Mostri di belle speranze: report dell’esperienza espositiva

Il primo bilancio di un laboratorio sull’evoluzione al Festival della Scienza di Genova

L’installazione dal titolo Mostri di belle speranze – che noi membri del Team EXPO (Ilario de Biase, Valerio Lupia, Laura Anania, Moreno Tiziani, Lavinia Quattrini, Angelo Barili e Fabio Perelli)  abbiamo realizzato per Antrocom Onlus – nasce come proposta per la decima edizione del Festival della Scienza di Genova, il cui tema era la “bellezza”. La nostra idea iniziale era di rappresentare la bellezza per mezzo del suo opposto, la mostruosità. Si era deciso sin dall’inizio che un posto d’onore doveva essere occupato dai mostri marini, per omaggiare una città di mare come Genova, e soprattutto perché il 2013 è l’Anno Internazionale della cooperazione idrica. 
L’obiettivo era tentare di tentare di indagare le basi scientifiche dell’origine dei “mostri”, marini e non. In questo senso, la stessa città di Genova è stata la cornice ideale, per via della sua ampia offerta scientifica legata al mare. In nessun altro luogo d’Italia avremmo potuto raccogliere documenti filmati dei lamantini, mammiferi marini affascinanti e poco conosciuti, appartenenti alla famiglia dei sirenii. I tre individui della specie Trichechus manatus che abbiamo filmato sono ospitati all’Acquario di Genova. Ringraziamo dunque l’Acquario e il biologo marino Stefano Angelini, per averci dato la possibilità di mostrare grazie a un breve documentario (che potete vedere qui) la probabile origine biologica del mito delle sirene. Un mito che sopravvive ancora oggi, come dimostrano le nostre indagini sui pescatori che lavorano a pochi metri dal luogo dove sono ospitati i lamantini.
All’analisi delle origini biologiche dei mostri del mito, abbiamo però pensato di accostare in parallelo un altro obiettivo, forse più difficile da raggiungere e da veicolare al pubblico: obiettivo riassunto nel titolo stesso dell’installazione, Mostri di belle speranze, così come dal messaggio finale che si è tentato di far passare: “siamo tutti chimere”. I “Mostri di belle speranze” traggono ispirazione dagli “Hopeful monsters” di Richard Benedict Goldschmidt, genetista americano di origini tedesche di inizio novecento. Con questa metafora, Goldschmidt descriveva il suo pionieristico modello macroevolutivo “a salti”, sostenendo che la macroevoluzione derivava da riassetti completamente nuovi e improvvisi del patrimonio ereditario in alcuni individui di una specie. Gli “Hopeful monsters” erano pertanto mostri in quanto mutanti genetici, che potevano dare avvio per discendenza a nuove specie. Il modello di Goldschmidt fu avversato all’epoca dagli esponenti della Nuova Sintesi, ma recenti scoperte ci invitano a rivalutare la teoria, la quale è stata comunque ripresa e modificata dai fautori degli Equilibri punteggiati. 
Il secondo obiettivo del nostro progetto espositivo era dunque parlare di “mostruosità” (e di “bellezza”) dal punto di vista evolutivo. E per farlo abbiamo trasferito il concetto di Goldschimdt dagli individui alle specie, estendendolo a Homo sapiens e a tutti i viventi. Abbiamo cioè tentato di dimostrare che siamo tutti – nel senso buono (e “gouldiano”) del termine) – “Mostri di belle speranze”. Siamo infatti il prodotto di un bricolage evolutivo di strutture nate in origine con scopi diversi, e poi via via riadattate a nuove esigenze, per opera della selezione naturale. Si tratta di un processo apparentemente “prodigioso” (e monstrum, in latino, significa proprio “prodigio”), eppure del tutto indipendente da un progetto intelligente. 
