Seguendo le orme di Homo sapiens: un viaggio lungo sei milioni di anni

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Pikaia ha letto per voi “Il giro del mondo in sei milioni di anni” scritto da Guido Barbujani e Andrea Brunelli (Il Mulino)

La tendenza a spostarci accompagna la nostra specie da sei milioni di anni ovvero sin dalla nostra origine siamo migrati verso altri luoghi e ci siamo incrociati con chi abbiamo incontrato per cui sebbene differenti… siamo tutti parenti

A partire dagli anni ’80 del secolo scorso la genetica ha fornito numerosi dati utili per capire l’origine e la successiva diffusione planetaria della nostra specie. Nel corso degli ultimi dieci anni la mole di dati con cui analizzare la nostra storia è andata rapidamente crescendo grazie alla disponibilità di migliaia di genomi nucleari moderni completamente sequenziati e alla possibilità di studiare, con crescente successo, i DNA antichi, intesi come sequenze di DNA ottenute da resti ossei generalmente oggetto di studio dei soli antropologi fisici.

La disponibilità di questa ampia mole di dati ha confermato l’origine africana della nostra specie collocandola a circa 200.000 anni or sono, così come è divenuta sempre più supportata l’idea che una crescente instabilità climatica abbia progressivamente spinto i nostri antenati a migrare al di fuori dell’Africa per sfuggire ad ambienti divenuti progressivamente più aridi. In particolare, le oscillazioni climatiche e i cambiamenti ambientali che ne sono derivati avrebbero letteralmente funzionato come una sorta di “pompa” che spingeva le popolazioni umane fuori dall’Africa. Quali rotte sono state seguite? Cosa è accaduto ai nostri antenati una volta usciti dall’Africa?

Le risposte che genetisti e antropologi hanno fornito a questi quesiti sono numerose e talvolta differenti (per non dire contradditorie), per cui può essere utile avvalersi di una guida e Esumim può essere l’uomo giusto per voi. Esumim (nome che deriva dall’espressione Esseri umani in movimento) è la guida immaginaria che Guido Barbujani e Andrea Brunelli, genetisti dell’Università di Ferrara, hanno immaginato, nel loro libro “Il giro del mondo in sei milioni di anni” (Il Mulino, 2018), come longevissimo testimone oculare per guidare il lettore alla scoperta della storia dell’uomo e del contributo che la genetica ha dato in tale campo di ricerca. Ricostruire la storia della nostra specie non è una operazione semplice, ma per fortuna “oggi abbiamo imparato ad estrarre il DNA da reperti fossili, purché non siano troppo vecchi e si siano conservati bene”.

Integrando tutti i dati disponibili, tra cui anche i preziosissimi DNA antichi, possiamo provare a guardare in profondità nella nostra storia e proporre dei modelli di distribuzione delle popolazioni umane nel corso del tempo. “Il lavoro dei genetisti < scrivono Barbujani e Brunelli >  consiste nel ragionare sui dati e proporre modelli che li possano spiegare. Ci si aiuta con quanto ci dicono gli archeologi, i paleontologi e i linguisti, si formulano ipotesi che prevedono come debbano essere le differenze tra individui e popolazioni (..) e si confrontano poi le previsioni dei modelli con i dati ottenuti dal sequenziamento dei campioni e si va a vedere quale modello ci sia arrivato più vicino e quindi sia più probabile”.

Ciò che i dati ci dicono è che circa 60.000 anni or sono, un gruppo di nostri antenati se ne è andato dall’Africa lungo una rotta settentrionale, qualcun altro probabilmente ha seguito invece una via più a sud (su Pikaia ne avevamo parlato qui) e generazione dopo generazione la nostra specie ha raggiunto tutti gli angoli del pianeta. Come Barbujani e Brunelli ben descrivono, questa non è tuttavia una peculiarità esclusiva della nostra specie perché “l’umanità, fin da prima di essere sapiens, è sempre stata in movimento e i risultati delle migrazioni e degli scambi si vedono nel nostro DNA, in cui coesistono, oggi come ieri e l’altro ieri, i contributi di antenati di tante origini diverse”.

