Linneo

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Carlo Linneo (Carl von Linné) (1707-1788)

Systema naturae per tria regna naturae… X Edizione. Uppsala, 1757

dall’Introduzione

Vidi DIO sempiterno, onnisciente e onnipotente che passava di spalle e stupii! Raccolsi alcune sue tracce nelle cose create: Quale forza! Quale Sapienza! Quale ineffabile Perfezione in ogni cosa, anche nelle più piccole! Osservai come gli Animali siano dipendenti dai Vegetali, i Vegetali dalla Terra, le cose terrestri dalla Terra; come la Terra, con un ordine immutabile ruoti attorno al Sole dal quale riceve la vita; come il sole giri sul suo asse con gli altri astri, e come il sistema delle stelle, del quale difficilmente si può definire lo spazio e il numero, con il moto sospeso nel nulla, sia mantenuto da un immenso Movente primo, ESSERE degli ESSERI, Causa delle cause, Custode e reggitore dell’universo, signore ed Artefice di questa opera del mondo. Se vuoi chiamarlo DESTINO non sbagli: è ciò da cui tutto è sospeso. Se vuoi chiamarla NATURA non sbagli: è ciò da cui tutto è nato. Se vuoi chiamarla PROVVIDENZA, dici giusto: è con la sua sapienza che il mondo opera i suoi atti.

[…]

La SAPIENZA, particella dello spirito divino, è il maggiore attributo dell’Uomo Sapiente. Il primo livello della Sapienza è la conoscenza delle cose. Il sapere è la vera idea degli oggetti attraverso la quale si distinguono le cose simili dalle dissimili attraverso caratteri tipici, inscritti dal Creatore nelle singole cose; per comunicare questo sapere agli altri è bene imporre dei nomi propri che non creino confusione; se infatti si perdono i Nomi, si perde la cognizione delle cose. Queste saranno le lettere e gli elementi senza i quali nessuno potrà leggere nella natura;…

[…]

I NOMI rispondano al metodo della sistematica, e siano dunque:

Classi, Ordini, Generi, Specie, Varietà. Ora è bene che chi vuole conoscere sappia i nomi, definiti da differenze; è ovvio che, confusi i nomi, si confonda tutto. Quindi, era compito dei primi uomini dell’età dell’oro imporre i nomi.

La Scienza della Natura dipende dal Metodo della Conoscenza di essa e dalla Nomenclatura Sistematica, che è come un filo di Arianna con la sola guida del quale è possibile attraversare con sicurezza i meandri della Natura.

[…]

Allo stesso modo con cui i Popoli non nascono per i governanti, ma i governanti esistono per conservare l’ordine tra i sudditi, così gli Animali Erbivori esistono solo perché vi sono i Vegetali, i Carnivori per gli erbivori, e fra questi i più Grandi per i più piccoli, l ’Uomo (un animale nell’economia della natura) per i più grandi e per tutti, ma su se stesso in particolare, esigendo un prezzo crudele, esercita tirannia, perché resti immutabile lo Splendore dello Stato della natura. A loro volta i singoli cittadini collaborano alla maestà dell’Uomo razionale che li governa, che deve riconoscere l’autore sommo dello Stato.

Lo STATO della natura, così come l’Acqua passa dalle Sorgenti a Ruscelli, ai fiumi ed al Mare, così dal moltissima Plebe passa ad un minor numero di Nobili, a pochissimi magnati, fino al Sovrano, mentre gli animali molto piccoli, potenzialmente infiniti per numero e vigore servono ai più grandi, più inerti e più forti…

[…]

La suddivisione Naturale degli Animali è indicata dalle strutture interne

CUORE con due ventricoli e due atrii sangue caldo e rosso

vivipari Mammiferi

ovipari Uccelli

CUORE con un ventricolo e un atrio sangue freddo, rosso polmoni facoltativi Anfibi

branchie esterne pesci

CUORE con un ventricolo senza atrio sangue freddo, rosso antennati Insetti

tentacolati Vermi

 

Da:  I fondamenti della Botanica. Theoria, 1985

sappiamo bene che la Botanica (Storia Naturale) è
ampia come mole
gradita per varietà
spesso curiosa per diligenza
Ma se da questa si tolgono le favole
le citazioni degli Autori
le inani Controversie
infine la Filologia,
e gli Ornamenti più adatti
alle conversazioni Conviviali
e alle notti degli Uomini Dotti
che a fondare una Filosofia,
la cosa si riduce a nulla,
molto si allontana da quella scienza
che abbiamo in mente

