L’origine dei gechi si sposta indietro di 40 milioni di anni

Sulla rivista Zootaxa viene descritta la specie di geco (Famiglia Gekkonidae) più antica fino ad ora conosciuta: si tratta di una specie appartenente al nuovo, ma ora estinto, genere chiamato Cretaceogekko. Un gruppo di paleontologi dell’Oregon State University e del Natural History Museum di Londra ha infatti rinvenuto nel Myanmar alcuni resti fossili di un esemplare geco risalente a circa

Sulla rivista Zootaxa viene descritta la specie di geco (Famiglia Gekkonidae) più antica fino ad ora conosciuta: si tratta di una specie appartenente al nuovo, ma ora estinto, genere chiamato Cretaceogekko.

Un gruppo di paleontologi dell’Oregon State University e del Natural History Museum di Londra ha infatti rinvenuto nel Myanmar alcuni resti fossili di un esemplare geco risalente a circa 100 milioni di anni fa, le cui parti molli erano ben conservate all’interno di una goccia d’ambra. Ad esempio si sono mantenute pressochè intatte le lamelle, le strutture poste sotto ad ogni dito che permettono a questi animali di muoversi sulle pareti con un’agilità sorprendente. Purtroppo, sono arrivate ai giorni nostri solamente alcune parti del corpo, una zampa con le dita e una porzione della coda, forse ciò che rimane di un pasto di un piccolo dinosauro.

Considerando la sua taglia, che non superava i 2,5 cm di lunghezza, e il numero di lamelle, i ricercatori hanno ipotizzato che questo esemplare fosse ancora molto giovane ed in fase di intensa crescita, ma che da adulto potesse raggiungere i 30 cm. La presenza di una colorazione a striscie ha fatto invece pensare ad una specie criptica.

Nonostante le sue piccole dimensioni, il ritrovamento ha una grande importanza, in quanto retrodata di circa 40 milioni di anni la comparsa di questo gruppo di animali. Inoltre, dimostra senza alcun dubbio che a quel tempo i gechi avevano già sviluppato la loro singolare struttura del piede, carattere che li ha resi uno dei gruppi di rettili di maggiore successo in natura.

Andrea Romano

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons