Neanderthal, primi chimici d’Europa?

Alcuni dati archeologici spingono a pensare che i minerali ricchi di manganese polverizzati, rinvenuti in siti archeologici preistorici caratterizzati dalla presenza dall’uomo di Neanderthal, fossero utilizzati per l’accensione del fuoco invece che come cosmetici, come si era finora ritenuto

Immaginatevi di essere un Neanderthal di rientro al suo rifugio, dopo una dura battuta di caccia o di raccolta, in una giornata fredda e uggiosa. Cosa ci sarebbe di meglio in una situazione del genere di un bel fuocherello caldo per riscaldarsi e cuocere il meritato pasto? “Le cose sono anche molto più semplici rispetto al tempo dei bisnonni.” pensa il nostro Neanderthal. “Quando il fuoco andava cercato come frutto di eventi naturali, come per esempio i fulmini; e, una volta portato a casa, nutrito e sorvegliato costantemente perché non morisse. In un qualche momento, tra allora e oggi.” continua a pensare il nostro antico cugino. “Qualche geniaccio ha scoperto il modo di accenderlo a comando e ora possiamo averlo tutte le sere. Una bella comodità!” Continua a riflettere mentre si dà da fare con rametti e corteccia. “Ma che fatica certe sere! Bisognerebbe trovare un modo ancora più rapido per farlo partire senza tutto questo lavoro!”

Un poco di colore (nero)
I ragionamenti dei Neanderthal effettivamente vissuti nel sudovest della Francia tra 60.000 e 40.000 anni fa non devono essere stati poi tanto differenti da quelli dell’immaginario protagonista della nostra storia, se Peter J. Heyes e colleghi, delle università di Leiden e Delft (Olanda), hanno correttamente interpretato, nella loro ricerca pubblicata su Nature, l’uso fatto dai nostri antichi cugini di alcuni blocchetti di pietra scura ritrovati presso il ricco sito archeologico di Pech-de-l’Azé, in Dordogna. I minerali, che sono di colore nero e mostrano segni di raschiatura, erano probabilmente destinati ad essere ridotti gradualmente in polvere. L’analisi chimica ha mostrato che il componente principale di queste pietre è un ossido di manganese. Tradizionalmente, la polverizzazione di minerali scuri è stata interpretata come un tentativo di produrre pigmenti destinati ad attività decorative; in effetti nelle loro pitture rupestri, prodotte in seguito, i nostri diretti antenati uomini moderni europei hanno utilizzato spesso gli ossidi di manganese per ottenere il colore nero. Ma i Neanderthal, per quanto noto, non hanno mai prodotto decorazioni colorate nelle grotte (Pikaia ne ha parlato qui). Resta tuttora un’ipotesi dibattuta la possibilità che in qualche modo questa specie di antichi europei utilizzasse i pigmenti per decorare il corpo o ornamenti (Pikaia ne ha parlato qui), ma per questo tipo di uso cosmetico il colore nero poteva essere ottenuto molto più facilmente da legno carbonizzato o fuliggine. Non è quindi chiaro il motivo per cui i Neanderthal si impegnassero a cercare dei minerali ricchi di manganese, difficili da trovare e trasportare.

Una vita più facile
Alla ricerca di ipotesi alternative sull’uso cui erano destinati i misteriosi blocchetti, gli autori hanno effettuato alcuni esperimenti di tipo chimico-fisico in cui hanno mescolato alla normale esca per il fuoco, foglie secche cortecce o trucioli, prima ossido di manganese puro, poi polveri con una composizione simile a quella delle pietre. Una piccola quantità di polvere minerale, inferiore al 6% in peso della mistura, era sufficiente ad abbassare da 350°C a 250°C la temperatura di accensione delle fiamme e a renderne molto più difficile lo spegnimento spontaneo. L’ipotesi degli autori, secondo cui la polvere ottenuta dai blocchetti serviva a facilitare l’accensione del fuoco, è inoltre sostenuta da un altro dato: nelle vicinanze del sito di Pech-de-l’Azé esistono varie fonti di minerali ricchi di ossido di manganese, tutti in grado di produrre una raschiatura di un intenso colore nero: ma l’analisi delle pietre ricche di ossido, e apparentemente scartate dagli antichi ominidi, ha dimostrato che questi minerali contengono spesso grandi quantità di impurità sotto forma di composti del bario, quasi del tutto assenti invece nei blocchetti del sito archeologico. In una successiva serie di test chimico-fisici, le polveri contaminate da bario hanno dimostrato di vanificare i vantaggi prodotti dal manganese sull’accensione delle fiamme. Se l’uso a cui era destinata la polvere prodotta dai blocchetti era puramente estetico, non si capirebbe la necessità di selezionare con tanta cura proprio il minerale a basso contenuto di bario.

Mica scemi
Anche se le analisi più approfondite sono state svolte dagli autori della ricerca solo sui blocchetti rinvenuti a Pech-de-l’Azé, simili minerali, probabilmente destinati ad essere ridotti in polvere, sono stati rinvenuti anche in altri siti francesi legati alla presenza di Homo neanderthalensis. Più che il colpo di genio di un individuo isolato, l’idea di facilitarsi l’esistenza con l’uso di una, pur primitiva, chimica, sembra essere stata un idea ben compresa e apprezzata dai nostri antichi cugini che, per quanto diversi anatomicamente da noi, sembrano sempre più lontani dai bruti primitivi immaginati dai primi paleontologi. Capire allora perché alla fine a prevalere sia stata la nostra specie diventa un impresa sempre più difficile, che non può più essere liquidata con l’idea che i nostri antenati diretti fossero quelli più intelligenti.

 

Riferimenti:
Heyes, P. J. et al. Selection and Use of Manganese Dioxide by Neanderthals. Sci. Rep. 6, 22159; doi: 10.1038/srep22159 (2016).