Lo stretto rapporto fra paleontologia e innovazione tecnologica

Lo studio del record paleontologico è stato migliorato in maniera significativa dall’applicazione di nuovi metodi, legati a innovative tecniche di analisi. Un recente articolo ne evidenzia l’importanza per le scienze storiche

Dalle sue origini, la paleontologia ha subìto numerose trasformazioni. Ad oggi disponiamo di un più ampio record fossile e, allo stesso tempo, nuove teorie hanno permesso un’analisi più accurata e coerente degli organismi che un tempo popolavano il nostro Pianeta.

In uno studio pubblicato in Studies in History and Philosophy of Science, Marco Tamborini – PhD in Storia e Filosofia della Scienza presso l’Università di Heidelberg- analizza il rapporto intimo fra teoria, dati paleontologici e lo sviluppo di nuove tecnologie nell’analisi di questi. Considerare la paleontologia in quanto disciplina ‘tecnoscientifica’ può aprire nuove prospettive sul suo statuto ontologico -ovvero sulla sua caratterizzazione e sugli enti di cui si occupa – e potenziale epistemico – riferentesi, quest’ultimo, alla capacità maggiore o minore di una teoria di accedere a, e studiare, determinate informazioni.

Vediamo meglio di cosa si tratta. È stato spesso evidenziato come la paleontologia, insieme ad altre scienze ‘storiche’, abbia un potenziale epistemico limitato, avendo a che fare con delle tracce lasciate da processi in molti casi non replicabili. Ad esempio, a differenza di alcune aree della fisica, in cui la ripetibilità di un esperimento e delle sue condizioni rendono più facile un controllo inter-soggettivo dei risultati, in paleontologia bisogna affidarsi all’utilizzo di molteplici generi di evidenza allo scopo di favorire un’ipotesi rispetto alle altre. In molti casi, bisogna tener conto della sotto-determinazione della teoria rispetto ai dati, casi in cui le stesse evidenze empiriche possono essere spiegate da più teorie. È dunque necessario ricorrere al principio di parsimonia, e valutare l’ipotesi più semplice in grado di spiegare il fenomeno in questione.

Facciamo un esempio. Immaginate che, prima di uscire per una passeggiata, avete lasciato una pila di libri in ordine sul tavolo del vostro salotto. Al vostro ritorno, ne trovate alcuni aperti sul tavolo, altri sul pavimento con il dorso dei libri rivolto verso l’alto. A quel punto vi accorgete che la finestra è aperta. Cosa può esser successo? Iniziate a formulare alcune ipotesi. Potreste pensare che qualcuno sia entrato in casa durante la vostra assenza. Notate, però,  che il resto del salotto è in ordine, così come le altre stanze dell’appartamento – difficile da pensare nel caso di un tentativo di furto.

Allora immaginate che qualche gatto del quartiere sia entrato per cercare del cibo, ma non notate altre tracce che possano far pensare ad una tale eventualità (e sì, la vostra tappezzeria è salva!).

Ad un tratto vi ricordate che poco prima che usciste c’era stato un forte vento. La finestra non è stata forzata, e probilmente era socchiusa. È dunque verosimile che si sia aperta a causa del vento e che i libri, poco pesanti, siano stati sparpagliati proprio a causa del vento. I vostri vicini, poi, vi rassicurano di non aver visto nessuno avvicinarsi alla vostra abitazione e che anche nella loro casa il vento ha provocato lievi danni. Tranquillizzati, vi convincete che in effetti non c’è stata nessuna intrusione e ipotizzate che sia stato un tempo instabile a causare la situazione.

Questo è un esempio banale, ma che può far comprendere come anche nella vita di tutti i giorni ci si trovi a dover scegliere le spiegazioni più semplici e plausibili per render conto di un determinato fenomeno, e che tutte queste spiegazioni siano state elaborate a partire dagli stessi dati iniziali. Si ricorre a quella che viene definita un’Inferenza alla spiegazione migliore (Pikaia ne ha parlato qui). Alla luce di dati iniziali, scegliamo l’ipotesi che possa spiegarli nella maniera più semplice.

Alla luce di queste problematiche, Tamborini sostiene che l’applicazione di tecnologie, sia cartacee che digitali, abbia fornito un grande aiuto per migliorare il potenziale epistemico della paleontologia. Attraverso l’utilizzo di grafici e abbozzi prima, e di modelli virtuali e 3-D poi, i paleontologi sono stati in grado di studiare il record fossile senza danneggiare estensivamente i campioni, come nel caso dell’applicazione dei raggi X direttamente a fossili inclusi nella matrice rocciosa.

Sin dall’Ottocento, naturalisti come George Cuvier (1769-1832) si sono forniti di quella che Tamborini denomina ‘paper technology’ (grafici, schemi, abbozzi) per illustrare e comparare resti fossili. Analogamente, il paleontologo H.G. Bronn (1800-1862) si servì di visualizzazioni grafiche allo scopo di evidenziare patterns e trends evolutivi, da cui trarre generalizzazioni al livello teorico. Altri avrebbero utilizzato tali strumenti per evidenziare la distribuzione delle specie fossili e comparla con quelle degli organismi esistenti.

Nel secolo successivo, è stato possibile creare digitalizzazioni che hanno permesso l’eliminazione di ipotesi meno probabili. È il caso, ad esempio, della locomozione del Tyrannosaurus rex, studiata attraverso modelli informatici. Per mezzo di un’analisi comparata della biomeccanica dei bipedi esistenti, alcuni studiosi hanno determinato quale fosse la postura più adatta degli arti posteriori. Inoltre, analisi delle possibili configurazioni morfologiche di determinate specie – in una parola, del morfospazio – hanno reso possibile lo studio della morfologia di alcune conchiglie fossili.

Teoria, dati empirici e innovazioni tecnologiche figurano dunque come parte integrante del processo scientifico nelle scienze storiche. Comprendere la loro interrelazione è utile allo sviluppo di nuove aree di indagine, e alla formulazione di domande sul passato che altrimenti  sarebbero state poste difficilmente. Come evidenziato dall’autore, è possibile pensare alla tecnologia come il mezzo attraverso cui si produce nuova conoscenza; un mezzo che non è preposto semplicemente all’archiviazione di dati empirici ma collabora alla produzione dei fenomeni naturali.

Riferimenti:
Tamborini, M. (2020), Technoscientific approaches to deep time, Studies in History and Philosophy of Science, 79: 57-67

Immagine: Nils Knötschke / CC BY-SA, via Wikimedia Commons