Se trovo un fossile di ominide posso essere automaticamente sicuro che sia un nostro antenato?

Il fossile potrebbe essere un antenato degli scimpanzé odierni, o dei gorilla, o ancora un esponente di un piccolo gruppo estinto. Non molti anni fa – fa notare Wood – i paleontologi avrebbero guardato “di traverso” un collega che parlasse di uno scimpanzé fossile: tutti i resti degli “ominini” (hominins, la “tribù” biologica di cui facciamo parte) venivano letti in

Il fossile potrebbe essere un antenato degli scimpanzé odierni, o dei gorilla, o ancora un esponente di un piccolo gruppo estinto.

Non molti anni fa – fa notare Wood – i paleontologi avrebbero guardato “di traverso” un collega che parlasse di uno scimpanzé fossile: tutti i resti degli “ominini” (hominins, la “tribù” biologica di cui facciamo parte) venivano letti in funzione della loro vicinanza o meno all’uomo moderno. Solo nel 2005 (!) Sally McBrearty e Nina G. Jablonski hanno comunicato su Nature l’identificazione del primo scimpanzé fossile (genere Pan), che viveva nello stesso territorio di una specie del genere Homo estinta (Rift Valley dell’Africa orientale).

La nostra specie – come ormai sappiamo e come Wood fa notare – è un esile ramoscello su un cespuglio estremamente ramificato. Se l’evoluzione in molti casi procede per “esplosioni” che danno origine a tante piccole popolazioni di individui unici nelle quali si originano e si disseminano miriadi di piccole e grandi novità, allora trovando un fossile di un hominin ci sono almeno tre tipi di possibilità da considerare sulla popolazione di cui faceva parte:

– potrebbe (ma quanto è probabile?) fare effettivamente parte del pedigree di Homo sapiens, e noi oggi – retrospettivamente! – potremmo dunque vederla come una delle tappe fondamentali verso l’evoluzione della nostra specie;
– oppure potrebbe essersi poi estinta senza lasciare discendenti, o essere riconfluita in qualche gruppo più grande: una sorta di “vicolo cieco” o di “tentativo evolutivo” andato a vuoto, ma naturalmente simile a tutte le popolazioni contemporanee;
– infine, potrebbe fare invece parte del pedigree degli scimpanzé, o anche dei gorilla: una popolazione poco differente dal nostro gruppo antenato comune. Dopotutto noi non deriviamo dalle scimmie, bensì abbiamo con loro una popolazione antenata comune. Da quella popolazione, anche il percorso evolutivo verso le scimmie moderne deve essere stato accidentato, pieno di ramificazioni e di vicoli ciechi, con cambiamenti ampi o lievi. E durante i primi periodi, quelli del tempo più profondo, non dovevano essere così marcate le differenze tra le popolazioni che hanno poi portato a Homo sapiens, ai gorilla e agli scimpanzé.

Ascoltando Bernard Wood affrontare con naturalezza questi discorsi con paleontologi esperti e in formazione, mi sembra di poter dire che in questi anni la paleoantropologia ha fatto proprie e trasformato in risorsa le critiche costruttive ricevute riguardo a modi troppo semplicistici di ricostruire e raccontare le storie dei nostri lontani antenati e dei nostri vicini parenti (si veda il libro di Henry Gee, Tempo profondo).

Nei prossimi giorni continueremo a seguire le lezioni del prof. Wood e vi terremo aggiornati.

Emanuele Serrelli

Bernard Wood, professore di “Human Origins” al Dipartimento di Antropologia dell’Università di Washington, è ospite abituale del prof. Jacopo Moggi (http://www.unifi.it/dbalan/CMpro-v-p-45.html) e dei paleontologi Fiorentini, che ogni anno lo invitano a portare oltre agli sviluppi più recenti in campo paleoantropologico la sua autorevole esperienza: anatomista di formazione, Bernard Wood partecipò alla metà degli anni Settanta alle spedizioni di Richard Leakey, che portarono a un’esplosione dei ritrovamenti fossili e alla fine a una radicale ristrutturazione del nostro modo di ricostruire le nostre origini. La pagina web di Wood (http://home.gwu.edu/~bwood/) contiene i riferimenti bibliografici alla sua ampia e illustre produzione scientifica. In particolare si consigliano il libro Human Evolution: A Very Short Introduction (2005, Oxford University Press, New York) e il recentissimo numero di aprile 2008 del Journal of Anatomy (http://www.blackwell-synergy.com/toc/joa/212/4), da lui curato, che contiene aggiornatissimi paper tratti da un simposio tenutosi ad Oxford nel 2007.

Altri riferimenti:

– McBrearty, S, Jablonski, NG (2005), “First fossil chimpanzee“, Nature 437, pp. 105-108.

– Gee, H. (2001), Deep time, Fourth Estate; trad. it. Tempo profondo, Codice Edizioni, 2006.