L’era dei grandi coyote

I coyote (Canis latrans) non sono sempre stati piccoli e agili canidi oppurtinisti, ma hanno avuto un passato, anche piuttosto recente, in cui le loro dimensioni erano decisamente maggiori. Questo quanto emerge da uno studio pubblicato recentemente su PNAS. Due ricercatori statunitensi hanno raccolto nei musei di tutto il mondo una serie di fossili di questa specie risalenti agli ultimi

I coyote (Canis latrans) non sono sempre stati piccoli e agili canidi oppurtinisti, ma hanno avuto un passato, anche piuttosto recente, in cui le loro dimensioni erano decisamente maggiori. Questo quanto emerge da uno studio pubblicato recentemente su PNAS.

Due ricercatori statunitensi hanno raccolto nei musei di tutto il mondo una serie di fossili di questa specie risalenti agli ultimi 38.000 anni. Grazie a questa imponente collezione temporale, gli studiosi hanno stabilito che in passato le dimensioni medie di questi carnivori erano decisamente superiori alle attuali (15-25 kg contro 10-18 kg). L’aspetto più interessante dello studio, però, consiste nell’estrema rapidità con cui i coyote hanno raggiunto la taglia attuale: sembra infatti che questo processo di riduzione corporea si concentrò in poco più di 1.000 anni, tra 11.500 e 10.000 anni or sono.

Una volta dimostrata questa tendenza, i ricercatori hanno cercato di comprenderne le cause, puntando il dito su tre differenti possibili ipotesi. La prima, quella climatica, è basata sulla legge di Bermann: la taglia corporea degli organismi si riduce all’aumentare della temperatura. Sarebbe stato l’aumento delle temperature del continente a determinare la variazione delle dimensioni corporee. La seconda, quella antropogenica, chiama in causa la caccia spietata da parte dell’uomo, che si sarebbe concentrata sugli individui di taglia maggiore, lasciando nella popolazione una maggiore percentuale di individui piccoli. La terza, l’ipotesi ecologica, sostiene invece che fu la modificazione della comunità sia delle prede che dei competitori dei coyote ad influenzare maggiormente la riduzione di taglia.

I dati smentiscono facilmente l’ipotesi climatica, in quanto la dimensione corporea media delle popolazioni di coyote sembra non rispondere, nel corso dell’intero periodo studiato, alle variazioni di temperatura media ambientale.

Quanto all’ipotesi antropogenica, non ci sono sufficienti evidenze paleoarcheologiche per poterla smentire del tutto, anche se, qualora vi fosse una predazione da parte dell’uomo, questa non arrivò a diventare una pressione selettiva tanto forte da determinare una variazione così cospicua a livello di popolazione.

Più probabile, secondo i ricercatori, è invece la spiegazione ecologica: intorno a 12.000 anni fa, infatti, si verificò l’estinzione di numerose specie di grandi erbivori nordamericani, quali bradipi, bisonti, lama e molti altri, che ridussero le fonti di cibo per i coyote. Nei casi di carenza alimentare, gli individui più piccoli sarebbero stati avvantaggiati in quanto necessitavano di meno cibo per sopravvivere. Inoltre, in questo periodo si estinse anche un importante competitore del coyote, il Canis duris, un lupo di grosse dimensioni: in presenza di questo altro predatore erano probabilmente favoriti gli individui di taglia maggiore. Venuta meno questa pressione selettiva, la selezione sulle dimensioni corporee si ridusse e, combinata con la carenza di prede, determinò il pattern osservato.

Grazie all’imponente mole di dati a disposizione degli studiosi, è ora possibile comprendere in che modo i fattori biotici influiscono sulle popolazioni naturali non solo delle specie odierne ma anche di quelle vissute nel passato, sia estinte che ancora esistenti.

Andrea Romano

Riferimenti:
J. A. Meachen, J. X. Samuels. Evolution in coyotes (Canis latrans) in response to the megafaunal extinctions. Proceedings of the National Academy of Sciences, 2012; DOI: 10.1073/pnas.1113788109