Lo famo strano: i rettili (Parte II)

apparati riproduttori dei rettili

Gli apparati riproduttori dei rettili riservano delle sorprese che non ci si sarebbe mai aspettati da questi animali torpidi e così dissimili da noi,

Nella puntata precedente abbiamo visto gli adattamenti degli squali, dei pecilidi, delle rane con la coda e delle cecilie, per quanto riguarda i vertebrati acquatici, poichè sono gli unici dotati di una struttura funzionalmente analoga ad un pene. Abbiamo poi iniziato a stupirci con un gruppo degli amnioti, gli uccelli. Per dovere di cronaca, gli amnioti attualmente esistenti sono gli uccelli, i rettili e i mammiferi. Sorprendentemente, i peni di tutti questi amnioti mostrano incredibili somiglianze strutturali: cilindri di carne flessibili e incospicui, che contengono uno scheletro idraulico che si riempie di liquido prima della copula, il che ne aumenta le dimensioni e la rigidità (Da qui si accede ad un diagramma che illustra la sezione trasversa degli “organi intromittenti” dei vari amnioti: da sinistra in alto, in senso orario: tartaruga, uccello serpente e mammifero. Sebbene tutte le strutture siano idrostatiche, con uno spazio vascolare (VS) centrale circondato da membrana tensile (TM), la differenza in sezione trasversale resta evidente).

Gli apparati riproduttori dei rettili riservano delle sorprese che non ci si sarebbe mai aspettati da questi animali torpidi e così dissimili da noi, e per prima cosa è importante sottolineare che tutti i rettili sono a fecondazione interna, anche se con differenti modalità. Sulla base di queste modalità possiamo distinguerli in tre gruppi principali, gruppi che non tengono conto delle loro parentele cladistiche ma solo delle particolarità  anatomiche degli organi riproduttori:

1) Gli sfenodonti, ovvero i tuatara, che si riproducono tutti tramite contatto tra la cloaca maschile e quella femminile (bacio cloacale): forse hanno perduto gli organi copulatori nel corso della loro evoluzione, affiancando il triste destino degli uccelli privi di pene o forse non ne hanno mai evoluto uno, e pertanto non saranno menzionati ulteriormente in questo post.

2) I coccodrilli e le tartarughe, che hanno un pene unico che deriva dal pavimento ventrale della cloaca, esattamente come negli uccelli.

3) Gli squamati (lucertole e serpenti), che hanno due emipeni che derivano dalle pareti laterali della cloaca.

Riguardo l’origine di queste strutture, se è pur vero che sono simili e condivise da molti amnioti, il che fa pensare ad un antenato comune provvisto di pene che poi è andato perso in alcuni cladi (carattere plesiomorfo, omologo), è anche vero che l’origine embriologica è differente, il che fa pensare a evoluzioni indipendenti (carattere analogo per evoluzione convergente). Attualmente questa è l’ipotesi più favorita: il pene si è evoluto indipendentemente in tutti questi animali, e la somiglianza è solo un’inquietante omologia.

Il pene dei coccodrilli (inclusi gaviali, alligatori, etc) è impressionantemente simile a quello umano, solo decisamente più piccolo e leggermente compresso ai lati, ma con una struttura a tronco di cono all’estremità, comparabile al nostro glande (qui un’immagine). Un coccodrillo di 3-4 m, comunque, ha una capacità di intromissione di 8-9 cm, non molto ma è tutto quello che gli serve. Anche la sua compagna ha una struttura simile, un clitoride, solo 3-4 volte più piccolo. Entrambi gli organi, a riposo, sono ospitati all’interno della cloaca (qui un’immagine), l’orifizio in cui convergono apparato escretore, riproduttore e digerente. Una differenza sostanziale tra coccodrilli e mammiferi consiste tuttavia nel fatto che lo sperma non scorre all’interno di un canale circondato dalle strutture erettili, i corpi cavernosi, ma in una grondaia sulla superficie dorsale dell’organo, esattamente come accade negli uccelli: lo sperma, secreto dai testicoli e portato dai vasi deferenti, sgocciola nella cloaca lungo la grondaia durante la copula. Anche il clitoride ha una grondaia simile, ma solo perchè le femmine hanno quel set di geni e non ha senso fare grosse modifiche: tanto alla fine la grondaia femminile non è funzionale. L’erezione avviene tanto per riempimento di sangue dei corpi cavernosi che per la contrazione di appositi muscoli. Ricordo che i coccodrilli sono ora considerati un sister-taxon degli uccelli, e non delle tartarughe, con cui non hanno niente a che spartire da oltre un centinaio di milioni di anni.