167 Ogni nota caratteristica (189) deve essere ricavata dal Numero, dalla Forma, dalla Proporzione e dalla Posizione di tutte le varie (98-104) parti della Fruttificazione (86).
Essa fornisce il metodo con cui deve essere elaborato ogni carattere generico.
Il Numero non supera le 24 lettere dell’alfabeto.
Le parti della Fruttificazione siano 7
quelle del Calice 7
quelle della Corolla 2
quelle degli Stami 3
quelle del Pistillo 3
quelle del Pericarpo 8
quelle del Seme 4
quelle del Ricettacolo 4
Totale 38
per ogni parte
Numero
Forma Posizione
Proporzione
4

dunque quattro volte trentotto: 152, che moltiplicato per le suddette 38 parti della fruttificazione dà 5776, e dunque la fruttificazione basta al minimo per 5776 generi, che non potrebbero mai esistere.
Finalmente pertanto vengono assunti l’aspetto (163), il colore, la grandezza, i cotiledoni, e altri caratteri, eccetto quelli dati. […]

156 Il filo di Arianna della Botanica è il Sistema (155), senza il quale negli oggetti della Botanica regnerebbe il Caos.
Sia data, ad esempio, una pianta indiana sconosciuta: si dilunghi il Botanofilo in descrizioni, figure e ogni sorta di cataloghi: neanche il nome riuscirà a trovare, se non per caso; ma il Sistematico determinerà subito il genere, sia vecchio che nuovo.
In ogni tempo verranno onorati quei Sistematici che hanno questo filo, giacchè privi di esso tutti entrerebbero brancolando nei Meandri della Botanica

157 Contiamo tante SPECIE (155) quante le diverse forma create in principio.

Class. Plant., 5: le specie sono tante quante le diverse forme create all’inizio dall’Ente Infinito; le quali forme, secondo le leggi della riproduzione al loro imposte, si moltiplicarono, ma rimanendo sempre simili a se stesse….

162 La Specie (157) e il Genere (159) sono sempre opera della NATURA; la Varietà (158) è spesso opera della Coltivazione; la Classe (160) e l’Ordine (161) della NATURA e della SCIENZA.

Le Specie sono assolutamente costanti, dato che la loro generazione è una vera continuazione.

Che i Generi siano naturali lo provano irrefutabilmente moltissime piante […]

Che le Varietà siano opera della coltivazione lo dimostra l’Orticoltura, che spesso le produce e le riduce.

 

Da: Amoenitates academicae seu dissertationes variae physicae medicae botanicae ante hac seorsim editae. Holmiae et Lipsiae, apud G. Kiesewetter, 1749.

Da: La Peloria

La causa precisa di questa trasformazione di Linaria in Peloria ci sfugge ancora. Un fenomeno simile si produce nel regno animale, ed è attribuibile all’incrocio contro nature tra due specie, da cui nasce un animale in qualche modo intermedio… il mulo e qualche altro ne sono degli esempi. Questi ibridi, però, non si propagano, poiché la natura impedisce che vi siano più quadrupedi di quanti ve ne fossero all’inizio del mondo… Nel regno vegetale diverse specie sono state prodotte da ibridi. Questo è un fatto, anche se l’esperienza non ha trovato alcun resto dei tempi passati. Non possiamo rappresentarci che così l’origine di Peloria… da quale altra pianta tuttavia è stata fecondata Linaria per produrre Peloria? Ammettiamo che questo dato ci sfugge: su questo potrà solo pronunciarsi chi osservi la fioritura delle piante nello stesso luogo e periodo di Linaria… La nascita di nuove specie e soprattutto generi nel regno vegetale per incrocio di specie differenti appare a prima vista come un paradosso: tuttavia le osservazioni non ci dissuadono da questa idea.

Da: Systema Naturae per regna tria naturae… XIII ed., a cura di J.F.Gmelin. Lipsia, G.E.Bauer, 1791

Problema: supponiamo che Dio onnisciente ed onnipotente abbia creato all’inizio una progressione dal semplice al complesso, da qualche individuo a molti, a partire dal primo principio vegetale, tante piante diverse quanti sono gli ordini naturali. Che egli stesso abbia poi incrociato le piante in modo tale che si producessero tante piante quanti sono gli attuali generi. La natura, in seguito, avrebbe incrociato tra loro tali piante generiche con generazioni ibride e le avrebbe moltiplicate nelle specie oggi esistenti…

Da: Amoenitates academicae seu dissertationes variae physicae medicae botanicae ante hac seorsim editae. Holmiae et Lipsiae, apud G. Kiesewetter, 1749.

Oeconomia Naturae – Cap. XIX Trad it.: L’equilibrio della natura, Feltrinelli, 1972

Tutta la terra sarebbe carica di CADAVERI e di corpi maleodoranti se alcuni animali non gradissero anche questi come cibo.

Pertanto quando un animale muore, gli Orsi, i Lupi, le Volpi, i Corvi, ecc… in pochissimo tempo portano via tutto. Se per esempio un cavallo muore vicino ad una strada pubblica, dove le Fiere non osano avvicinarsi, dopo alcuni giorni lo si troverà tumido, alterato ed infine pieno di innumerevoli larve di Mosche che presto lo consumano e lo disperdono tutto, affinchè non rechi molestia ai passanti col suo fetore velenoso.

