Un nuovo australopiteco al tempo di Lucy

Australopithecus deyiremeda: una nuova specie etiope che va a incrementare le nostre conoscenze sulla diversità degli abitanti ominidi del Pliocene medio

Donald Johanson ricorda: “Era il 24 novembre 1974. Eravamo nella nostra seconda stagione di ricerca sul campo a Hadar. Eravamo già stati lì nel 1973, quando avevo trovato un’articolazione del ginocchio appartenuta a un ominide fossile, ma non potevamo dire a che specie appartenesse o se si trattasse di una nuova specie, perché avevamo a che fare con strati geologici più antichi, su cui nessuno aveva lavorato prima in Africa. Speravamo intensamente di trovare qualcosa di più completo e importante.

In giorni come questi è difficile non pensare alla scoperta di una vera e propria “super-star” della paleoantropologia: Lucy, l’Australopithecus afarensis per antonomasia, la regina incontrastata dell’Etiopia orientale di 3,2 milioni di anni fa. E, proprio scavando a pochi chilometri dal sito dove Lucy è stata trovata, gli scienziati hanno fatto un’altra eccezionale scoperta: una nuova specie, chiamata Australopithecus deyiremeda, ha fatto capolino nella storia dell’evoluzione umana. Il ritrovamento, descritto sull’ultimo numero di Nature, è particolarmente importante perché va ad arricchire il quadro genealogico degli ominini di poco precedenti al nostro genere, Homo, e soprattutto risolve il dubbio ventennale che la specie di Lucy fosse l’unica a popolare l’Etiopia nel Pliocene medio.

Per i non addetti ai lavori sembra impossibile poter ricostruire un periodo della storia distante da noi milioni di anni, come ci si può riuscire? La fotografia, la scrittura, l’arte figurativa in genere sono “invenzioni” relativamente molto recenti. Però c’è, in effetti, un’altra forma di lettura possibile ed è quella delle rocce. Una parete di roccia è come una macchina del tempo e, ogni strato, racconta una storia diversa datata in modo progressivo, dall’alto verso il basso. Andando in profondità si raggiungono periodi sempre più antichi. In corrispondenza della Rift Valley, la lunga frattura tettonica che sta lentamente dividendo l’Africa dalla placca araba, si hanno quasi tutti gli strati esposti, come una torta mille-foglie tagliata a metà con un coltello. Ed è proprio in una di queste pagine di pietra, datata 3,4 milioni di anni, che Yohannes Haile-Selassie, il curatore della sezione di antropologia fisica del museo del Cleveland, negli Stati Uniti, e il suo gruppo di ricerca, durante una campagna di scavo lunga diversi anni, ha scoperto tutta una serie di ossa fossili di una specie nuova di ominino, coevo ad A. afarensis, ora classificato con il nome di A. deyiremeda. Il nome deriva dalla stessa lingua locale dell’Afar: “deyi” significa vicino e “remeda” parente.

A. deyiremeda, in realtà, non è la prima specie che ha fatto traballare l’ipotesi che vedeva A. afarensis come unico rappresentante dei nostri più antichi antenati etiopi del Pliocene medio. Per la precisione, è la terza. Michel Brunet, nel 1995, annuncia al mondo la scoperta di un nuovo ominino appartenente al genere Australopithecus e lo battezza A. bahrelghazali, il primo rinvenuto a ovest della Rift Valley. Il paleontologo francese trova le ossa nella valle del Bahr el Ghazal, vicino alla città di Koro Toro, nel Chad, a una distanza dall’Afar di circa 2.500 chilometri. L’olotipo è soprannominato Abel e consiste in una parziale mandibola datata dai 3.5 ai 3 milioni di anni. Quindi, a tutti gli effetti, Abel risulta un contemporaneo di Lucy.

Passa qualche anno e, nel 1999, la paleoantropologa Meave G. Leakey e il suo gruppo trovano i fossili di una nuova specie di ominino accanto al lago Turkana, in Kenya. In realtà, in questo caso siamo davanti anche a un nuovo genere ed è chiamato Kenyanthropus platyops, l’ ”uomo dalla faccia piatta”.

Quindi, accanto al ben noto A. afarensis, possiamo affermare con una certa sicurezza che lo scenario del Pliocene medio vede altri protagonisti in Africa orientale. Ma solo –per ora- A. deyiremeda ha il primato di essere stato trovato a pochi chilometri da Lucy e i suoi simili. Verosimilmente, dunque, hanno condiviso gli stessi spazi, mantenendo ovviamente nicchie ecologiche ben diverse e diete distinte, come suggerito dalla dimensione dei denti di A. deyiremeda, più piccoli rispetto a quelli di Lucy.

In base alla filogenesi condotta inserendo la nuova specie nel cespuglio evolutivo umano, A. deyiremeda risulta essere un’unità tassonomica “sorella” di A. afarensis e dei generi Homo e Paranthropus. Tuttavia è ancora presto per comprendere le reali implicazioni di questa scoperta che, come sempre avviene in ambito scientifico, genera più domande che risposte. Come si sono relazionate queste specie? Quali fattori ecologici hanno contribuito a determinare le loro caratteristiche e a mantenerle distinte? Ma soprattutto, quale di queste specie rappresenta il nostro antenato diretto? 

Riferimenti:
Yohannes Haile-Selassie, Luis Gibert, Stephanie M. Melillo, Timothy M. Ryan, Mulugeta Alene, Alan Deino, Naomi E. Levin, Gary Scott, Beverly Z. Saylor. New species from Ethiopia further expands Middle Pliocene hominin diversity. Nature, 2015; 521 (7553): 483 DOI:10.1038/nature14448

Credit image: Yohannes Haile-Selassie / copyright Cleveland Museum of Natural History