Prove di arrampicata

Lo studio sulla struttura interna delle ossa provenienti dalle grotte di Sterkfontain, in Sudafrica, rivela nuove informazioni che sfidano la visione attualmente prevalente della transizione diretta verso il bipedismo all’interno del clade degli ominini

Il bipedismo è un tratto distintivo tipico del lignaggio degli ominini associato alla transizione che identifica il passaggio dall’ambiente arboreo a quello terrestre. Gli adattamenti scheletrici compatibili con questo tratto all’interno del gruppo risale a circa sei milioni di anni fa. Attualmente sappiamo che tutti gli ominini conosciuti del Sudafrica mostrano adattamenti morfologici riconducibili al bipedismo, in linea con l’ipotesi che quest’ultimo costituiva il tipo di locomozione predominante.

Uno studio sui fossili rinvenuti a Sterkfontain, in Sudafrica, condotto da un gruppo di ricerca della School of Anthropology and Conservation dell’Università del Kent e pubblicato su Pnas, fornirebbe delle evidenze che almeno alcune specie di ominini vissuti in quella regione tra 2.8 e 1.4 milioni di anni fa possedessero due differenti repertori di locomozione. Secondo quanto riportato dai ricercatori, l’analisi accurata della struttura trabecolare del femore prossimale attribuito ad un individuo di Australopithecus africanus (reperto classificato come StW 522 e datato tra i 2.8 e 2.0 milioni di anni) evidenzia tutte le caratteristiche del pattern locomotorio bipede. Un reperto geologicamente più giovane (StW 311 datato tra 1.7 e 1.4 milioni di anni), che potrebbe appartenere sia ad un individuo di Homo sp. che ad un individuo di Paranthropus robustus, esibisce invece un pattern morfologico molto simile alle scimmie non umane, compatibile con due modelli di locomozione differenti, ma ambedue potenzialmente praticabili in modo regolare, cioè il bipedismo terrestre e l’arrampicata sugli alberi. Questi risultati suggerirebbero inoltre che le differenze morfologiche sarebbero legate ad altrettante differenze comportamentali tra Australopithecus africanus e i più recenti ominini del Sudafrica.

Fino ad oggi la maggior parte degli studi sul bipedismo degli ominini fossili si erano concentrati sui tratti morfologici esterni dei reperti ossei. Tuttavia, intorno all’interpretazione comportamentale della morfologia esterna sono sorti dibattiti alimentati dal fatto che, in assenza di una forte pressione selettiva, potrebbero mantenersi anche tratti primitivi non rilevanti dal punto di vista funzionale. In aggiunta, le scoperte di “Little foot” (Pikaia ne ha parlato qui) e Homo naledi (Pikaia ne ha parlato qui) hanno rivelato combinazioni inaspettate di caratteristiche “human-like” e “ape-like”, segno che il bipedismo degli ominidi ha sperimentato un percorso non lineare e misto ad altre combinazioni.

Per questi motivi i ricercatori, utilizzando una combinazione di tecniche tomografiche, analisi comparative computerizzate in 3D, e analisi statistica, hanno indagato l’architettura dell’osso trabecolare e la sua distribuzione all’interno della testa prossimale del femore, sia in campioni umani che in altre grandi scimmie antropomorfe, comparandoli con i due reperti fossili StW 522 e StW311. Questo tipo di approccio, utilizzato nei lavori precedenti condotti dagli stessi autori, si era già rivelato efficiente nel dimostrare che la distribuzione dell’osso trabecolare era differente quando la si analizzava negli umani, nelle scimmie africane e negli oranghi e che queste differenze correlavano con le previsioni fatte basandosi sulle differenti posture.

In poche parole, l’osso trabecolare risponde ai carichi posturali attraverso il rimodellamento, alterando principalmente l’orientamento dei suoi montanti, nonché la distribuzione e il suo volume. Questi cambiamenti dell’osso correlano con altrettanti segnali che rivelano il potenziale comportamento dell’individuo.

I risultati ottenuti fornirebbero evidenze concrete che StW 311 (forse Paranthropus robustus), un individuo “non -Australopiteco” sudafricano potesse regolarmente arrampicarsi sugli alberi, mentre Australopithecus africanus (StW 52), probabilmente non poteva farlo con la frequenza tipica osservata nelle scimmie non umane esistenti, ma esibiva piuttosto il pattern locomotorio tipico dell’uomo moderno.

Tuttavia, siamo ancora lontani dal risolvere il dibattito su quanto l’arrampicata sia rimasta un comportamento importante nel nostro passato. Un’ulteriore analisi della struttura interna di altre ossa dello scheletro potrebbe rivelare scoperte entusiasmanti sull’evoluzione di altri comportamenti umani chiave, come la costruzione di utensili in pietra e l’uso degli strumenti.

Riferimenti:
Georgiou, L., Dunmore, C. J., Bardo, A., Buck, L. T., Hublin, J. J., Pahr, D. H., … & Skinner, M. M. (2020). Evidence for habitual climbing in a Pleistocene hominin in South Africa. Proceedings of the National Academy of Sciences117(15), 8416-8423.


Immagine: da Proceedings of the National Academy of Sciences117(15), 8416-8423.