Perchè dormiamo?

L’uomo e molti altri animali hanno la necessità di investire parte del proprio tempo dormendo e la deprivazione del sonno può arrecare gravi danni sino a conseguenze letali, come dimostrato sperimentalmente sia nei ratti che nei moscerini. Sebbene il significato del sonno non sia ancora chiaro, numerosi autori hanno proposto che dormire sia essenziale per resettare alcune funzioni biologiche o comunque per

L’uomo e molti altri animali hanno la necessità di investire parte del proprio tempo dormendo e la deprivazione del sonno può arrecare gravi danni sino a conseguenze letali, come dimostrato sperimentalmente sia nei ratti che nei moscerini. Sebbene il significato del sonno non sia ancora chiaro, numerosi autori hanno proposto che dormire sia essenziale per resettare alcune funzioni biologiche o comunque per permettere di alternare fasi di attività di tipo diverso. Ma il sonno ha qualche funzione evolutivamente conservata?

La rivista New Scientist ha recentemente pubblicato un interessante articolo di Emma Young dal titolo “Sleep tight” in cui le attuali spiegazioni proposte per spiegare questa soporifera necessità sono messe a confronto.

L’idea di Jerry Siegel (University of California, Los Angeles, USA) è in assoluta contrapposizione con l’attuale paradigma dominante ovvero secondo Siegel dormire non ha alcun significato misterioso, ma serve semplicemente per conservare energie e per tenerci fuori dai guai almeno per qualche ora al giorno. Molti dei ruoli che il sonno ha assunto negli animali sono, quindi, acquisizioni successive e non implicate nell’evoluzione dei meccanismi alla base del sonno.

La proposta di Siegel è sicuramente interessante, ma sembra essere in contrasto con numerose pubblicazioni in cui è stato ampiamente dimostrato che il sonno migliora (almeno del 15%) le performances della nostra memoria. Questi dati non preoccupano però Siegel che ritiene un guadagno del 15% troppo esiguo per sostenere adeguatamente l’ipotesi che dormire sia un processo selezionato nel corso dell’evoluzione per favorire il funzionamento della nostra memoria e del nostro cervello in generale.

Una posizione simile è espressa anche da Isabella Capellini, giovane ricercatrice italiana in forza all’University of Durham (UK), secondo cui il sonno non avrebbe una reale utilità nel favorire la memoria, come dimostrato dall’assenza di disturbi della memoria in soggetti che utilizzano, anche per lungi periodi, antidepressivi (quali il Prozac) che virtualmente eliminano la fase REM (da rapid eye movement), fase frequentemente associata al consolidamento della memoria. Al contrario di quanto suggerito da Siegel tuttavia  l’ipotesi che dormire serva per risparmiare energia è debole, poiché, come sottolinea Isabella Capellini, dormire otto ore comporta per un uomo un risparmio di energia ridottissimo ed equivalente alle energie introdotte con una tazza di latte.

Dormire non è quindi essenziale per consolidare la memoria e non ci aiuta nel risparmiare energia, ma allora a cosa serve? Un’ipotesi è che il sonno possa essere importante per “far riposare” il nostro cervello, permettendo il corretto funzionamento, ad esempio, delle sinapsi (i punti di contatto tra i neuroni) attraverso controlli e riparazioni di cui le sinapsi sono oggetto duranti le fasi di sonno. Questa ipotesi, recentemente suggerita da Chiara Cirelli del Center for Sleep and Consciousness dell’University of Wisconsin (USA), vede il sonno come un elemento essenziale per il corretto funzionamento del cervello e ci si potrebbe aspettare che questa funziona sia evolutivamente conservata. Abbiamo quindi finalmente identificato il significato evolutivo del sonno?

Secondo Siegel la risposta è di nuovo un secco no, poiché sebbene sia indubitabile che durante le ore di sonno il nostro cervello è oggetto di numerose attività riparative (da cui potrebbe derivare il miglioramento delle capacità mnemoniche), questo non indica affatto che il sonno sia stato selezionato per questa funzione e neppure che senza sonno queste attività non sarebbero realizzabili.

Interessanti risultati erano stati proposti da John Lesku (Max Planck Institute for Ornithology, Germania) analizzando il sonno in un contesto filogenetico ovvero verificando se vi fossero aspetti evolutivamente conservati nelle fasi del sonno. Questo approccio permise di evidenziare che animali filogeneticamente correlati avevano pattern simili nelle fasi del sonno e che animali con cervelli grandi avevano fasi REM più prolungate rispetto agli altri animali. Questi dati sono stati recentemente ripresi dal gruppo di ricerca di Isabella Capellini la quale, analizzando 130 specie di mammiferi , ha dimostrato che, sebbene specie filogeneticamente correlate abbiano pattern simili nel ritmo sonno-veglia, non esisterebbero meccanismi in grado di agire preferenzialmente sull’evoluzione della fase REM rispetto a quella non-REM e che queste due fasi si sarebbero tra loro coevolute. Un aspetto interessante che emerge da questa analisi è che si osservano fenomeni di convergenza evolutiva ovvero la presenza di pattern simili delle fasi del sonno in organismi filogeneticamente non correlati ad indicare l’influenza di fattori esterni (tra cui ecologici) sui meccanismi del sonno. Fattori ecologici potrebbero quindi essere stati determinanti nel definire sia la durata che la struttura delle fasi del sonno, motivo per cui anche il sonno potrebbe essere il frutto di uno specifico adattamento all’ambiente.

In particolare, secondo Isabella Capellini “le condizioni ecologiche hanno un impatto maggiore di quanto finora proposto dagli sleep scientists, poiché pongono limiti a quanto sonno una specie può avere: se sei una preda non puoi dormire tanto, se la tua nicchia trofica ti obbliga ad investire molto tempo per trovare il cibo ti resta poco tempo per dormire e se sei una specie sociale, la socialità può togliere tempo al sonno. La durata del sonno giornaliero è quindi limitata da fattori ecologici e sociali. Ciò non toglie però che vi siano altri modi per beneficiare del sonno. Per esempio dormire meno ma meglio, più profondamente”.

Mauro Mandrioli

 

Fonte immagine: Blog Scienze