L’invasione degli ultracorpi

Più del 40% del genoma di mammifero è derivato da retroelementi: sequenze genetiche mobili e ripetitive che codificano per trascrittasi inverse. Grazie a questi enzimi, sono in grado di trasporsi attraverso un intermedio ad RNA che viene poi trascritto nuovamente in una sequenza di DNA che può così integrarsi in altri siti. L’inserzione di questi nuovi retroelementi può danneggiare direttamente

Più del 40% del genoma di mammifero è derivato da retroelementi: sequenze genetiche mobili e ripetitive che codificano per trascrittasi inverse. Grazie a questi enzimi, sono in grado di trasporsi attraverso un intermedio ad RNA che viene poi trascritto nuovamente in una sequenza di DNA che può così integrarsi in altri siti.

L’inserzione di questi nuovi retroelementi può danneggiare direttamente il genoma, causando mutazioni (come in alcuni casi di emofilia, immunodeficienza, porfiria, distrofia muscolare e cancro), mentre la presenza di copie multiple può facilitare eventi di ricombinazione (scambi di materiale genetico inter- o intra-cromosomici) e causare altre variazioni nell’espressione genica. Molte ipotesi sono state addotte a proposito della loro origine evolutiva. Probabilmente si tratta di elementi molto primitivi, in quanto la loro presenza negli organismi è pressoché ubiquitaria.

I retroelementi possono essere di origine virale (retrovirus) o meno (retrotrasposoni). Un quarto dei retroelementi di mammifero sono retrovirus endogeni (ERVs) ed alcuni di questi, registrati soprattutto nei topi, sono ancora attivi. All’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, Helen M.Rowe e i suoi colleghi si sono chiesti come il nostro genoma possa proteggersi da questi elementi.

Nel loro articolo, pubblicato su Nature, si osserva che gli ERV sono silenziati durante l’iniziale embriogenesi da una metilazione a carico del DNA: una modificazione che agisce sugli istoni in grado così di compattare le sequenze cui sono legati, “nascondendole” alla cellula. Un ottimo candidato per questo ruolo è la proteina KAP1, che nei tetrapodi è capace di reprimere i geni reclutando la metiltransferasi istonica SETDB1, la proteina eterocromatica HP1 e il complesso delle istone deacetilasi NuRD. Sembra che KAP1 attraverso queste vie possa controllare proprio gli elementi ERV, in quanto riesce così a mantenere un permanente silenziamento genico durante l’embriogenesi. In questo articolo viene rafforzata questa ipotesi, grazie ad una serie di esperimenti che mostrano lo stretto legame tra l’azione di KAP1 ed il silenziamento degli ERV durante lo sviluppo embrionale, almeno nelle sue prime fasi.

La delezione (inattivazione) di KAP1 negli embrioni, infatti, porta ad una marcato aumento (di ben 500 volte!) di ERV in cellule staminali embrionali e negli embrioni precoci di topo. KAP1 sembra legare questi elementi nella loro regione 5’UTR (a monte): se queste sequenze vengono poste vicino ad un altro gene, si osserva la repressione di quest’ultimo. Inoltre KAP1 lavora in sinergia con le metiltransferasi per silenziare questi elementi: un’altra conseguenza della sua delezione consiste nella mancata tri-metilazione della lisina 9 sull’istone 3, un segnale normalmente registrato in caso di repressione mediata da KAP1. Si osserva inoltre un aumento dell’acetilazione sull’istone 4, modificazione spesso associata ad attivazione. Questa combinazione di alterazioni sugli istoni è coerente con una mancata repressione dovuta all’inattivazione di KAP1. Concordemente, l’utilizzo della 5-azacitidina, un inibitore delle metiltransferasi, porta ad osservare un aumento delle sequenze ERV. Ciò suggerisce un’azione cooperativa tra metilazione del DNA e repressione ad opera di KAP1.

Questo tipo di silenziamento, detto “epigenetico” in quanto non coinvolge direttamente i geni, è in grado di propagare il suo effetto dagli elementi ripetitivi alle regioni limitrofe. Di conseguenza, è possibile che questa regolazione controlli indirettamente anche l’espressione dei geni cellulari durante lo sviluppo ed eventualmente anche nei tessuti adulti. Il meccanismo descritto sembra rappresentare un sistema di silenziamento dei retrotrasposoni nei tetrapodi che è complementare a quello mediato dai piccoli RNA in piante e mammiferi.

Sembra inoltre dalle analisi condotte sulle sequenze riconosciute da KAP1 che questa proteina possieda un elevato livello di polimorfismo nelle regioni in grado di legarsi al DNA (dette “dita di zinco”), che gli consente di legarsi e silenziare numerosi tipi di ERV, garantendo così una protezione ad ampio spettro del nostro genoma.

Studi filogenetici mostrano che questi domini sono andati incontro a una forte selezione positiva durante l’evoluzione, indicandoli come importanti attori nei conflitti genetici. Probabilmente i retroelementi, in grado di mutare con estrema rapidità, hanno esercitato su KAP1, responsabile del loro controllo, una forte pressione selettiva durante una storia evolutiva fatta di epidemie e di resistenze.

Ilaria Panzeri

Riferimenti:
Rowe H.M. et al. KAP1 controls endogenous retroviruses in embryonic stem cells. Nature 463: 237-240, 2010.

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons