Scoperto in Libia l’antenato dei coccodrilli americani

I coccodrilli americani avrebbero origine africana. La scoperta grazie allo studio di un fossile rinvenuto in Libia e analizzato da paleontologi italiani

Durante gli anni ’30 del secolo scorso alcuni importanti geologi e paleontologi italiani dell’epoca, Ardito Desio, Giuseppe Stefanini e Carlo Petrocchi, furono protagonisti di diverse spedizioni scientifiche in Libia in una località del Sahara settentrionale chiamata As Sahabi. Durante le esplorazioni, Carlo Petrocchi condusse numerosi scavi che portarono alla luce un gran numero di fossili appartenenti a mammiferi, pesci e rettili, tra cui cinque crani di coccodrillo perfettamente conservati. I fossili vennero dapprima portati a Bengasi e nel 1939 furono trasferiti al Museo di Storia Naturale di Tripoli dove Petrocchi divenne direttore. Un anno dopo, in pieno periodo fascista, a Napoli venne organizzata l’imponente esposizione “I Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare” per celebrare l’espansione politica ed economica del regime sui mari e nelle cosiddette terre d’oltremare. Per l’occasione, Petrocchi fu incaricato di trasferire in Italia diversi fossili di As Sahabi, tra cui due dei cinque crani di coccodrillo, affidati in seguito alla Prof.ssa Angiola Maria Maccagno di Roma per essere studiati.

Purtroppo, con il perdurare della guerra molti reperti conservati al Museo di Tripoli andarono dispersi o furono danneggiati, tanto che per i fossili di coccodrillo si ignora ancora oggi la collocazione e il loro grado d’integrità. Una sorte anche peggiore la subirono i materiali giunti a Napoli per l’esposizione, molti infatti andarono persi a causa dei bombardamenti e dei saccheggi. Dei coccodrilli fossili di As Sahabi rimasero quindi solo i due esemplari trasferiti a Roma. Questo fino ai primi anni ’50, quando di uno di questi crani si persero le tracce.

A quasi un secolo di distanza dalla scoperta, un gruppo di paleontologi italiani ha ripreso lo studio dell’unico “superstite” di questa collezione custodito presso il Museo Universitario di Scienze della Terra (MUST) della Sapienza di Roma. L’esemplare è stato identificato come Crocodylus checchiai ed è attualmente il cranio meglio conservato di questa specie vissuta nel Miocene (oltre 7 milioni di anni fa) in Africa, quando il Sahara era un territorio molto diverso da come appare oggi, popolato da grandi mammiferi, ricco di vegetazione e corsi d’acqua.

Dato il valore storico/scientifico del fossile, i ricercatori hanno condotto analisi non invasive presso l’Ospedale M. G. Vannini di Roma, impiegando le scansioni tomografiche per ottenere dettagliate immagini 3D sia dell’interno, sia dell’esterno del cranio. Le dimensioni di quest’ultimo, hanno permesso di stabilire l’età adulta dell’individuo e di stimare a poco più di 3 metri la sua lunghezza totale. Sono stati quindi raccolti dati di questa e di molte altre specie attuali e fossili con lo scopo di realizzare un’analisi filogenetica, ovvero, ricostruire la storia evolutiva di questo gruppo attraverso il confronto delle caratteristiche anatomiche per mezzo di specifici software.

Cranio di Crocodylus checchiai conservato al MUST (Museo Universitario di Scienze della Terra), Sapienza Università di Roma. Foto di Bruno Mercurio

Lo studio appena pubblicato, dimostra come il coccodrillo di As Sahabi condivida con le specie americane numerose particolarità anatomiche che lo collocano alla base dell’albero evolutivo dei coccodrilli americani, come antenato del genere Crocodylus in America. Questo nuovo risultato, trova conferme anche da un punto di vista cronologico. Nel Nuovo Mondo infatti, i fossili più antichi di Crocodylus risalgono all’inizio del Pliocene (5 milioni di anni fa) risultando ben più recenti della specie studiata. è quindi possibile che durante il Miocene alcuni esemplari di C. checchiai (o una forma affine e ancora sconosciuta) abbiano attraversato l’Oceano Atlantico approdando sulle coste del sud America dove si sono adattati e diversificati. L’attraversamento di un così ampio tratto di mare, che nel Miocene era comunque più breve di oggi, potrebbe apparire sorprendente, ma tra i coccodrilli attuali esistono specie in grado di tollerare l’elevata salinità dell’acqua marina e di compiere ampi spostamenti in mare aperto sfruttando le correnti di superficie. Studi con tracciamento satellitare condotti su alcuni esemplari di coccodrillo marino australiano (Crocodylus porosus), hanno rivelato come, sfruttando le correnti, questi rettili siano in grado di percorrere in diversi giorni oltre 500 km in mare aperto. I risultati di questo studio aiutano quindi a ricostruire la storia evolutiva e la paleobiogeografia dei coccodrilli, vale a dire le modalità e i tempi con i quali questi rettili hanno colonizzato i diversi continenti raggiungendo la loro attuale distribuzione geografica.

Il coccodrillo di As Sahabi, non rappresenta pertanto solo uno straordinario fossile in grado di svelarci antichi segreti della storia evolutiva dei coccodrilli, ma è da un lato testimone delle grandi esplorazioni scientifiche di cui fu protagonista l’Italia della prima metà del ‘900, e dall’altro memoria dello straordinario patrimonio naturalistico e culturale della Libia, da troppo tempo devastata da scontri e disordini geopolitici.  

Riferimento:
Delfino, M., Iurino, D.A., Mercurio, B. et al. Old African fossils provide new evidence for the origin of the American crocodiles. Sci Rep 10, 11127 (2020). https://doi.org/10.1038/s41598-020-68482-5

Immagine d’apertura: 

Ricostruzione dell’esemplare di Crocodylus checchiai proveniente dal sito paleontologico di As Sahabi (Libia, Miocene). Ricostruzione di Dawid A. Iurino.