Da un altro grande nome della biologia – Edward O. Wilson, uno che non ha certo bisogno di presentazioni – abbiamo invece preso in prestito il concetto di “specie chimerica”, riadattandolo anche in questo caso, in una sorta di exaptation concettuale. Abbiamo cercato cioè di mostrare che noi “siamo tutti chimere”, perché portiamo con noi numerosi caratteri che derivano da antichi e recenti antenati evolutivi. Basti pensare a strutture ben note come il coccige, residuo vestigiale di un passato arboricolo, i denti del giudizio o l’appendice, testimonianze di antenati erbivori; ma anche a parti che sono sotto (o meglio dentro) gli occhi di tutti, eppure non se ne sente spesso parlare, come la plica semilunare, relitto della terza palpebra dei nostri progenitori rettiliani. Sono tutte testimonianze dirette di una storia evolutiva complessa: le portiamo con noi da sempre ed è impossibile non vederle. E dovrebbero già da sole essere sufficienti a far vacillare la nostra innata visione antropocentrica: non siamo perfetti e nemmeno speciali, siamo semplicemente “Mostri di belle speranze” anche noi, come tutti i viventi. 
E se siamo tutti “mostri”, o per meglio dire “chimere”, non possiamo che concludere che la mostruosità non è un qualcosa che si discosta dalla normalità, come nell’immaginario collettivo. Al contrario, dal punto di vista evolutivo è nella normalità che sta la mostruosità. E nella mostruosità sta la bellezza, per le infinite forme che l’evoluzione continuamente genera.
In un contesto come quello di Pikaia ci premeva soprattutto approfondire gli aspetti legati al concept e al messaggio da veicolare, ma non possiamo fare a meno di spendere qualche parola anche sull’approccio museografico che abbiamo adottato. 
L’installazione ha mutato più volte forma nel corso della lunga progettazione, iniziata a partire da gennaio 2013: si è evoluta insieme ai “Mostri di belle speranze”, fino al risultato finale, esposto a Genova al chiostro di Sant’Agostino (Piazza Sarzano), dal 24 ottobre al 3 novembre 2013. Nel nostro progetto iniziale dovevano essere inclusi esemplari originali provenienti da diversi musei italiani, da mostrare ai visitatori come esempi di chimere naturali e artificiali. Le risorse a disposizione, alcune criticità soprattutto relative alla sicurezza (e le contingenze!) ci hanno reso impossibile questa soluzione, e abbiamo dunque infine optato per un apparato museografico composto unicamente da supporti testuali e iconografici, da uno schermo per la trasmissione del nostro documentario, e da uno specchio deformante interattivo, pensato soprattutto per un pubblico giovane.  
I fumetti di Dylan Dog, “l’indagatore dell’incubo”, ci hanno permesso di concepire una veste grafica particolare: una grande doppia pagina di un fumetto immersivo e interattivo, fra le cui vignette – sospese alle chiavi di volta del chiostro – il visitatore poteva muoversi liberamente. Ci chiediamo se la soluzione abbia realmente funzionato, e se questo modo di procedere possa essere replicato in futuro su altri temi. Potete farvi un’idea dell’aspetto complessivo e giudicare voi dalle immagini che vi mostriamo. 
Ad appena tre giorni dal termine dell’evento non è ancora tempo di bilanci. Il nostro è stato soprattutto un esperimento comunicativo, alla ricerca di mezzi nuovi con cui comunicare la scienza e l’evoluzione anche a un pubblico normalmente non avvezzo a questi temi; e volto al tempo stesso a evidenziare che i tradizionali concetti di bellezza e mostruosità non sono affatto lineari, ma che possono essere anzi raccontati secondo nuove e diverse chiavi interpretative. E lo dimostrano anche i bambini della I B della scuola primaria “Giovanni Daneo” di Genova, che hanno dato nel finale il loro prezioso contributo con una mostra satellite, dal titolo Piccoli mostri di belle speranze: le loro rappresentazioni artistiche e testuali dei concetti di mostruosità e bellezza suggeriscono una volta di più che anche dai piccoli abbiamo da imparare. 
Fabio Perelli