Sette brevi fatti sull’epigenetica

Oggi sappiamo che oltre al DNA è possibile ereditare alcune modifiche al sistema di regolazione del DNA che si registrano nel corso della vita di un individuo: quali conseguenze comporta dunque l’ereditarietà epigenetica per la teoria dell’evoluzione darwiniana?

Le cellule del nostro corpo devono riprodursi continuamente e le figlie devono continuare a svolgere le funzioni che svolgevano le madri. I meccanismi epigenetici fanno sì che questo passaggio avvenga correttamente. “Epi”, dal greco, significa ciò che sta sopra, e l’epigenetica include tutti quei meccanismi di regolazione dell’espressione genica che consentono a una cellula di leggere le porzioni di DNA utili a svolgere le specifiche funzioni cui essa è preposta. I meccanismi epigenetici regolano non solo il processo di differenziamento e riproduzione cellulare, ma anche l’interazione tra geni e ambiente. Siamo sempre stati abituati a pensare che ciò che ereditiamo dai nostri genitori sia solo il patrimonio genetico. Oggi sappiamo che oltre al DNA è possibile ereditare alcune modifiche al sistema di regolazione del DNA che si registrano nel corso della vita di un individuo: quali conseguenze comporta dunque l’ereditarietà epigenetica per la teoria dell’evoluzione darwiniana?

Ciascun individuo è portatore di uno specifico corredo genetico contenuto in tutti i nuclei delle cellule del suo corpo. Eppure in ciascun organismo esistono diversi tipi di cellule: neuroni, cellule della pelle, cellule muscolari, cellule del tessuto connettivo, ciascuna delle quali ha peculiari caratteristiche e assolve a funzioni specifiche. Come è possibile dunque che si generino cellule diverse a partire dal medesimo corredo di informazioni genetiche?

Il documentario di divulgazione scientifica “Epigenetica – come il nostro corpo memorizza il mondo” (realizzato dagli studenti della Civica Scuola di Cinema di Milano, diretto dal regista Paolo Turro e vincitore nel 2016 del premio Best Student Documentary al RAW Science Film Festival di Los Angeles) propone una calzante metafora: il DNA è un manuale di istruzioni che, per costruire diversi tipi di cellule, viene letto in modi diversi. Si possono leggere alcuni capitoli e non altri, il testo si può sottolineare, cancellare e sovrascrivere. I meccanismi di regolazione epigenetica fanno esattamente questo: se il genoma è un libro intonso, l’epigenoma è l’insieme di appunti, etichette e sottolineature che servono a ricordare i punti salienti da andare a recuperare.

“Epi”, dal greco, significa ciò che sta sopra e l’epigenetica include tutti quei meccanismi di regolazione dell’espressione genica (quelle note appuntate sul DNA) che consentono a una cellula (neuronale o muscolare che sia) di leggere le porzioni di DNA utili a svolgere le specifiche funzioni cui quella cellula è preposta.

1. Etichette
I meccanismi epigenetici sono molti. La metilazione ad esempio comporta l’aggiunta di una specifica molecola, chiamata gruppo metile, al DNA; ma esiste anche la fosforilazione, l’acetilazione e ancora la sumoilazione, la citrullinazione, la biotinilazione, la ubiquitinazione e molte altre ancora. Ciascuna può servire a leggere (esprimere) o cancellare (silenziare) determinati geni. Inoltre questi meccanismi non agiscono soltanto sul DNA: possono agire anche sulle proteine, gli istoni, che servono a “impacchettare” il DNA nel nucleo della cellula. L’acetilazione ad esempio può agire su quelle parti sporgenti degli istoni (code istoniche) ottenendo l’effetto di rilassare la struttura compatta del DNA (cromatina) e favorendone la trascrizione. Questo processo prende il nome di modificazione istonica.

2. Memoria cellulare
Nel processo di riproduzione cellulare, che avviene di continuo nel nostro corpo, alcune di queste modificazioni epigenetiche vengono mantenute e gli epigeni contenuti nella cellula madre vengono trasmessi alla cellula figlia. È così che da una cellula muscolare nasce un’altra cellula muscolare e non una cellula neuronale o una cellula indifferenziata. Tale meccanismo viene chiamato memoria cellulare ed è cruciale per la sopravvivenza di un organismo: se questo procedimento non avviene correttamente la cellula figlia adotterà un comportamento sbagliato che può portare anche alla formazione di un tumore.

