Sequenziato il genoma del narvalo: la poca diversità è un potenziale problema per la specie

Mappato il genoma del narvalo, “l’unicorno” dei mari artici. Nonostante il grande numero di individui di cui è composta la specie, i dati evidenziano una bassa, e potenzialmente pericolosa, diversità genetica

Il genoma del narvalo (Monodon monoceros) è stato sequenziato. Dal lavoro, pubblicato su iScience, emerge una bassa diversità genetica nelle popolazioni di questo cetaceo endemico dei mari artici. Dato apparentemente in contrasto con la grande dimensione delle popolazione, che pone interrogativi sulla reale capacità della specie di adattarsi ai cambiamenti ambientali.

Il narvalo è un cetaceo endemico delle acque artiche, la cui popolazione è stimata nel numero di circa 170 mila individui. Quest’abbondanza ha indotto la IUCN (l’organizzazione internazionale che stabilisce il rischio di estinzione per ciascuna specie) a classificare la specie come “least concern” il livello minimo di rischio estinzione per la specie. I nuovi risultati stridono con questa classificazione: è infatti noto che la variabilità genetica è uno degli elementi che permette alle specie di adattarsi a repentini cambiamenti ambientali.

In realtà, indizi sulla scarsa varianza interna alle popolazioni di narvalo erano già stati raccolti in passato da studi sul DNA mitocondriale. Questa volta, però, i ricercatori (provenienti da: Museo di Storia Naturale e Università di Copenhagen, Istituto di Storia naturale della Groenlandia e la AIMST University di Kuala Lumpur, Malesia) hanno sequenziato l’intero genoma nucleare della specie ricorrendo alla tecnica dell’assemblaggio genomico: una tecnica che permette di ricostruire l’intero genoma partendo da molti piccoli frammenti di DNA complementari. Ottenuta la mappatura completa hanno quindi proceduto all’analisi del livello di eterozigosi nei cromosomi non sessuali. In altre parole hanno verificato il livello di diversità presente all’interno del genoma per le coppie di cromosomi non sessuali, rilevando che gli indici per questa specie sono sensibilmente e significativamente inferiori rispetto a quanto rilevato per specie affini, come ad esempio i beluga (Delphinapterus leucas).

Solitamente, livelli di bassa eterozigosi nelle popolazioni sono associati a fenomeni di accoppiamento tra consanguinei (inbreeding o inincrocio), ma non sembra essere questo il caso. Infatti, quando sono stati analizzati gli indicatori genomici tipici dell’inbreeding la statistica ha restituito valori poco compatibili con questa ipotesi. L’ipotesi più verosimile, a questo punto, vede la causa di questa convivenza tra poca variabilità genomica e grande dimensione della popolazione in eventi ambientali risalenti a circa 115 mila anni fa. L’alba dell’ultima glaciazione potrebbe aver creato le condizioni perché le piccole popolazioni di narvalo crescessero in numero, senza che la variabilità genetica seguisse la tendenza demografica.

La bassa variabilità genetica è universalmente riconosciuta come un fattore potenzialmente in grado di compromettere a sopravvivenza delle specie nel lungo termine, limitandone la capacità di adattarsi a rapidi mutamenti ambientali. Lo stato di “least concern” potrebbe quindi essere troppo ottimista per questo cetaceo, fanno notare glia autori. Anche considerando la limitatissima diffusione geografica dell’animale che, a differenza di altre specie come il beluga, si ritrova solo nelle acque atlantiche dell’artico, senza neanche toccare il vicino oceano pacifico.

Riferimenti:
Michael V. Westbury et al. Narwhal Genome Reveals Long-Term Low Genetic Diversity despite Current Large Abundance Size. iScience, published online May 1, 2019; doi: 10.1016/j.isci.2019.03.023