Un continente per due

Non sono sempre le nuove scoperte a portare linfa al dibattito scientifico, a volte è guardandosi indietro e riconsiderando alcuni passi fatti in passato che una disciplina progredisce; questo è valido specialmente in Paleoantropologia dove nuove tecniche di analisi possono ribaltare l’interpretazione di reperti ormai archiviati. I resti umani trovati nella cava di Les Rois negli anni 30 del secolo

Non sono sempre le nuove scoperte a portare linfa al dibattito scientifico, a volte è guardandosi indietro e riconsiderando alcuni passi fatti in passato che una disciplina progredisce; questo è valido specialmente in Paleoantropologia dove nuove tecniche di analisi possono ribaltare l’interpretazione di reperti ormai archiviati. I resti umani trovati nella cava di Les Rois negli anni 30 del secolo scorso sono stati difatti recentemente riesaminati in uno studio svolto dal team guidato da Fernando Ramirez Rozzi del Centre National de la Récherche Scientifique di Parigi, e grazie alle nuove analisi delle differenze dentali di Homo sapiens e Homo neandertalensis svolte negli ultimi anni si è scoperto che alcuni dei ritrovamenti non sono facilmente attribuibili alla nostra specie come si era creduto in precedenza.

I resti umani in questione, datati a circa 30.000 anni fa sia tramite la tecnica del radio-carbionio sia grazie all’associazione con un’univoca documentazione Aurignaziana, constano di due mandibole e 37 denti, il tutto associato finora all’uomo anatomicamente moderno. La cultura Aurignaziana viene inoltre solitamente attribuita solo a Homo sapiens, e il sito di Les Rois è uno di quelli dove questa associazione è assolutamente non ambigua, almeno fino al riesame di Rozzi. Se difatti una delle due mandibole è stata chiaramente confermata come appartenente all’uomo anatomicamente moderno, la seconda è risultata decisamente dubbia. Caratteristiche nella forma e nello sviluppo dei denti, difatti, sembrano assegnarla perlomeno parzialmente a un giovane esemplare di Homo neandertalensis. Elemento di ulteriore interesse, questa mandibola presenta dei segni di taglio e lavorazione; Rozzi avanza tre ipotesi per spiegare questa anomalia.

La prima ipotesi è che la cava di Les Rois fosse abitata da uomini anatomicamente moderni e che quella mandibola appartenesse a un Neandertal appartenente a un’altra comunità, la lavorazione farebbe quindi intendere una consumazione del cadavere o, più probabilmente, un utilizzo rituale e simbolico di ossa e denti. I segni lasciati sulla mandibola sono simili a quelli che rimangono quando si rimuove la lingua di un bovino o di un ungulato nella macellazione, ma l’ipotesi della consumazione a scopo alimentare è difficilmente sostenibile con il solo ritrovamento delle ossa del cranio, utilizzate tipicamente per scopi rituali; inoltre, ritrovamenti dello stesso periodo e nello stesso sito di denti forati fanno pensare che fosse comune un utilizzo ornamentale per gli stessi e le fratture presenti nella mandibola sono in effetti compatibili con un estrazione intenzionale dei denti. Considerata la natura episodica del reperto è difficile immaginare uno scenario di caccia sistematica ai Neandertal da parte dell’uomo anatomicamente moderno, ed è forse è più probabile che il cadavere dal quale proveniva la mandibola sia stato ritrovato fortuitamente e quindi lavorato. L’ipotesi ad ogni modo è messa in forse da alcuni studi citati nell’articolo, che attesterebbero ad almeno 2000 anni prima la presenza delle ultime culture litiche Musteriana e Chatelperroniana (e quindi la presenza dell’uomo di Neandertal) nella regione e sembrerebbero quindi mettere in forte dubbio l’ipotesi che i due gruppi umani abbiano effettivamente convissuto in questo periodo e in questa area geografica.

La seconda ipotesi, sicuramente destinata a suscitare maggiori controversie, è che a Les Rois vivesse una popolazione sapiens che aveva ricevuto in passato un qualche contributo genetico da parte di gruppi Neandertal. Questa mandibola non sarebbe il primo reperto considerato ibrido dagli scopritori mai ritrovato, basti ricordare i resti di Lagar Veho e di Oase, ma sicuramente il più antico e pertanto la prima traccia di contatto biologico tra i due gruppi. È bene ricordare che recenti studi sul DNA mitocondriale e nucleare dei Neandertal escludono decisamente che questa specie abbia lasciato qualche contributo nel nostro genoma odierno, ma non è impossibile che un basso livello di incrocio possa aver lasciato un modesto contributo poi spazzato via da qualche collo di bottiglia evolutivo. I dati molecolari non supportano perciò questa ipotesi, ma non la escludono del tutto.

La terza e ultima ipotesi potrebbe apparire come la più parsimoniosa, ma di fatto è quasi sicuramente la meno probabile. Secondo questa interpretazione i caratteri interpretabili come ibridi sarebbero in realtà plesiomorfici, ovvero mantenuti dalle forme più arcaiche di sapiens. Un’implicazione di questa versione sarebbe però che tra i vari gruppi di sapiens presenti in Europa all’epoca esistesse una variabilità molto maggiore di quella che si è sempre pensata, ma se la spiegazione regge per quanto riguarda le caratteristiche dei denti sembra fallire se si considerano alcuni aspetti legati al loro sviluppo, che rendono poco probabile questa terza spiegazione.

Lo studio non si chiude con una presa di posizione precisa, e anzi tutte e tre le ipotesi vengono in ultima analisi presentate come probabili, c’è da sperare quindi che quello che Rozzi si augura si avveri al più presto: la scoperta di nuovi reperti che permettano di fare luce sul piccolo mistero di Les Rois e sulla grande vicenda, e forse a tratti convivenza, di due gruppi umani tanto diversi tra loro ma forse più simili di quanto si pensasse.

Marco Michelutto

Riferimenti:
Fernando V. Ramirez Rozzi, Francesco d’Errico, Marian Vanhaeren, Pieter M. Grootes, Bertrand Kerautret,Véronique Dujardin. Cutmarked human remains bearing Neandertal features and modern human remains associated with the Aurignacian at Les Rois. Journal of Anthropological Sciences Vol. 87 (2009), pp. 153-185