersi e avrebbero dato origine a due lignaggi differenti, uno, che ha dato origine ai popolamenti settentrionali, e un altro, antenato dei popolamenti del centro e sud America.

I primi umani impiegarono almeno 2 mila anni per raggiungere la Patagonia. A questa migrazione ne seguirono però delle successive, che in alcuni casi portarono alla sostituzione delle popolazioni presenti. Infatti, stando ai dati pubblicati su Cell, avvennero tre grosse ondate migratorie, circa 15, 9 e 4 mila anni fa. In questo caso i ricercatori hanno analizzato i resti di 49 individui risalenti a un periodo compreso tra 11.500 e 700 anni fa, la cui origine va dall’Alaska all’Argentina.

Il genoma mostra chiare affinità con popolazioni asiatiche, similmente ai risultati del primo studio. Inoltre, si nota una spiccata similitudine tra i resti di 12 mila anni fa di un bambino del Montana, USA, riconosciuto come appartenente alla cultura Clovis (Pikaia ne ha parlato qui e qui), e alcuni ritrovati nella grotta di Lagoa Santa in Brasile e Anzick in Cile, di datazione compresa tra i 9 mila e gli 11 mila anni fa. Una convergenza genetica così stretta, per resti così distanti geograficamente ma vicini temporalmente, suggerisce che ci siano stati movimenti tanto veloci lungo i continenti da impedire alle popolazioni di sviluppare delle marcature genetiche proprie. Le tracce genetiche della cultura Clovis resistono fino a 9 mila anni fa. I resti successivi a questa epoca non mostrano più alcun segno di questa cultura, sembrano invece legati ad altre popolazioni centroamericane, lasciando supporre un’ondata migratoria che sostituì integralmente le popolazioni residenti. Da questo punto in avanti sembra esserci una relativa continuità genetica, interrotta soltanto da due eventi migratori distinti ma con origine comune centroamericana. La stessa popolazione, messicana, si diresse prima verso il sud America, intorno ai 4 mila anni fa, e successivamente verso il nord 3 mila anni più tardi. In questi casi però non si verificò alcuna sostituzione ma soltanto un rimescolamento con le popolazioni locali.

Da questi dati emerge quindi un quadro segnato da molte migrazioni, ma tutte interne alle Americhe e legate a popolazioni ancestrali asiatiche. I popoli australasiatici non avrebbero quindi colonizzato il continente, come supposto dalle prime analisi su basi morfologiche (Pikaia ne ha parlato qui). Un dubbio, però, resta. Il Dna di un singolo individuo da Lagoa Santa in Brasile mostra tracce evidentemente compatibili con le popolazioni australasiatiche. Come sia arrivato fin li, e perché sia riportato da un solo individuo resta un mistero anche per gli autori.

Riferimenti

Posth et al. 2018. Reconstructing the Deep Population History of Central and South America. Cell. 175, 5: 1185-1197

Moreno-Mayar et al. 2018. Early human dispersals within the Americas. Science. eaav2621.

Immagine: Indios Torobos di Coahuila, Messico. Foto di dominio pubblico. Via Wikimedia Commons