3. Farmaci epigenetici
Oggi la medicina sta lavorando sullo sviluppo di farmaci epigenetici, capaci cioè di agire sul sistema di etichette poste sul DNA di una cellula. Ci si è resi conto infatti che lo sviluppo di un’anomalia può partire non necessariamente da una modifica del DNA, bensì da una modifica del sistema di lettura del DNA. Oggi esistono farmaci che inibiscono gli enzimi responsabili di alcune modifiche istoniche (deacetilasi istoniche). Si usano ad esempio per combattere la distrofia muscolare di Duchenne, per alcune leucemie e per diverse patologie del sistema nervoso. Anche a questo sta lavorando oggi EPIGEN, il progetto bandiera epigenomica del CNR, diretto da Giuseppe Macino, che coordina 70 laboratori nazionali e che forma circa un centinaio di giovani ricercatori all’utilizzo di nuove tecnologie bioinformatiche necessarie all’elaborazione e all’analisi dell’enorme mole di dati prodotti dalle analisi sull’epigenoma.

4. Riprogrammazione cellulare
Il premo Nobel per la medicina e la fisiologia del 2012 è stato assegnato a John B. Gurdon e Shinya Yamanaka per i loro studi sulla riprogrammazione cellulare: erano riusciti a riprogrammare cellule somatiche adulte e a farle regredire a uno stadio di sviluppo precedente, quello di cellule staminali pluripotenti. Grazie a tecniche simili quest’anno sono stati clonati 2 macachi (Zhong Zhong e Hua Hua). Nel 1996 si era riusciti a clonare la pecora Dolly, ma un tale risultato non era mai stato ottenuto con dei primati.

5. Alimentazione
Questi ed altri studi hanno dimostrato che una modifica dell’epigenoma è dunque reversibile. L’epigenoma è un sistema che cambia continuamente nel corso della vita di un individuo e che reagisce rapidamente all’influenza dell’ambiente. Il bruco e la farfalla sono lo stesso organismo, possiedono lo stesso DNA, eppure esibiscono fenotipi diversi in diverse fasi dello sviluppo: il genoma resta lo stesso, ma l’epigenoma cambia. L’ape operaia, il fuco e l’ape regina di un alveare hanno lo stesso DNA, ma sono nutriti in maniera diversa (la regina mangia la pappa reale) e queste differenze ambientali si ripercuotono a livello morfologico, comportamentale e dunque a livello epigenetico. All’interno di un medesimo formicaio, le formiche hanno lo stesso DNA, ma possono essere soldato o operaie, con fenotipi morfologici e comportamentali diversi. Uno studio pubblicato su Science nel 2016 ha trovato che alcune di queste differenze comportamentali dipendono dall’alimentazione, la quale a sua volta si riflette in differenti pattern epigenetici di acetilazione istonica di alcuni geni di cellule neuronali. I ricercatori, agendo sui pattern di acetilazione di certe regioni del DNA, sono riusciti a far acquisire alle formiche soldato comportamenti alimentari da formiche operaie.

6. Dai genitori ai figli
Le esperienze di vita si riflettono sui nostri epigenomi e gli effetti della dieta ne sono un esempio. Alcuni studi avevano già mostrato che nei topi l’alimentazione della madre può determinare differenze fenotipiche permanenti nei suoi piccoli attraverso la metilazione del DNA. Ma qualcosa di simile è stato osservato anche nell’uomo.
Nell’inverno del 1944, negli ultimi mesi prima della fine della seconda guerra mondiale, l’esercito tedesco bloccò l’accesso ai rifornimenti in alcuni territori e l’Olanda rimase colpita da una terribile carestia. I figli delle madri incinte che si ritrovarono a mangiare 580 kcal al giorno presentavano pattern di metilazione correlati a problemi di natura cardiovascolare. Fin qui niente di strano, è ragionevole attendersi che condizioni ambientali proibitive in qualche modo si ripercuotano sulla salute. La cosa strana da capire è che anche i nipoti di quelle madri presentavano le medesime problematiche. Periodi stressanti della vita di un individuo, in questo caso delle madri, si possono ripercuotere sulle generazioni successive.
E per quanto riguarda i padri? In un esperimento pubblicato su Nature Neuroscience nel 2014, alcuni topi maschi venivano esposti a un odore di mandorla (acetofenone) e in concomitanza veniva loro data una piccola scarica elettrica. I figli e i nipoti di questi topi (anche quelli nati con fertilizzazione in vitro) nascevano con un’istintiva risposta d’ansia quando venivano esposti al medesimo odore, nonostante a loro non fosse mai stata data la scarica elettrica. Il fenotipo acquisito dal padre faceva sì che i figli nascessero con più recettori per quell’odore.
La scoperta di questi effetti epigenetici transgenerazionali è relativamente nuova nei mammiferi. Si sapeva già da un po’ di tempo invece che questi fenomeni sono piuttosto comuni nelle piante e che durano per molte più generazioni. Fiori di piante sottoposti ad ambienti aridi ad esempio generano semi che daranno vita a piante che resistono meglio a un clima arido. Si pensa che dei micro Rna raggiungano le cellule dei semi delle piante e che fissino le modificazioni epigenetiche che si trasmettono alle generazioni successive.

