Recensione di “Come saremo”

La storia delle tecnologie umane influenza l’evoluzione dell’ambiente (nicchia) in cui viviamo e ne è parte integrante, tanto che nel corso della nostra evoluzione concetti come artificiale e naturale sono divenuti un tutt’uno, non più districabili l’uno dall’altro

Nel corso degli ultimi anni molti libri hanno affrontato il tema dell’evoluzione della tecnologia e di quale è (e sarà) il rapporto dell’uomo con le tecnologie. E’ infatti sempre più evidente l’impatto che le tecnologie hanno avuto sulla nostra possibilità di allargare le aree in cui possiamo vivere, così come i danni che le attività antropiche hanno sull’ambiente.

Tra le ultime pubblicazioni, un libro che non può non catturare la vostra attenzione è “Come saremo” (Codice, 2016) scritto a quattro mani dal nostro direttore Telmo Pievani e da Luca De Biase, scrittore e giornalista esperto di nuove tecnologie.

Cercare di capire quanta tecnologia (e quale tipologia di tecnologia) sarà presente nelle nostre vite nel futuro non è certamente una domanda nuova, mentre decisamente non comune e molto intrigante è l’approccio con cui Pievani e De Biase hanno scelto di affrontare questo tema nel loro libro.

L’idea fondamentale del libro è infatti di ricorrere all’evoluzione non solo come teoria, ma anche come metodo di analisi. L’approccio evoluzionistico non è semplicemente un metodo di ricerca adatto all’interpretazione della diffusione e diversificazione delle forme di vita sul pianeta, ma è anche utilizzabile come generatore di metafore applicabili al progresso tecnologico. L’approccio evoluzionistico mira infatti a ricostruire le cause e le traiettorie dei processi di trasformazione e, ridotto ad una forma semplificata, si basa sulla comparsa di mutazioni (variazione), diffusione/trasmissione di informazione (ereditarietà) e definizione di quali parametri decidono il successo differenziale delle mutazioni (selezione). Portato a livello della tecnologia, l’approccio evoluzionistico permette quindi di analizzare le componenti strutturali della spinta innovativa (intese come capacità di immaginare/vedere qualche cosa che ancora non esiste),  di identificare il contesto abilitante per avere la liberà di innovare e di disporre della capacità di competere nel mercato per far risultare di successo la propria idea.

Possiamo quindi cercare di capire perché alcune tecnologie hanno avuto grande successo, così come le caratteristiche (non casuali) degli ambienti in cui queste innovazioni sono state concepite. Questa considerazione mi ha richiamato alla memoria un altro libro di grande interesse dal titolo “La geografia del genio” (Bompiani, 2016) in cui  il geografo e storico Eric Weiner esamina le connessioni, anche le più inaspettate, tra l’ingegno e l’ambiente in cui si sviluppa.

Come ben sottolineato da Pievani e De Biase, l’approccio evoluzionistico è direttamente implicato nello studio delle tecnologie, perché la tecnologia fa parte di quelle forme di cultura che costituiscono una parte integrante dell’ambiente in cui viviamo. La tecnologia o forse dovremmo dire le tecnologie sono infatti una parte fondamentale e irrinunciabile di quella che l’archeologo Francesco d’Errico ha chiamato la nicchia eco-culturale  in cui l’uomo vive e che l’uomo continuamente plasma. Tenendo però conto del fatto che la storia delle tecnologie umane va oggi ricompresa in un contesto ecologico molto ampio che spazia dagli andamenti climatici alla biogeografia umana (passando per gli andamenti demografici e la struttura delle popolazioni) e che sono molteplici le tecnologie,  estremamente diversificare ed eterogenee saranno le nicchie eco-culturali in cui l’uomo vive ed è vissuto.

Un ulteriore aspetto che Pievani e De Biase affrontano è legato al fatto che la tecnologia è parte stessa della nostra evoluzione quando diventa strumento per modificare la nostra biologia.  Leggendo giornali e riviste non si può non pensare alla rivoluzione associata al sistema CRISPR che ci permetterà (ben prima del previsto) di introdurre modificazioni genetiche (anche ereditabili!) nel nostro genoma. Quelle tecnologie che sono il frutto della nostra evoluzione culturale (e biologica se si pensa all’evoluzione del nostro cervello e delle nostre abilità cognitive), divengono quindi strumenti tramite cui noi, per via tecnologica, diventiamo fattore di cambiamento evolutivo diretto non solo di noi stessi, ma anche per altre specie viventi, sia animali che vegetali.

Studiare la nicchia eco-culturale dell’uomo vuole quindi dire integrare i dati ecologici con la comprensione degli ambienti culturali e sociali in cui viviamo. In questo caso quindi non esiste più una chiara distinzione tra l’ambiente umano artificiale e quello comunemente inteso come ambiente naturale che vengono quindi concepiti come un tutt’uno non più districabili l’uno dall’altro.

Un numero crescente di scienziati ha fatto proprio il termine antropocene, divulgato dal premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen per definire l’epoca geologica in cui viviamo allo scopo di sottolineare l’elevato impatto dell’uomo sull’ambiente e le altre specie. Sebbene questa scelta non mi sia molto gradita, penso tuttavia che rispecchi invece molto bene l’azione dell’uomo sulla propria nicchia in termini eco-culturali.

L’evoluzione e il futuro hanno un elemento in comune: non si possono prevedere. A differenza dell’evoluzione però il futuro possiamo provare ad inventarlo, responsabilmente… tanto più se vorremo sfruttare le nuove potenzialità manipolatorie del DNA che già oggi vediamo concretizzarsi.