Il libro di Barbujani e Brunelli, capitolo dopo capitolo, vi porta quindi a ripercorrere l’origine del genere Homo, la comparsa dei diversi ominini oggi noti e la successiva diffusione della nostra specie, ricorrendo alla letteratura scientifica più recente, senza però nascondere il fatto che non sempre i dati ottenuti possono essere considerati la base di uno scenario interpretabile in modo univoco. Ne è un ottimo esempio l’incrocio tra Sapiens e Neanderthal suggerito da Svante Pääbo, ma ancora oggi oggetto di discussione (su Pikaia ne avevamo parlato qui). “In nessun campo meglio che nell’evoluzione umana <scriveva Pievani nell’introduzione del libro La specie imprevista di Henry Gee> vale il principio secondo cui più scoperte facciamo, più informazioni raccogliamo, più raffiniamo i modelli e più ci accorgiamo di quanto cose ancora non sappiamo. La scienza è quella forma unica di sapere in cui i punti di domanda aumentano anziché diminuire. (..) Il risultato è uno <stupore senza fine>”.

Il giro del mondo in sei milioni di anni” si muove nel tempo e tra i diversi continenti in modo celere (a volte forse troppo per il lettore non abituato a così impegnative distanze concentrate in poche pagine), ma il quadro che ne esce è molto chiaro: sebbene sia indubbio che negli ultimi cinque secoli i flussi migratori abbiano raggiunto livelli senza precedenti, in termini sia di distanze coperte che di quantità di persone che si spostano, questo accade perché ancora oggi l’uomo risponde a carestie e difficoltà facendo la stessa scelta che i nostri antenati hanno fatto da sempre: migrare verso luoghi migliori.

Prendere atto di questa verità storica potrebbe da un lato aiutarci a capire meglio il presente e dall’altro obbligare anche i lettori più ostili a capire che la combinazione di questi continui flussi migratori con l’età “giovane” della nostra specie porta inequivocabilmente al fatto che non vi sono evidenze utili per supportare l’esistenza delle razze umane. Come già fatto in altri precedenti libri, Barbujani (in questa occasione con il supporto di Brunelli) ribadisce che la genetica nega l’esistenza di razze e supporta invece l’idea di un flusso continuo di popolazioni che si sono “mescolate” rendendo quindi impossibile l’identificazione di razze di alcun tipo in alcun continente (qui una bella intervista di Barbujani sul tema razze e migrazioni e qui il bellissimo video “Sono razzista ma sto cercando di smettere”).

Oggi si fa un gran parlare di radici e dei diritti che deriverebbero dall’averle in un posto e non nell’altro < scrivono Barbujani e Brunelli>, ma basta abbassare gli occhi (…) per rendersi conto che in fondo alle gambe non abbiamo radici, ma piedi”, piedi che ci hanno permesso di “arrivare a conoscere luoghi, persone e culture diverse, imparando e trasmettendo qualcosa di noi a ogni scambio”.

C’è chi ha scritto che la nostra è stata da subito una specie curiosa e irrequieta con un forte desiderio di scoprire luoghi nuovi, c’è chi ha suggerito invece che i gruppi umani semplicemente fuggissero da ambienti divenuti troppo popolosi o poveri di cibo. “Il giro del mondo in sei milioni di anni” di Barbujani e Brunelli ci ricorda che, indipendentemente dalla causa che ha spinto i nostri antenati a migrare, nel corso degli ultimi 60.000 anni abbiamo avuto radici in tanti luoghi diversi e che i nostri piedi non hanno portato in giro solo i nostri geni, ma anche le nostre lingue e culture. Mescolarsi è stato quindi utile o se preferite “essere bastardi ci ha fatto bene” perché, prendendo in prestito e integrando il titolo di un bellissimo libro di James Clifford… i frutti puri impazziscono, mentre gli ibridi lussureggiano.