7. Ereditarietà ed evoluzione
In tutti questi casi sembra esserci un elemento comune: lo stress ambientale. Organismi viventi sottoposti ad ambienti difficili sviluppano contromisure adattative che vengono registrate nelle etichette epigenetiche e alcune di queste riescono ad essere trasmesse alle generazioni successive.
Detta così sembrerebbe proprio che l’ereditarietà epigenetica costituisca il meccanismo sottostante alla cosiddetta ereditarietà dei caratteri acquisiti che siamo soliti attribuire a Lamarck. Lamarck fu tra i primi a intuire che l’organismo si adatta all’ambiente su base funzionale; pensava anche che le modifiche acquisite nel corso della vita di un individuo venissero trasmesse alla discendenza. La cosa che forse può stupire è che Darwin era effettivamente Lamarckiano per ciò che nell’Origine delle specie chiamava “gli effetti dell’aumentato uso e del non uso”: “dai fatti citati nel primo capitolo penso non possa sollevarsi alcun dubbio sul fatto che l’uso, nei nostri animali domestici, abbia rinforzato e sviluppato certe parti e il non uso le abbia ridotte; e che tali modificazioni siano ereditarie” (capitolo 5, Le leggi della variazione). Darwin non era Lamarckiano invece per altri aspetti: non credeva che l’evoluzione portasse necessariamente a una crescente complessità e progresso, non credeva che l’evoluzione fosse un processo di trasformazione di individui, bensì un processo di variazione di frequenze di individui e tratti in una popolazione. Chiaramente né Darwin né Lamarck erano a conoscenza dell’esistenza del DNA, dei geni, men che meno degli epigeni.

Oggi dunque sappiamo che gli organismi viventi hanno due modi per adattarsi all’ambiente: il primo è la selezione naturale che opera sulle varianti geniche, un processo che lavora sul lungo termine, sull’intera popolazione, nel corso delle generazioni; il secondo è la cosiddetta plasticità fenotipica, ovvero la capacità che un organismo ha di adattarsi all’ambiente nel corso della propria vita, senza andare a modificare il proprio corredo genetico, ma solo modificando i pattern di espressione genica, il proprio epigenoma. Uno studio pubblicato su Nature nel 2014 ha ipotizzato che proprio la plasticità fenotipica abbia giocato un ruolo cruciale nell’origine dei tetrapodi, ovvero quei vertebrati che hanno sviluppato la locomozione terrestre a partire dai pesci ancestrali.

Sono diversi oggi i biologi evoluzionisti che ritengono che la plasticità fenotipica possa aver giocato nell’evoluzione delle specie un ruolo molto più rilevante di quanto si pensasse ai tempi della Sintesi Moderna, ovvero l’incontro tra genetica mendeliana e evoluzione darwiniana avvenuto negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. Oggi si parla della necessità di una cosiddetta Sintesi Estesa o Sintesi Inclusiva, una teoria evoluzionistica che risulti capace, tra le altre cose, di ampliare oltre i soli geni il concetto di ereditarietà. L’ossatura della teoria rimane comunque saldamente darwiniana, perché l’epigenetica non farebbe altro che ampliare, oltre i soli geni, il bacino di variazione su cui possono agire la selezione naturale e gli altri processi neo-darwiniani (deriva, migrazione, mutazione). Altri studiosi invece sono ancora cauti nell’asserire che l’ereditarietà epigenetica possa giocare un ruolo rilevante e su larga scala nell’evoluzione delle specie a fronte di processi ritenuti più rilevanti come la selezione naturale delle varianti geniche. Il dibattito è vivo e oggi, grazie all’avanzamento delle conoscenze e delle innovazioni tecnologiche, aggiungiamo nuovi tasselli a una teoria evoluzionistica sempre più aggiornata.

Da La Mela di Newton