Religione, evoluzione e socialità

Uno studio antropologico sembra confermare il ruolo della religione nell’incoraggiare la prosocialità fra gli appartenenti a una comunità

L’origine delle religioni e delle loro pratiche rappresenta un affascinante oggetto di studio per tutti quegli antropologi, biologi evolutivi e storici che, escludendo l’elemento sovrannaturale, si sono chiesti e continuano a chiedersi che ruolo abbiano giocato le fedi religiose nello sviluppo della società umana così come la conosciamo oggi.

Alcuni studi partono dai nostri antenati Neanderthal, che pare seppellissero i loro morti, o addirittura da altri animali come gli elefanti, che non restano indifferenti di fronte ai resti dei loro simili. Per quanto riguarda Homo sapiens, esistono diverse idee in merito. C’è chi sostiene che le religioni si siano evolute per selezione naturale – o forse sarebbe meglio chiamarla culturale – grazie ai vantaggi adattativi che hanno fornito alle società umane, per esempio la paura di una punizione sovrannaturale come stimolo per la cooperazione. Altri studiosi ritengono invece che le religioni siano un prodotto secondario dell’evoluzione umana, innescato dallo sviluppo di un grande cervello e dal conseguente emergere della coscienza. Altri ancora hanno suggerito un approccio pluralista che comprende dinamiche adattative e non adattative. Stephen Jay Gould, per esempio, era convinto che la religione fosse un esempio di exaptation, cioè un processo sviluppatosi come sottoprodotto di una serie di funzioni cognitive che ha poi acquisito un peso rilevante nell’evoluzione per selezione naturale.

Uno degli elementi più ricorrenti in questo ambito di studio è l’associazione fra religiosità e diversi comportamenti prosociali – altruismo, empatia, reciprocità, equità, condivisione e comportamenti diretti a beneficiare gli altri – che avrebbero giocato un ruolo importante nello sviluppo socioculturale della nostra specie. Non è chiaro però se le religioni abbiano effettivamente favorito la prosocialità; gli studi empirici fatti a questo riguardo hanno dato risultati discordanti, forse anche a causa di alcuni limiti metodologici, mentre gli studi basati su un approccio più naturalistico e quantitativo hanno sì evidenziato una tendenza alla generosità e alla cooperazione verso i co-religiosi, ma tali atteggiamenti erano misurati in termini esclusivamente economici, escludendo quindi tutta una serie di altri aspetti comportamentali.

Per cercare di ovviare a questi problemi, Eleanor A. Power, antropologa al Santa Fe Institute, ha studiato la relazione fra le pratiche religiose e la rete di supporti sociali in due villaggi di circa 400 abitanti ciascuno del Tamil Nadu, nell’India meridionale. Entrambi i villaggi sono a maggioranza indù, ma includono anche cattolici, protestanti ed evangelici cristiani. I rapporti sociali sono stati analizzati usando una serie di modelli statistici chiamati exponential random graph models (ERGMs), particolarmente adatti per studiare reti sociali.

In questo modo, Power ha scoperto che gli individui più dediti alla fede e alle celebrazioni religiose – che in alcuni casi possono essere dispendiose in termini di tempo ed energie – sono anche più propensi sia a fornire supporto alle altre persone, sia a ottenerne in virtù della reciprocità dei rapporti sociali che hanno costruito. Sembra inoltre che gli individui religiosi siano percepiti come una fonte affidabile di aiuto a prescindere dal tipo di supporto, che può essere di tipo emotivo o economico, può esprimersi come consigli o amicizia.

Non tutte le pratiche religiose sono uguali, però. Una in particolare, pur confermando una generale associazione fra religiosità e aumento della prosocialità, ha mostrato alcune differenze nel tipo di relazioni e di supporto. Si tratta della possessione da parte della divinità, una credenza diffusa fra gli abitanti di fede induista. La tendenza a cercare supporto da individui considerati posseduti, sebbene ritenuti spiritualmente puri e dotati di un’ardente devozione religiosa, è minore rispetto alle altre forme analizzate. Ciò può essere dovuto alla forte associazione fra possessione e appartenenza a strati sociali bassi, dando quindi adito a possibili fenomeni di marginalizzazione sociale o al fatto che forme di supporto più caratteristiche di persone di alto stato sociale non vengano richieste ai “posseduti”.

Al netto delle differenze e delle sfumature, lo studio di Power, pubblicato su Nature Human Behaviour e frutto di venti mesi di lavoro sul campo, fornisce un solido contributo allo studio delle origini evolutive delle religioni, grazie a un approccio che ha consentito di studiare la rete di rapporti sociali in un contesto di vita reale e non in ricostruzioni empiriche principalmente basate su teorie economiche. E, in questo contesto, sembra che l’ipotesi secondo cui la pratica religiosa è associata a un aumento della prosocialità abbia ricevuto un’importante conferma.