Le tartarughe, nella loro lentezza e placidità tantrica, sono molto più dotate dei loro lontani cugini coccodrilli, arrivando il loro organo copulatore anche a metà della lunghezza del piastrone, in alcune specie. Il pene delle tartarughe è di color viola scuro o nerastro (mentre è delicatamente rosato nei coccodrilli) e con delle espansioni laterali in corrispondenza del glande, che termina a punta. All’interno è suddiviso in un corpus fibrosum, di collagene, che dà rigidità, e in un corpus spongiosum, ipervascolarizzato e responsabile dell’aumento in dimensioni: in erezione il pene aumenta del 50% le proprie dimensioni (qui un’immagine), il che fa pensare che l’organo sia grande anche a riposo e ben ripiegato sul pavimento ventrale della cloaca. Anche nel caso delle tartarughe vi è una grondaia dorsale in cui scorre lo sperma. L’erezione è dovuta, oltre che al riempimento del corpo spugnoso, alla contrazione di un muscolo retrattore agganciato alle vertebre lombari, il che suggerisce una copula di notevole durata (almeno un’ora per diverse specie). Le fibre collagene sono disposte a strati alterni longitudinali e trasversali, analogamente a quanto accade nei mammiferi. Comunque, al di là dei dettagli anatomici, il dubbio è questo: che se ne fa una tartaruga di un pene così sproporzionatamente grande? Alcune tartarughe (ad esempio Terrapene carolina), secondo quanto riportato qui, sono state osservate mentre in assenza di femmine o di altri stimoli si alzano sulle posteriori con il fallo in erezione, ripetendo anche diverse volte questo gesto. Ciò ha fatto pensare ad alcuni ad un comportamento dimostrativo, anche se non è ancora chiaro se il segnale sia diretto alle femmine o volto a intimidire potenziali predatori. La mia impressione tuttavia è che un pene grande serva semplicemente per intromettersi dentro una cloaca corazzata dal guscio, operazione che ad esempio nelle tartarughe terrestri nord Americane (Terrapene sp.) richiede che il maschio si alzi in piedi sulle posteriori e poi si inclini all’indietro in una posizione tutt’altro che comoda.

Gli emipeni degli squamati (lucertole, serpenti) sono invece degli organi veramente bizzarri che poco assomigliano agli organi riproduttori dei mammiferi. Ciascun emipene è collegato ad un testicolo tramite un vaso deferente, e le due strutture non sono collegate tra loro in nessun modo. I maschi usano i due emipeni alternandoli, in modo da avere sempre una “ricarica” di sermatozoi freschi a portata di mano. Non è chiaro invece se le femmine abbiano qualche tipo di lateralizzazione, ovvero se preferiscano un lato piuttosto che un altro. Alcuni emipeni sono a loro volta biforcuti, come quello del colubride africano Pseudaspis cana, che dà l’impressione che ci siano ben quattro emipeni (qui un’immagine).

Questi emipeni, che derivano dalle pareti laterali della cloaca, sono praticamente dei calzini rovesciati quando sono in erezione: durante l’estroflessione si capovolgono da dentro a fuori. Ogni specie ha delle diverse ornamentazioni sul pene costituite da spine, calici, bozzi, tasche, spicole e infiorettature varie che a volte danno agli emipeni dei meravigliosi aspetti floreali, anche considerando il colore tra il rosa e il fucsia, passando per il viola (nell’immagine in alto). La funzione di queste ornamentazioni è trattenere la femmina durante la copula, e prolungarla, senza nessun intento esibizionistico: più gli emipeni hanno ornamentazioni, più dura la copula, e più il maschio si garantisce la paternità in specie più competitive. Gli accoppiamenti di lucertole e serpenti sono infatti spesso molto competitivi e di breve durata. Le iguane marine, ad esempio, lottano in un lek tra maschi e il vincitore si accoppia, per non più di tre minuti a femmina. Un maschio perdente però ha ancora la possibilità di riprodursi: pre-eiaculano e mantengono lo sperma nei sacchi degli emipeni in attesa di avere l’opportunità di trasferire lo sperma con un lesto colpetto ad una femmina di passaggio. Poco soddisfacente ma permette di trasmettere i propri geni. Le femmine di molti rettili hanno la capacità di ritenere lo sperma nel prorpio corpo per mesi o anche per anni. La femmina di varano di Komodo (Varanus komodoensis) che qualche anno fa ha deposto le uova allo zoo di Londra, ad esempio, era venuta in contatto con un maschio l’ultima volta in Francia diversi anni prima.

Per concludere questa sezione, c’è un’ultima domanda a cui rispondere: e i dinosauri? Non sono rettili, certo, ma sono amnioti, quindi la domanda non è peregrina. Il problema  è che non abbiamo idea neanche se avessero un pene o se utilizzassero il “bacio cloacale”, o se dipendeva dalle specie. Guardando la filogenesi, ci accorgiamo che i due parenti più prossimi dei dinosauri sono I coccodrilli, che hanno un pene, e gli uccelli (che poi sono dinosauri) che forse lo hanno perduto secondariamente, considerando che alcune specie lo hanno. Mi azzarderei ad ipotizzare che i dinosauri non fossero esattamente dei macho superdotati, e che se avevano un fallo questo era interno alla cloaca, ma sono certa che potendo controllare mi imbatterei di nuovo in una incredibile varietà.

Tratto da L’orologiaio miope, il blog di Lisa Signorile