[…]

Poiché gli escrementi dei Cani sono disgustosi e settici al punto che nessun Insetto li tocca e non possono perciò venire così dispersi, si è fatto in modo che i cani il più delle volte liberassero l’alvo su una pietra, un tronco o un altro posto elevato, per cui i vegetali non ne vengano distrutti.

I Gatti seppelliscono i loro escrementi nel terreno. Non vi è infatti nulla di così umile o così piccolo in cui non risplendano l’ammirevole ordine e la saggia disposizione della natura.

Da: Amoenitates academicae seu dissertationes variae physicae medicae botanicae ante hac seorsim editae. Holmiae et Lipsiae, apud G. Kiesewetter, 1749.

Anthropomorpha

Tra tutte le cose create non c’è alcun dubbio che non c’è niente di più vicino all’uomo che le grandi razze di scimmie: le loro facce, le mani, i piedi, le braccia e le gambe,il petto e i visceri sono molto simili ai nostri, anche i loro innumerevoli scherzi, il comportamento talvolta pazzo o divertito, l’imitare ogni cosa che vedono -il seguire una moda- rassomiglia a noi tanto che è ben difficile stabilire una linea di divisione […] Molte persone potrebbero credere che c’è una maggiore differenza tra uomini e scimmie che tra il giorno e la notte; ma se uno confronta un primo Ministro, molto raffinato, di una nazione europea con un ottentotto del capo di buona Speranza, sarebbe difficile pensare che posseggano comuni antenati, oppure se uno paragona un elegante dama di corte con un solitario selvaggio, con difficoltà si potrebbe immaginare che appartengano alla stessa specie

Da: Le parole e le cose di M. Foucault. Rizzoli, Milano, 1967, pp. 145-147:

Fino all’Aldrovandi la Storia era il tessuto inestricabile, e del tutto unitario, di ciò che delle cose è veduto e di tutti i segni che in esse sono stati scoperti o su di esse deposti: fare la storia di una pianta o di un animale, era allo stesso titolo dire quali ne sono gli elementi e gli organi, quali somiglianze possono venire ad essi attribuite, le virtù di cui li si dota, le leggende e le storie cui sono stati mescolati, i blasoni in cui figurano, i farmaci che vengono fabbricati con la loro sostanza, gli alimenti che forniscono, ciò che gli antichi ne riferiscono, ciò che possono dirne i viaggiatori. La storia d’un essere vivente, era quell’essere stesso all’interno di tutto il reticolo semantico che lo collegava al mondo. La divisione, per noi evidente, tra ciò che vediamo, ciò che gli altri hanno osservato e trasmesso e ciò che altri ancora infine immaginano o credono ingenuamente, insomma la grande tripartizione, tanto semplice in apparenza e così immediata, dell’Osservazione, del Documento e della Favola, non esisteva. E non perché la scienza esitasse tra una vocazione razionale e tutto un peso di tradizione ingenua, ma per una ragione assai più precisa e vincolante: e cioè che i segni facevano parte delle cose, mentre nel XVII secolo divengono modi della rappresentazione. Quando Jonston scrive la sua Storia naturale dei Quadrupedi, ne sa forse poco di più dell’Aldrovandi, mezzo secolo prima? Non molto, affermano gli storici. Ma il problema non è questo, o se lo si intende formulare in tali termini, occorre rispondere che Jonston ne sa molto meno di Aldrovandi. Questi, a proposito di ogni animale studiato, dispiegava, e allo stesso livello, la descrizione della sua anatomia e i modi per catturarlo; la sua utilizzazione allegorica e la sua forma di generazione; il suo habitat e i palazzi delle sue leggende; il suo cibo e il miglior modo di condirlo in salsa. Jonston suddivide il suo capitolo sul cavallo in dodici rubriche: nome, parti anatomiche, abitazione, età, generazione, voci, movimenti, simpatia e antipatia, utilizzazione, usi medicinali. Nulla di tutto ciò mancava in Aldrovandi, ma vi era assai di più. E la differenza essenziale sta in tale mancanza. L’intera semantica animale è caduta, come una parte morta e inutile. Le parole che erano intrecciate alla bestia sono state dipanate e sottratte; e l’essere vivo, nella sua anatomia, nella sua forma, nei suoi costumi, appare come messo a nudo.

[…]

I documenti di tale storia nuova non sono altre parole, testi o archivi, ma spazi chiari in cui le cose si giustappongono: erbari, collezioni, giardini; il luogo di tale storia è un rettangolo intemporale, in cui, spogliati di ogni commento, di ogni linguaggio periferico, gli esseri si presentano gli uni a fianco degli altri, con le loro superfici visibili, accostati in case ai loro lineamenti comuni, e con ciò già portatori del loro solo nome