Novità dal mondo dei tardigradi

Lo studio del genoma di due specie di tardigradi porta nuovi elementi al dibattito sulle questioni tuttora aperte dell’anidrobiosi, del trasferimento genico orizzontale e dell’albero filogenetico degli Ecdysozoa

I tardigradi, microscopici abitanti della fauna interstiziale, sono generalmente noti per il loro curioso aspetto e le straordinarie capacità di sopravvivenza in ambienti estremi, grazie alla possibilità di entrare in anidrobiosi, uno stato di quiescenza; ma rivestono anche un notevole interesse all’interno delle ricerche sulla filogenesi dei metazoi e sull’entità e il ruolo del trasferimento genico orizzontale nella meiofauna.

Un recente studio su PLOS Biology che ha coinvolto università giapponesi e inglesi interviene nel dibattito su ciascuno di questi aspetti, grazie a strumenti che hanno permesso un miglior sequenziamento e confronto genomico. In questo modo è stato possibile paragonare i genomi di due specie di tardigradi: Hypsibius dujardini e Ramazzottius varieornatus, entrambi nella famiglia Hypsibiidae.

Il confronto ha mostrato innanzitutto che il genoma di H.dujardini è più ampio, probabilmente a causa di più numerose duplicazioni e minori perdite nei geni ereditati dal tardigrado ancestrale. I due genomi mostrano scarsa sintenia (associazione tra due o più geni in uno stesso cromosoma), il che fa pensare al verificarsi di eventi rapidi ed estensivi di riarrangiamento all’interno dei cromosomi. Per una verifica dell’ipotesi sarebbe necessario però il sequenziamento genomico di altre specie di tardigradi.

Le due specie hanno tuttavia in comune alcuni geni implicati nella protezione contro stress estremi, e nella produzione di vie metaboliche di riparazione e protezione cellulare; mentre hanno perduto entrambe geni importanti per la segnalazione di stress cellulare e la conseguente attivazione di sistemi a valle, coinvolti nell’apoptosi e nella regolazione del ciclo cellulare. Mentre tali perdite sarebbero probabilmente letali per gli organismi normali, è possibile che la loro soppressione sia necessaria per entrare in anidrobiosi, ovvero la capacità di resistere all’essicamento in una sorta di stato di quiescenza.

Lo studio del trascrittoma ha mostrato poi che la risposta all’anidrobiosi differisce tra i due tardigradi esaminati, come ci si attendeva, giacché si era osservato che R. varieornatus sopporta una rapida essiccazione, mentre solo un lento e graduale precondizionamento consente a H. dujardini di entrare in anidrobiosi con una elevata sopravvivenza. Si è visto che quest’ultimo mostra una maggior risposta trascrizionale, il che suggerisce l’attivazione di un programma genetico per regolare la fisiologia, mentre è probabile che in R. varieornatus i geni per l’ingresso in criptobiosi siano espressi in modo costitutivo.

Secondo precedenti studi, il genoma dei tardigradi conterrebbe elevate percentuali, fino al 17,5%, di DNA di origine batterica, micotica e protozoica, che sarebbe stato ottenuto attraverso il trasferimento genico orizzontale. La presente ricerca contesta il precedente risultato, ipotizzando che fosse probabilmente dovuto a contaminazione dei campioni con organismi cobionti. Gli autori ritengono che i contributi esogeni possano costituire solo una bassa percentuale del genoma dei tardigradi, al più 0,7% per H. dujardini e 1,6% per R. varieornatus, percentuali destinate forse ad abbassarsi con studi ancora più rigorosi. I tardigradi non mostrerebbero dunque elevati livelli di trasferimento genico orizzontale, conclusione supportata anche dal fatto che queste basse percentuali sono molto simili a quelle trovate in ben noti organismi modello, come Caenorhabditis elegans e Drosophila melanogaster.

D’altra parte, è interessante osservare che i pochi scambi batterici accertati sono probabilmente fondamentali per il fenomeno dell’anidrobiosi; infatti sono risultati di origine batterica, per entrambe le specie, tutti i loci implicati nella catalasi, enzima che può proteggere dallo stress ossidativo. Più complesso il discorso per quanto riguarda il trealosio, zucchero che si suppone possa fungere da anidroprotettore, cioè stabilizzare le cellule e i meccanismi cellulari in assenza d’acqua. Tale disaccaride è fondamentale nella resistenza alla mancanza d’acqua in parecchi taxa di criptobionti, ma finora si riteneva che non fosse necessario nell’anidrobiosi dei tardigradi, poiché non è presente in Milnesium tardigradum; inoltre la velocità con cui R.varieornatus entra in anidrobiosi suggerisce che esso non richieda una sintesi indotta di protettori. Tuttavia in R. varieornatus sono stati trovati geni di origine batterica implicati nella sintesi e nella degradazione del trealosio; la questione perciò rimane aperta.

Infine, l’argomento forse più dibattuto: la posizione dei tardigradi nell’albero filogenetico degli Ecdysozoa, cioè degli animali che compiono la muta (o ecdisi). Questo clade comprende, oltre ai Tardigrada, altri phyla tra cui quello ricchissimo di specie degli Arthropoda, quello degli Onychophora, simili a vermi ma dotati di zampe con unghie, quelli dei Nematoda e dei Nematomorpha, vermi strettamente affini, e alcuni altri. Le relazioni di parentela tra questi phyla sono state oggetto di ipotesi discordanti.

L’evidenza morfologica ha inizialmente indotto a raggruppare i tardigradi insieme agli onicofori e agli artropodi, in un gruppo monofiletico noto come “panartropodi”, comprendente tutti quegli Ecdysozoa che possiedono appendici locomotorie; esclusi perciò nematodi e nematomorfi. Di contro invece i dati molecolari hanno individuato onicofori e artropodi come gruppi fratelli, mentre i tardigradi sarebbero più vicini ai nematodi. Se ciò fosse vero, le zampe si sarebbero evolute almeno due volte nella storia degli Ecdysozoa. In seguito, ulteriori studi hanno smentito tali risultati, attribuendoli ad artefatti degli algoritmi usati per la ricostruzione filogenetica. Più di recente, anche studi neurologici hanno riconfermato i dati morfologici, sostenendo inoltre che sarebbero i tardigradi, e non gli onicofori, il gruppo fratello degli artropodi.

Il presente studio interviene nel dibattito con dati contrastanti: se infatti la filogenesi molecolare estesa all’intero genoma sembra confermare una maggior vicinanza fra i phyla Tardigrada e Nematoda, corroborata dalla perdita condivisa di alcuni geni HOX, di contro una più stretta relazione dei Tardigrada con gli Arthropoda sarebbe avvalorata dalla presenza di parecchie famiglie di geni sinapomorfiche.

In conclusione, la struttura dell’albero filogenetico degli Ecdysozoa rimane incerta, in attesa di ulteriori ricerche.

Riferimenti
Yuki Yoshida, Georgios Koutsovoulos, Dominik R. Laetsch, Lewis Stevens, Sujai Kumar, Daiki D. Horikawa, Kyoko Ishino, Shiori Komine, Takekazu Kunieda, Masaru Tomita, Mark Blaxter, Kazuharu Arakawa. Comparative genomics of the tardigrades Hypsibius dujardini and Ramazzottius varieornatus. PLOS Biology, 2017; 15 (7): e2002266 DOI: 10.1371/journal.pbio.2002266

Immagine: Tardigrado Pseudobiotus da Proyecto Agua. Flickr. Licenza CC BY-NC-SA 2.0